Nonostante il Fair Play Finanziario e le susseguenti sanzioni imposte dall’Uefa, il primo botto del calciomercato europeo è arrivato proprio dal Paris Saint Germain. La società transalpina del patron NasserAl–Khelaifi ha ufficializzato ieri con un comunicato apparso sul proprio sito ufficiale ha confermato i rumors che ormai da qualche giorno stava riempiendo le pagine dei giornali ed i siti di calciomercato, David Luiz lascia il Chelsea e si trasferisce in Francia al Paris Saint Germain:
Per soddisfare il desiderio del giocatore di preparare e giocare nelle migliori condizioni possibili la Coppa del Mondo nel suo paese, la volontà di entrambi i club e David Luiz era quella di raggiungere più velocemente possibile un accordo tra una parte, Paris Saint- Germain e il Chelsea FC, e l’altra tra il Club di Parigi e il giocatore per formalizzare il trasferimento dalla apertura della finestra di trasferimento.
Questo il testo del comunicato che in sostanza conferma l’avvenuto acquisto da parte dei parigini del forte difensore brasiliano che per affrettare i tempi, ha svolto le visite mediche proprio in Brasile, a Rio de Janeiro alla presenza del responsabile medico del PSG Eric Rolland, e del ds aggiunto Olivier Letang, dove in ritiro con la propria nazionale si sta preparando per disputare il mondiale.
Le cifre non sono ancora note ma si parla di circa 50 milioni di euro che il Psg verserà al Chelsea. I Blues si liberano così di un giocatore, pagato 25 milioni nel 2011 al Benfica, che non sembra aver mai trovato il feeling giusto con il tecnico Josè Mourinho che spesso infatti lo ha schierato a centrocampo, non certo il ruolo naturale di Luiz.
Il neoarrivato andrà a comporre una coppia centrale tutta verdeoro con il connazionale Thiago Silva, parliamo di coppia e non di trio brasiliano in quanto pare scontato che Marquinhos, pagato 35 milioni lo scorso anno alla Roma, sarà sacrificato sul mercato, in pole position ci sarebbe il Barcellona che ha bisogno di sostituire Charles Puyol e vorrebbe così puntare sul giovane centrale brasiliano del Psg.
Dunque nonostante le imposizioni dell’Uefa il Psg è riuscito comunque a mettere a segno un gran colpo.
Anche quest’anno, come già accaduto spesso negli anni passati, la Juventus ha vinto in Italia ma ha raccolto dei flop nelle campagne europee, un suo grande ex, Michel Platini ha voluto “infierire” su questa situazione con una sua battuta.
Ieri il presidente dell’Uefa, Michel Platini, si trovava a Torino, e prima della finale di Europa League allo Juventus Stadium tra Siviglia e Benfica, vinta poi dagli spagnoli ai calci di rigore, ha rilasciato a Sky questa dichiarazione:
Se ci vorrà ancora molto tempo perché io possa premiare la Juventus? Puó darsi che io debba fare qualche mandato in più. L’ho detto ad Andrea Agnelli, lui mi vuole all’Uefa dunque non vuole vincere.
Platini quindi ha così voluto parlare della squadra che gli ha permesso di raggiungere diversi successi da calciatore negli anni 80. L’ex numero 10 bianconero non si è limitato a parlare di Juventus ma in un incontro con i Media tenutosi nella mattinata di ieri, con la presenza del responsabile degli arbitri dell’Uefa Pierluigi Collina, ha voluto analizzare i problemi del calcio italiano:
Il problema del calcio italiano non sono gli arbitri ma la violenza negli stadi, che si combatte con strutture più moderne.
Proprio riguardo alla situazione della categoria arbitrale, il presidente dell’Uefa Platini ha voluto punzecchiare il presidente della FIFA Blatter:
Quando sono diventato presidente dell’Uefa ho subito pensato che servivano più occhi sul campo e ho sempre creduto che si potessero aggiungere due arbitri. Il primo esperimento venne effettuato per un campionato Under 17 in occasione di una sfida fra Armenia e Islanda. Quella gara fu arbitrata da cinque arbitri ed è è stato illuminante. Da quel momento mi sono adoperato per avere cinque arbitri ma non è stato facile, perché se l’idea non è della Fifa è difficile da concretizzare. Non è un sistema perfetto, ma ci ha aiutato a ridurre gli errori.
In conclusione Michel Platini ha voluto anche dire la sua sulla tecnologia in campo che può esser utile in certi casi ma inutile in altri:
Io sono sempre favorevole alla tecnologia se aiuta gli arbitri in modo intelligente. Per esempio sui gol fantasma, ma su un fuorigioco credo possa fare poco.
Da quanto si parla di fair play finanziario. E da quanto tempo si discute su questi emirati ricchissimi che fanno il calciomercato delle proprie squadre come se giocassero al fantacalcio o semplicemente alla playstation. Le regole della UEFA però parlano chiaro e, secondo l’emittente inglese Sky Sports sono state inflitte delle sanzioni piuttosto pesanti ai due club: 60 milioni di euro da pagare nell’arco di tre anni e rosa ridotta a 21 giocatori per la prossima edizione della Champions League (o in ogni caso per la stagione europea in generale) anziché 25. Secondo L’Equipe i parigini avrebbero avanzato una proposta di patteggiamento ed è probabile che la stessa cosa l’abbia fatta il City. Ci sono altre sette squadre europee che tremano per un’eventuale pena, tra cui potrebbe anche esserci un’italiana.
Da quando esiste, il fair play finanziario ha già “colpito” varie squadre: il Besiktas è stato escluso per due stagioni dalle coppe europee per dei debiti scaduti. Sempre in Turchia (insieme alla squadra greca del PAOK), il Bursaspor ha ricevuto sanzioni per aver violato le licenze UEFA. A causa di pagamento arretrato di stipendi sono state escluse dalle competizioni europee l’anno scorso anche Malaga, Hajduk Spalato (Croazia), Osijek (sempre Croazia), Rapid Bucarest e Dinamo Bucarest (in Romania) e Partizan Belgrado (in Serbia). Poi ovviamente ci sono i grandi club (tra cui City e PSG) che nonostante ogni anno (o quasi) finiscano la stagione con un saldo nettamente negativo continuano a spendere e investire sul mercato a cifre esorbitanti (basta pensare ai 40 milioni che il Bayern ha pagato per Javi Martinez, i 38 milioni che lo United ha speso per un inutilizzato Fellaini, i 30 milioni del Real Madrid per Illarramendi o semplicemente i 100 che, proprio i galacticos hanno speso per Gareth Bale, i 64 milioni del PSG per Cavani che ha segnato “appena” 16 gol.
Fair play finanziario, questo sconosciuto. Cerchiamo di fare chiarezza su uno dei concetti maggiormente discussi in ambito calcistico-gestionale, andando a comprendere quale sia la ragione alla base della sua introduzione e come questo possa influire sulle vicende quotidiane dei diversi club. L’idea di fari play finanziario nasce nel 2009 dalla considerazione, tutto sommato ovvia, che nel calcio moderno le maggiori disparità tra club – in termini di competitività – nascano proprio dall’aspetto economico, ossia dalle diverse disponibilità che, di conseguenza, influenzano le possibilità di investimento. Il fair play finanziario, dunque, è divenuto uno degli undici valori promossi dall’Uefa e, in particolar modo, dal suo presidente Michel Platini. Il concetto è semplice: cercare di far sì che tutti i club possano avere possibilità economiche quanto più equilibrate al fine di salvaguardare la giusta competizione, evitando lo strapotere (in termini economici oligopolio) di pochi eletti, quali Real Madrid, Bayern Monaco, Barcellona, Manchester United e, new entry, il Paris Saint Germain, facendo in modo da evitare che le squadre che rispettano le regole soccombano di fronte ai milioni sonanti delle super big.
Nel dettaglio, gli obiettivi del fair play finanziario di sostanziano in diversi punti, tra cui i più salienti sono: stimolare l’auto-sostenibilità delle società nel lungo periodo, stimolare la crescita delle infrastrutture, valorizzare i settori giovanili, incoraggiare le società a competere entro i propri introiti. Il primo ed il secondo punto, dunque, mirano a creare un circolo virtuoso che leghi insieme costruzione di strutture di proprietà (stadi, musei, spazi dedicati) che possano divenire fonti di guadagno stabili e durature nel tempo, in modo da sganciare le società di calcio dalla dipendenza-diritti televisivi. Il modello italiano, in tal senso, è la Juventus che da tre anni ha intrapreso questa strada, a sua volta emulando il modello inglese che, per anni, ha fatto scuola. La valorizzazione del settore giovanile, poi, rientra fra i punti chiave proprio perchè permette di sganciarsi dalle logiche delle folli aste di mercato: il vivaio è un “prodotto” da curare con pazienza e progettualità e, solo così, darà i suoi frutti. L’ultimo punto legato al fair play finanziario è, poi, collegato all’obiettivo “No debito“, considerando che molte società, soprattutto negli anni trascorsi, erano solite chiudere il bilancio in perdita.
Su questo punto la stessa Uefa effettua un’azione di monitoraggio finalizzata a verificare che non siano presenti debiti arretrati, che siano fornite informazioni finanziarie inerenti l’orizzonte temporale futuro (una sorta di budget finanziario) e che, soprattutto, si raggiunga il pareggio di bilancio. Gli esiti di tale monitoraggio sono, poi, fortemente connessi alle sorti sportive dei club: le sanzioni, infatti, per mancato rispetto dei “punti” fissati per il fair play finanziario possono comportare anche la mancata iscrizione alle competizioni europee, quali Champions League ed Europa League, così come già sperimentato da alcuni club come Malaga,Partizan Belgrado, Dinamo Bucarest e Rapid Bucarest.
Fino al 2018, tuttavia, sarà concesso un “margine” di deficit pari a cinque milioni di euro ed ulteriori possibili “aggiustamenti” a patto che le eventuali perdite, non superiori ad un tot fissato, vengano ripianate con tempestività. Nonostante tali deroghe, però, a partire da quest’anno il periodo di “prova” è terminato e la mannaia delle decisioni Uefa in agguato non consente ai club di dormire sonni tranquilli: saranno puniti i club che sforeranno di 45 milioni. Basti pensare che, in questi giorni, è prevista un’ispezione presso la sede del Psg proprio per verificare alcuni documenti finanziari e, in particolare, l’accordo di sponsorizzazione che lega il club parigino all’ente turismo Qatar e che frutta al club il 50% dei suoi ricavi annui, circa 200 milioni di euro, permettendogli di abbattere le perdite di bilancio. In tal caso, il forte sospetto è che l’operazione sia una “manovra interna” e che nasconda, dunque, un aumento di capitale considerando che il Psg è di proprietà proprio del Qatar Sport Investment. Ma il presidente Platini farà un “torto” al principale club francese? In passato l’ex numero dieci aveva annunciato di “non voler guardare in faccia nessuno” e, ovviamente, se di fair play si parla è necessario che le regole siano uguali per tutti.
Tra le italiane, nessun problema fair play finanziario – ad oggi – per le big, ad eccezione dell‘Inter che potrebbe chiudere in rosso di 70 milioni il bilancio di quest’anno. Thohir dovrà compiere molti sforzi per ripianare: sarà sufficiente?
La questione “discriminazione territoriale” è, in questi giorni, di strettissima attualità, in connessione alla vicenda che riguarda direttamente il Milan e, più in generale, l’intero calcio italiano: una normativa, che si riconduce a quella più generale contro il razzismo negli stadi, che determinerà la chiusura dello stadio San Siro, sponda rossonera, per il prossimo match di campionato Milan-Udinese in conseguenza al reiterarsi degli insulti contro i napoletani. Ovviamente, la responsabilità della società rossonera è di tipo “Oggettivo”, ossia è il club a pagare per le colpe dei suoi tifosi, o meglio per una parte di essi, che durante il match contro la Juventus hanno reiterato i cori precedentemente proposti nella gara contro il Napoli, indirizzando beceri cori di scherno. Il club milanista – come annunciato da Adriano Galliani – presenterà ricorso ma, a ben vedere, la pena comminata non è altro che l’applicazione della normativa che – al primo episodio – prevede la chiusura della curva (come accaduto per Milan-Sampdoria del 28 Settembre) e, alla reiterazione, la chiusura dello stadio, fino ad arrivare, nei casi più gravi, alla partita persa a tavolino ed alle sanzioni accessorie.
Il punto focale della questione è assai complesso, perchè – a differenza del razzismo vero e proprio – la discriminazione territoriale affonda le sue origini nell’essenza di rivalità che si nasconde – neppure troppo bene – dietro l’Italia unita che, però, non può negare la questione meridionale aperta e mai risolta, così come le profonde differenze di un Paese che si sviluppa dalle Alpi che guardano all’Europa fino alle isolette che affacciano sull’Africa, con due isole maggiori che sentono forte la propria identità e le tante minoranze linguistiche. Un Paese complesso e poco educato alla sua stessa complessità, in cui la differenza è sempre percepita come difetto dell’altro a vantaggio della propria superiorità; in cui l’eterogeneità non sempre è vista come fonte di arricchimento interiore, bensì come un ostacolo: un Paese di campanilismi, di continui Derby, non sempre così “pacifici” nè tantomeno all’insegna della sana rivalità.
Per questo motivo, se da un lato punire la discriminazione territoriale risulta essere giusto in linea di principio, è altrettanto corretto e necessario far capire al grande pubblico che, con le regole Uefa volute da Platini in materia di razzismo, non si scherza e, ovviamente, “la legge non ammette ignoranza” neppure nel caso della discriminazione territoriale. Potrebbe essere questa l’occasione educativa che si stava aspettando per limitare i soventi beceri eccessi, ma è naturale chiedersi: sarà sufficiente? Oppure potrebbe essere soltanto una ghiottissima occasione di ricatto da parte delle curve nei confronti delle società?
A sostegno di quest’ultima ipotesi c’è da segnalare la solidarietà ultrà che, in queste ore, sta sempre più diffondendosi, con comunicati che uniscono le curve di Juventus, Milan, Inter, Genoa ed anche Napoli, al grido rivendicatorio di “libertà di pensiero, di espressione e di sfottò”, considerando in tal senso che gli stessi ultras partenopei avevano mostrato lo striscione auto-ironico “Napoli colera”, invitando provocatoriamente il giudice sportivo Tosel a squalificare il campo del San Paolo.
Anche i presidenti Uefa hanno un cuore, che li rende capaci di un tuffo nei ricordi, di un viaggio nel proprio passato da calciatore, negli anni in cui nacque il soprannome di “le Roi”, in cui “giocavo nel club più forte al mondo, la Juventus”: parole di Michel Platini in persona che ripercorre le tappe della propria carriera, iniziata giocando per strada da bambino, ed approdando poi nel club più importante della propria regione, la Lorena, e di seguito nel primo club di Francia dell’epoca, il Nancy, da cui prese il volo in direzione Torino per vestire i colori della Signora.
Un percorso “evolutivo” che lo ha portato a divenire uno dei più forti di sempre, un mito per i ragazzini di quegli anni, uno dei pupilli dell’esteta del calcio per eccellenza, l’Avvocato Agnelli: un viaggio nella memoria, dunque, per Platini con tanto di aneddoto familiare in riferimento al cambiamento che, proprio negli anni che lo vedevano protagonista, il mondo del calcio stava attraversando. Quando giocava nel suo primo club, suo padre non riusciva a credere che potessero pagarlo per giocare a calcio (e guadagnava l’equivalente di novanta euro al mese), e poi con il passaggio alla Juventus lo stesso Platini si accorse bene di come gli ingaggi stavano crescendo in maniera esponenziale. Un percorso che conduce anche al momento di dire addio al calcio, quando Michel Platini si accorse di non avere più benzina perchè non riusciva più a segnare al Napoli, proprio sul finire degli anni ottanta quando stava iniziando a brillare la stella di Maradona, e Platini decise di “lasciare spazio a Diego”.
Da allora, la sua vita ha intrapreso nuovi binari, avvicinandosi alle istituzioni del calcio fino a raggiungere il vertice del calcio Europeo, la presidenza Uefa, un ruolo dal quale ha potuto intraprendere una battaglia che gli sta molto a cuore, quella per la diffusione del Fair Play e dei valori più profondi dell’etica calcistica: una campagna che gli impone la ferma condanna di tutti quei fenomeni “deviati” rispetto alla correttezza ed al rispetto delle regole, dal doping allo scandalo scommesse fino al problema-razzismo negli stadi, una piaga che deve essere combattuta con mano ferma, arrivando anche a sospendere le gare se necessario, per dare un segnale forte che parta dal calcio e possa giungere all’intera società civile.
Fair play non solo nei comportamenti, però, ma anche dal punto di vista finanziario e della “salute” economica dei club affinchè si possa ragionare in un’ottica “egualitaria”, lottando ad armi pari o, perlomeno, non troppo impari: va bene aprire ai ricchi, ma è necessario che questi amino questo sport, che deve vivere di passione. In tal senso, Platini appare concorde con la decisione della Fifa di affidare l’organizzazione del Mondiale 2022 al Qatar, ma auspica che si possa “aprire ai Paesi vicini” e che possa essere disputato in Inverno, per rispetto dei calciatori e degli spettatori, scongiurando il problema del gran caldo.
Infine, in un ideale cerchio che si chiude, il discorso di Platini torna sulla Juventus – non più del passato ma del presente – analizzando la situazione in Champions League del club bianconero alla luce del sorteggio dello scorso 20 Dicembre: secondo il numero uno Uefa il Celtic non è un ostacolo insormontabile e la Juventus “può considerarsi già una delle magnifiche otto che approderanno ai quarti di finale. Il discorso legato al cammino Europeo dei bianconeri, poi, secondo Platini si spinge anche oltre i quarti di finale, considerando che, nella connotazione degli scontri diretti, alcune grandi si elimineranno tra loro e, di riflesso, ciò potrebbe aiutare la Juventus che ha “aperto un nuovo ciclo e mi pare esistano i presupposti per un futuro particolarmente roseo” anche grazie alla spinta di Andrea Agnelli.
La macchina organizzativa dell’Uefa sembra non fermarsi mai, in particolar modo considerando l’orizzonte temporale di lungo periodo con cui le manifestazioni internazionali devono essere approntate. Il prossimo Europeo in calendario sarà quello francese, organizzato nella patria del presidente Michel Platini, ma dopo il 2016 potrebbe esservi una vera e propria rivoluzione della manifestazione continentale fra Nazionali, con la formula del cosiddetto Europeo itinerante.
Il termine itinerante allude già alla caratteristica sostanziale che presenterebbe la nuova modalità organizzativa che, se dovesse andare in porto, farà sì da coinvolgere tutte le Nazioni partecipanti a partire dall’edizione dell’Europeo del 2020, evitando di affidare l’organizzazione soltanto ad un Paese o a due al massimo come si è verificato nel caso di Belgio-Olanda del 2000, di Austria-Svizzera del 2008 ed anche nell’ultimo Europeo di Polonia ed Ucraina 2012: in questo modo il peso organizzativo verrebbe ad essere “spalmato” e sia i costi che i benefici derivanti dall’organizzazione della manifestazione si distribuirebbero fra più Nazioni, ed inoltre verrebbe garantito un massiccio coinvolgimento da parte dei tifosi di tutte le Nazionali partecipanti. La proposta dell’Europeo itinerante fa capo allo stesso presidente Uefa Michel Platini che l’ha studiata a lungo prima di lanciarla e, dunque, ne caldeggia ora l’attuazione che sembra molto probabile con l’avvento dell’Europeo Itinerante che potrebbe modificare radicalmente l’immaginario della manifestazione continentale.
In tal senso, il comitato esecutivo dell’Uefa si riunirà domani a Losanna proprio per discutere diversi temi “caldi”: oltre alla proposta dell’Europeo itinerante, anche la formula per gli Europeo 2016, che saranno i primi della storia con ventiquattro squadre partecipanti anzichè soltanto sedici formazioni, come accaduto finora.
Pertanto, sarà necessario individuare una formula ottimale per rendere snella la competizione nonostante l’aumento della partecipanti alla fase finale e, dunque, potrebbe essere deciso di predisporre sei gruppi composti da quattro squadre, oppure si potrebbero introdurre gli ottavi di finale – che finora erano soltanto una prerogativa dei Mondiali – che includerebbero le prime due di ogni girone e le quattro migliori terze, ricalcando un modello già sperimentato in passato nei Mondiali e che, nel 1994, permise all’Italia di Arrigo Sacchi di superare la fase iniziale.
Inoltre, sempre nella riunione di Losanna in programma domani, il comitato esecutivo dell’Uefa dovrà discutere un altro importante tema all’ ordine del giorno, ossia l’impiego dei giudici di porta (altra soluzione molto gradita al presidente Platini, ndr) anche nell’Europeo Under 21 in programma in Israele nel 2013.
Ben presto la Champions League, per come è attualmente strutturata, potrebbe non esistere più e venir sostituita da un torneo a 64 squadre (anzichè 32, ndr) che eliminerebbe, contestualmente, l’Europa League a partire dal 2014. A discuterne è il presidente dell’Uefa Michel Platini a margine di un’intervista al quotidiano francese Ouest-France, affermando che il dibattito è in corso e che entro il 2014 verrà presa una decisione in merito alle competizioni europee del periodo 2015-2018: work in progress, insomma.
Se l’eventuale allargamento della competizione più prestigiosa è un’ipotesi in via di perfezionamento, un altro provvedimento “nuovo” ha già conosciuto sperimentazione ossia l’introduzione dei due giudici di porta a coadiuvare maggiormente i direttori di gara al fine di limitarne sviste ed errori e, dunque, lo stesso Michel Platini che commenta i risultati finora raggiunti: “i cinque arbitri sono usati in Champions e nel campionato italiano e che li ha adottati ne è contento”, sottolineando anche la necessità che il campionato francese apra a quest’innovazione proprio in virtù del semplice principio “quattro occhi in più vedono meglio”. Una soluzione che, secondo Michel Platini trova conforto anche nel risparmio in termini di costi, se confrontata rispetto all’introduzione di meccanismi tecnologici che segnalino i gol fantasma.
In tal senso, il presidente Uefa si contrappone all’idea del numero uno della Fifa Joseph Blatter, che qualche tempo fa aveva rimarcato come l’adozione dei giudici di porta comportasse un incremento dei costi. Platini, invece, sottolinea il “differenziale” molto ampio tra le due diverse soluzioni snocciolando cifre: alla luce dei 78 stadi delle competizioni Uefa, il costo dell’introduzione dei giudici di area è pari a 2,3 milioni di euro, mentre l’adozione della “tecnologia” comporterebbe una spesa di 32 milioni di euro per il primo anno e di 54 milioni per cinque anni.
Sempre in tema di “riforme”, Platini analizza anche un altro discusso aspetto connesso ai regolamenti arbitrali attualmente in vigore, ossia la triplice punizione sui falli da ultimo uomo: espulsione, calcio di rigore e squalifica a seguito del cartellino rosso rimediato. Un provvedimento “eccessivo” secondo il numero uno dell’Uefa che, in tal senso, si uniforma anche al giudizio espresso dall’Associazione italiana arbitri: secondo Michel Platini, infatti, potrebbe essere ridotta la rigidità del fallo da ultimo uomo, prevedendo la punizione con cartellino giallo piuttosto che cartellino rosso, in modo da “ammorbidirne” la portata ed evitare di stravolgere gli equilibri della gara, compromettendone l’esito per la formazione che subisce il provvedimento. Su questo argomento, come rivela Platini, sono d’accordo anche le commissioni Fifa e Uefa mentre, al momento, non lo è l’International Board, anche se non è escluso che “le cose potrebbero evolversi ed andare verso l’abolizione di questa regola”.
Dopo aver discusso di regole ed innovazioni, Platini si sofferma su un’altra questione di attualità considerando la prossima assegnazione del Pallone d’Oro: in tal senso, il principale candidato (e quasi certo vincitore) è Leo Messi che, così, potrebbe aggiudicarsi il prestigioso premio per la quarta volta consecutiva, battendo il record detenuto finora proprio da Platini che, da giocatore, lo vinse nell’edizione 1983, 1984, 1985. Ma, a tal proposito, Platini mostra la massima “sportività” nei confronti di Messi riconoscendo che “i record sono fatti per essere battuti, se vincerà il Pallone d’Oro sarà perchè l’avrà meritato”.
Avevamo preannunciato la bufera ed ecco che la Uefa ha preso in mano quanto accaduto durante il match di Champions League tra Nordsjaelland-Shakhtar Donetsk, finito 2-5 dove a segnare negativamente la vittoria del club ucraino è stato il goal di Luiz Adriano, etichettato come anti sportivo. Nel riconsegnare il pallone alla squadra danese dopo qualche minuto di gioco fermo, il numero nove della formazione di mister Mircea Lucescu, si è impossessato del pallone lasciato dalla difesa avversaria per farlo arrivare al proprio portiere, ed ha messo a segno la rete del momentaneo 1-1.
Subito i danesi hanno chiesto spiegazioni all’arbitro ed anche al giocatore stesso ma il goal, nonostante l’anti fair play, è stato ovviamente assegnato: il Nordsjaelland da parte sua, ha dimostrato di essere una squadra educata a dovere e, senza grandi scenate, ha ripreso a giocare andando anche a segnare il 2-1. Nelle ore dopo a quanto successo a mettere una buona parola su Luiz Adriano è intervenuto direttamente il tecnico dello Shakhtar il quale ha voluto scusarsi per la rete e riportare quanto dichiarato dal giocatore stesso: il brasiliano ha infatti affermato di non essere riuscito a contenere l’istinto di attaccante ed ha quindi rincorso il pallone fino a metterlo in rete.
A mettere benzina sul fuoco su quanto avvenuto è stato poi anche il mancato goal concesso al team danese: secondo mister Lucescu i patti erano quelli di lasciar segnare gli avversari per riportare le cose in parità ma in quel momento è intervenuto Stepanenko che ha fermato l’azione dei danesi alzando ulteriormente la polemica. Ecco quindi che a mettere giustizia sull’accaduto è intervenuta la Uefa: l’Unione Europea delle Federazioni Calcistiche ha infatti aperto un procedimento disciplinare nei confronti di Luiz Adriano che ora si vede accusato di aver violato l’articolo 5 dei Regolamenti Disciplinari Uefa. Per arrivare a sapere quale sarà la decisione finale si dovrà aspettare il 27 novembre quando la Commissione Disciplinare e di Controllo della Uefa si riunirà per discutere sull’accaduto.