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  • Tutto il Mondiale fuori casa: Olanda – Spagna. La Finale

    Partiamo dall’inizio. Io ieri avevo un battesimo. A Torino. Alle 3 del pomeriggio. Avevo già fatto una mia tabella di viaggio: partenza da Milano alle 11, arrivo a Torino all’Una, Battesimo alle 3, rinfresco alle 5, partenza per Milano alle 6, arrivo a Milano alle 8. Mi sembrava tutto perfetto, ed effettivamente tutto è stato perfetto. Fino alle 6. Sono partito da Torino contando i chilometri per arrivare e facendo nella mia testa un calcolo mentale. Quando tutto sembrava volgere per il meglio visto che erano le 7:15 e stavo a 62 chilometri, quindi a circa 45 minuti da casa considerando anche il traffico, ecco il dramma. All’altezza di Greggio (giuro, esiste) trovo la coda. Lavori in corso e macchine in colonna, finale mondiale che sfuma e se ne va, già mi vedevo tristemente attaccato alla radio che sarà anche un bel mezzo ma, per la finale dei Mondiali, di certo non è sufficiente.

    All’imporvviso, un barlume di genialità si palesa nella mia macchina:
    “E se uscissimo alla prima uscita disponibile e vedessimo la partita in una pizzeria/bar/ristorante/discopub/tabacchino”?
    Ottima idea, usciamo a Marcallo Mesero. Per chi non la conoscesse, l’uscita autostradale di Marcallo Mesero è come uno Stargate che ti porta in mezzo al nulla siderale, interrotto talvolta da qualche capannone. Poiché però nei capannoni la partita non la fanno vedere, il nervosismo cominciava a farla da padrone. Ore 20:25, e ancora siamo in mezzo al nulla, sempre più lontani da Johannesburg, con l’aria condizionata che ci ha salutato e 300 chilometri sulle spalle. Diciamo che non poteva essere considerato il più bel giorno della mia vita. Somigliava di più al giorno in cui ho dovuto mettere l’apparecchio ai denti, nel 1989.

    La speranza però è l’ultima a morire. Di fronte a noi si schiude la maestosità di Magenta, ridente cittadina nel milanese che per me è sempre stata soltanto una stazione ferroviaria nel mio tragitto quotidiano Milano-Novara e viceversa. La sorte e il piano regolatore hanno voluto che proprio accanto alla stazione ferroviaria sorgesse un locale di tendenza magentino, all’interno del quale fanno happy hour. Diventiamo anche noi molto happy, alla vista del maxischermo. Posto a sedere, menu a buffet, due birre medie, partita. C’era tutto, l’unica cosa che mancava erano gli scontrini. In caso ve lo steste chiedendo e in caso la finanza volesse saperne di più, sappiate che a Magenta non fanno uno scontrino neanche pagati, nel vero senso della parola. Ma veniamo alla partita, dopo la descrizione del mio lungo peregrinare.

    Olanda e Spagna cominciano con molta determinazione, con molta aggressività e molta cattiveria. Risultato: dopo 20 minuti ci sono già 5 ammoniti, 3 dei quali avrebbero meritato l’espulsione e gli altri due direttamente la pena capitale con esecuzione sulla pubblica piazza. Un olandese, del quale non ricordo il nome ma che vista l’esibizione avrebbe potuto essere Van Damme, arriva con i tacchetti sullo sterno di uno spagnolo. L’arbitro, magnanimo, lo ammonisce e basta. A questo punto si capisce che per vedere un espulso sarebbe necessario fermare un avversario lanciato in porta tramite un fucile a pallettoni. Peccato che le inique norme FIFA proibiscano l’utilizzo di armi automatiche in campo. Non escludo che Blatter ci possa fare un pensierino per la prossima edizione dei Mondiali.

    La partita prosegue con le due squadre che si prendono a mazzate ma per il resto sono impaurite. La Spagna non è più effervescente come nelle altre partite, e da calcio champagne sembra sia passata al calcio idrolitina (ve la ricordate l’idrolitina? Faceva diventare effervescente l’acqua normale. Non so chi la compri, ma so che la vendono ancora). L’Olanda è più incisiva, ma Robben non sembra in grossa serata. Continua a saltare avversari, ma gli Spagnoli lo sanno e ogni volta che tocca palla gli arrivano addosso in 15 chiamando dei rinforzi anche dalla panchina, dalla tribuna e se necessario convocando anche alcuni agenti della Guardia Nacional.

    La partita è un po’ noiosa, mentre il fashion imperversa nel bar di Magenta. Voi non lo sapete, ma a Magenta va molto il colore viola tendente al glicine. Uno accanto a noi aveva camicia a righe lilla, pantaloni glicine e scarpe viola. Speravo che arrivasse l’arbitro e lo cacciasse per mancanza di eleganza, purtroppo non è avvenuto.
    Fine primo tempo, zero a zero. Noi usciamo per una pausa sigaretta, le zanzare escono per la loro pausa sangue. Rimarranno molto soddisfatte. Io, che sono immune alle zanzare, riesco a farmi camminare addosso da un ragno. Porterà anche soldi, ma ancora adesso ho lo schifo.

    Inizio secondo tempo, uguale al primo. Meno falli, anche perché altrimenti sarebbero rimasti a giocare in 6 contro 6, ma comunque poca roba. Gli Spagnoli giochicchiano come al solito, gli Olandesi si scapicollano in avanti ed entrambe le squadre si mangiano due gol praticamente già fatti. Ci si avvia mestamente ai supplementari, sicuri di arrivare alla cinica lotteria dei rigori.
    Intanto nel bar di Magenta cominciano ad arrivare le tipiche perperine presenti in ogni bar di provincia. Attorno a loro si crea un movimento circolare concentrico di maschi che puntualmente si piazza davanti a me e mi impedisce di vedere lo schermo. Mi sposto, ma a un certo punto penso seriamente di andare da un ragazzo e dirgli: “Scusa, capisco che è importante andare a caccia di femmina e che i tuoi ormoni hanno una grossa importanza nella definizione di te stesso come uomo, ma sappi che queste saranno fighe anche domani, mentre la finale dei mondiali prossima sarà tra 4 anni, quando probabilmente queste qua saranno sposate e con figli. Detto questo, potresti spostarti? Grazie. Ah, sappi per certo che queste qua non te la daranno mai, quindi goditi la partita”.

    Il resto è storia. Al 116° Iniesta tira un diagonale fortissimo e getta nello sconforto il popolo dei tulipani, mentre in Spagna quei pochi rimasti ancora sobri esultano uccidendo dei tori, scuotendo le nacchere e accoppiandosi con le studentesse italiane andate lì in Erasmus. Insomma, il classico festeggiamento spagnolo.
    Noi ce ne andiamo da Magenta, delusi e sconfortati perché tifavamo Olanda. O meglio, io tifavo Olanda, la mia fidanzata giusto per farmi contento ogni tanto guardava la partita. Per il resto ha osservato la popolazione magentina e ha pensato di scrivere un saggio sociologico dal titolo: “A Magenta tutti si vestono di glicine: che cosa spinge dei giovani di buona famiglia e dall’accettabile savoir faire e talvolta non privi di qualche fascino a vestirsi così clamorosamente male?” Lo troverete presto in tutte le librerie, credo uscirà nella collana “I grandi classici del pensiero occidentale” e diventerà in breve tempo un best seller.
    Stavolta non sono riuscito a piazzare le scommesse, anzi, ho rischiato un incidente cercando di farlo mentre ero in macchina. Meglio così, avrei perso.

    Si chiudono così i Mondiali, ci vediamo in Brasile nel 2014. A partire da oggi, se vedo uno con una vuvuzela non rispondo delle mie azioni. E se mi dovessero condannare, il giudice mi darebbe tutte le attenuanti, ne sono certo. In caso di condanna farei ricorso al polpo Paul, che se continua così verrà designato come capo del CSM e giudice della Corte Suprema.

  • Tutto il mondiale fuori casa: Olanda – Brasile

    Lo ammetto, stavolta forse ho esagerato. Va bene che non ho l’antenna a casa, va bene che questa rubrica si intitola tutto il mondiale fuori casa, va bene tutto, però stavolta forse ho esagerato.
    Da dove ho visto la partita? Dall’albergo. E dove sta l’albergo? A Istanbul. Ve l’avevo detto che stavolta avevo esagerato.

    Sono in viaggio con una gita aziendale e, di ritorno dall’escursione odierna, nel bar dell’albergo scopro che stanno ancora giocando la partita. Manca mezz’ora. Mi siedo, ordino una birra che probabilmente pagherò un occhio della testa (i bar degli alberghi non sono famosissimi per la loro convenienza), e mi metto a guardare quella che sono certo sarà una vittoria del Brasile. Troppo forti, troppo spettacolari, troppo il Brasile, alla fine dei conti. Anche se c’è da dire che tifo per l’Olanda. Il risultato in quel momento è sull’1 a 1. Scopro dalla grafica che Melo si è fatto un autogol, e mi appresto ad assistere alla sicura vittorias dei verdeoro.

    Seduti accanto a me ci sono 3 olandesi, due uomini e una donna. Non riesco a capire se sono padre, madre e figlio, oppure donna, giovane fidanzato ed estraneo capitato lì, oppure coppia gay con amica, oppure tutte le altre combinazioni che volete. I due uomini sono vestiti con la maglia dell’Olanda. Ora dimmi tu se uno deve partire per Istanbul e, sapendo che c’è la partita, si porta appresso la maglietta. Parti e non ti preoccupare, amico olandese.

    Capiremmo ugualmente che sei olandese, anche perché in mezz’ora tu e i tuoi compagni avete bevuto 10 birre. Ho temuto che, se ci fossero stati i supplementari, il bar dell’albergo sarebbe andato in sofferenza con le bottiglie. In caso di rigore, non so se sarebbero bastate le riserve dei bar accanto.

    Comunque, sono lì con gli olandesi, mentre davanti a noi c’è una comitiva di uomini che potrebbe essere di qualsiasi nazionalità. Potrebbero venire anche da Marte, fatto sta che tifano Brasile ma Brasiliani non sono.

    A un certo punto l’Olanda decide che, almeno per giustificare la maglietta di quei due accanto a me, deve fare qualcosa. Cross da destra, palla prolungata in maniera fortunosa con un colpo di testa ma dalla parte superiore, colpo di testa normale, palla dentro. Gol dell’Olanda.

    I tre accanto a me esultano vigorosamente, ma non è dato ancora sapere lo stato di parentela. Comincio a sospettare che siano zia, nipote e cugino. Ormai non riesco a capacitarmi di come funzionino le parentele in Olanda. Fatto sta che, parentele a parte, l’Olanda passa in vantaggio, ma mancano ancora venti minuti.

    Il Brasile attacca, ma non riesce a passare, l’Olanda attacca, ma sbaglia sempre qualcosa. Felipe Melo, che credo non abbia passato una delle sue giornate migliori, decide che per sgranchirsi le gambe vuole fare una passeggiata sulla coscia di qualcuno. To’, capita proprio che un olandese cada per terra e capita che Felipe Melo sia lì. Purtroppo le passeggiate saranno anche distensive e consolatorie, ma l’arbitro decide che Melo può andare a distendersi negli spogliatoi. Espulso dal campo, e credo che anche in Brasile gli convenga non farsi vedere per un po’.

    Il Brasile in dieci attacca alla disperata, l’Olanda in undici attacca male e sbaglia gol praticamente a porta vuota, forse perché ha a cuore la salute dei brasiliani e sa che in patria non verranno accolti con troppa gioia. Sarà già un buon risultato se gli apriranno lo spazio aereo per atterrare.

    I minuti passano, finisce la partita, e l’Olanda va in semifinale. Scongiurato il rischio di 4 sudamericane in semifinale e con esso il rischio di trasformare questa coppa del mondo nella coppa delle Ande.

    In serata credo che l’Uruguay abbia vinto contro il Ghana. Dico credo perché ho solo intravisto per un attimo sullo schermo di un televisore degli uruguayani che si accoppiavano senza ritegno in mezzo al campo, quindi credo avessero vinto oppure avessero scoperto l’amore. Purtroppo non sono riuscito a vedere la partita perché ero in un orrido locale turistico a vedere un’orrida danza del ventre accompagnata da un’orchestrina che suonava incessantemente musica popolare turca.

    Considerate che, dopo una serata di musica popolare turca, in questo momento avrei voglia di ascoltare un cd di sinfonie per vuvuzelas. E inoltre avevo scommesso sul Ghana, quindi mi sa che stavolta ci ho rimesso. Peccato, sarebbe stato un bel riscatto per il continente africano, ma anche a me quelle due lire non mi avrebbero fatto male.

    Chissà che fine hanno fatto gli Olandesi del bar dell’albergo. Ho due ipotesi: o sono andati a festeggiare, oppure sono all’anagrafe che decidono quale parentela intercorre tra di loro. In caso l’abbiano scoperto, spero che me lo facciano sapere, sennò sto in pensiero.

  • Tutto il Mondiale fuori casa: Italia – Slovacchia

    Tutto il Mondiale fuori casa: Italia – Slovacchia

    Non so se avete saputo, ma in caso foste svenuti oggi alle 3 e non lo sapeste sappiate che sto per rovinarvi la sorpresa. Siamo fuori dai Mondiali. Ce ne torniamo a casa, salutiamo l’allenamento in altura che ci ha fatto proprio bene, ah se ci ha fatto bene, salutiamo il resort a 5 stelle dove la sera giocavamo a Playstation, salutiamo infine Marcello Lippi. Grazie Marcello, poteva bastare anche così. Sarà anche brutto lasciarsi così male, ti sei assunto anche le tue responsabilità, ora però impacchetta la coppa di Berlino e vai via, torna nella tua Toscana a coltivare l’orto come si conviene a un gentiluomo come te.
    La fredda cronaca. L’Italia scende in campo con qualche cambiamento rispetto alle partite precedenti, ma ci accorgiamo subito che c’è qualcosa che non va. Iaquinta. Marcatore nella precedente partita, disperso per il resto del tempo. Ancora in campo? Ancora in campo. Secondo me Lippi la sera gli diceva: “Se mi batti a PES 2010 domani ti faccio giocare”. Iaquinta, si sa, è imbattibile ai videogiochi pure se gli dai la squadra di El Salvador e quindi si è guadagnato il posto da titolare. Maledetta la sfrenata passione di Lippi per il gioco d’azzardo.
    Comunque c’è Gattuso, e grande è la nostra speranza sotto questo cielo. Speranza che verrà disintegrata dopo pochi minuti di gioco quando ci accorgiamo che Gattuso è lento come quando vedi i film sul computer e l’audio e l’immagine sono sfasati di qualche secondo. Tu ti aspetteresti Ringhio qua, e invece Ringhio arriva dopo qualche secondo. Ovvio che gli avversari, che invece sono perfettamente in sincrono, se ne accorgono e ne approfittano.
    Comunque, dicevo, cominciamo dall’inizio. Oggi il vostro corrispondente ha seguito la partita dal Tiramisù Caffè, delizioso bar accanto all’ufficio dove lavoro in quel di Novara, gestito da una famiglia cinese (il bar, non l’ufficio) squisita, gentile e garbata e alla quale ho dato migliaia di euro negli anni tra caffé, cornetti, gelati e bevande. Se oggi potranno dare un futuro migliore ai loro figli lo devono anche a me e alle mie colazioni. Usciamo prima dall’ufficio assieme al fido NP, e subito ci accorgiamo che più che in un bar oggi sembra di stare alle Nazioni Unite, visto che la rappresentanza italiana nel bar è sparuta e rappresentata da me, NP e il sosia del Mago G della Galbusera seduto accanto a noi.
    Comincia la partita, e Di Natale tira da lontanissimo. Bene, siamo carichi, abbiamo voglia e forse stavolta riusciamo a buttarla dentro. Vana speranza. Tra le poche cose importanti successe nel primo tempo è da segnalare che al decimo minuto regolamentare noi stavamo già al secondo piatto di Dixi, i deliziosi snack al formaggio. Chiesto il terzo, la squisita cameriera dell’Estremo Oriente ci dice molto gentilmente: “Queste adesso le pagate però”. L’Italia continua a rimanere senza idee, e noi rimaniamo senza Dixi.
    A dire il vero una cosa capita nel primo tempo: gli Slovacchi fanno gol. Poco male, c’è tempo per recuperare, i ragazzi stanno sbandando ma l’Italia sa rimanere coesa nei momenti difficili. Sarà, comunque arriviamo all’intervallo senza vedere neanche per sbaglio il portiere avversario.

    Nell’intervallo c’è un gustoso siparietto tra l’amico NP e la moglie di Gilardino, protagonista dello spot di Banca Intesa:
    Voce fuori campo: Alice, cosa vorresti dire a tuo marito?
    NP: Che è un coglione!

    Nell’intervallo inoltre arriva al bar il mio capo che ha appena finito una riunione con due inglesi che avevo conosciuto tre anni fa e ai quali, nel mio inglese stentato, avevo parlato di quando Gattuso giocava nei Glasgow Rangers e aveva detto a Beckham che continuava a tuffarsi: “Beckham, we are not into a swimming pool” (Beckham, non siamo in una piscina). Immaginatevi però la frase detta in inglese con un forte accento di Corigliano Calabro, e capirete perché gli inglesi si ricordavano di me a distanza di tre anni.
    Nell’intervallo infine ci sono due sostituzioni. Direte voi: “Hanno tolto l’impalpabile, anzi dannoso Iaquinta?”. Vi rispondo io: “No, hanno tolto Gattuso”. Si vede che la regione Calabria ha fatto una convenzione per cui in Nazionale almeno un Calabrese deve giocare. Sarà una delle nuove iniziative per rilanciare il federalismo, oppure Iaquinta aveva battuto nuovamente Lippi alla playstation.
    L’arbitro, incredibilmente somigliante ad Aldo di Aldo, Giovanni e Giacomo, fischia il secondo tempo. Il Mago G della Galbusera è andato via, ma dietro di noi si è piazzata una baby gang. Forse la baby gang è diventata tale dopo aver visto gli spot del Mago G che quindi ha temuto rappresaglie.
    La Slovacchia gigioneggia e perde tempo in ogni modo: i giocatori si tuffano a terra e ci rimangono per delle mezz’ore, i centrocampisti fingono malori a centrocampo, il portiere prima di rinviare grida Uno due tre stella e chiede che tutti rimangano immobili e che venga ammonito chi si muove. Mentre l’Italia è impegnata ad attaccare, si dimentica di essere famosa per la difesa e si fa infilare come neanche la Cremonese. 2 a 0, adesso ci vuole un miracolo o almeno un succedaneo.
    Entra Pirlo, che forse conveniva far giocare anche in versione Dr. House, visto come giocano gli altri. Sembra l’unico che si ricorda come si tocca il pallone, ma gli altri azzurri sono ancora impegnati a giocare a Un due tre stella con il portiere slovacco e quindi c’è poco da fare. Attorno al 30° del secondo tempo arriva una telefonata al bar. È la mamma di Iaquinta che chiede se abbiamo visto suo figlio. Unanimi rispondiamo di no. Ritroviamo invece Di Natale, che urlando “E mò basta” la piazza dentro. 2 a 1 e rissa dentro la rete slovacca. Il portiere vuole autografare il pallone ma Quagliarella gli ruba la penna, il portiere si mette a piangere, arriva l’arbitro che prima gli fa una carezza per calmarlo e subito dopo lo ammonisce. Risale la speranza perduta. Quando siamo lì che come un sol uomo diciamo: “Dai che ce la facciamo, dai che ce la facciamo, dai che ce…” segna la Slovacchia. La Speranza saluta e se ne va. Ciao Speranza, ti abbiamo voluto bene.
    Finisce che Quagliarella segna, che l’arbitro dà 2 giorni di recupero e anche delle materie da portare a settembre ma comunque perdiamo 3 a 2. Si va tutti a casa, finisce qui il nostro Mondiale. È andata così, delusi e tristi ci avviamo alle nostre macchine, alle nostre case, alle nostre serate a chiederci perché.
    Chiudo con il consueto angolo scommesse. Mi vergogno, però vi dico solo che ho puntato 2 euro, che la Slovacchia vincente era data a 6, e che io mi ritrovo con 12 euro in più. Spero di spendere tutti questi soldi in medicine.
    Domani finisce la fase a gironi e si passa all’eliminazione diretta. Vedremo di fare un bilancio di come è andata, delle sorprese che ci sono state, dei buoni e dei cattivi. A proposito, se vedete Iaquinta, ditegli di sbrigarsi che ci vediamo all’aereoporto. E anche che sua madre lo sta cercando.

  • Tutto il Mondiale fuori casa: Italia – Nuova Zelanda

    Tutto il Mondiale fuori casa: Italia – Nuova Zelanda

    Oggi il gentile ospita che accoglie il vostro corrispondente da dovunque ci ospita a casa sua nella ridente città di Treviglio, città appena fuori Milano e appena dentro Bergamo che vanta uno dei PIL pro capite più alti d’Italia. Sarebbe il più alto, se non fosse per questo mio amico che abbassa drasticamente la media, infatti stanno pensando di trasferirlo in maniera coatta da qualche altra parte, presumibilmente in Molise.

    L’Italia scende in campo convinta delle proprie potenzialità. E’ proprio questo che ci spaventa, visto che le potenzialità abbiamo visto quali sono. La squadra di sconosciuti gentiluomini messa insieme dall’eroe di Berlino Marcello Lippi riesce a fare bene una cosa fin da subito: canta tutto l’inno nazionale e non fa nemmeno il poropò poropò che invece secondo me è sacrosanto nel passaggio tra una strofa e l’altra. Anzi, io leverei le parole e farei solo poropò..
    Dall’altra parte una squadra di gente scartata dal rugby (perché, diciamoci la verità, questi giocano a calcio solo perché a rugby erano scarsi), vestiti di un bianco che li fa sembrare dei gelatai, scendono in campo quotati 14 a 1. Meno della Corea del Nord contro il Brasile, e la vittoria sembra a portata di mano. Se questi sono i presupposti, ce li mangiamo e li rispediamo a casa tosati come le pecore delle quali la loro nazione abbonda.

    I Neozelandesi sono una squadra soprattutto fisica, ma d’altronde l’abbiamo detto, si tratta di gente scartata dal rugby. Deve essere meraviglioso fare l’allenatore della Nuova Zelanda: nessuna aspettativa, nessun processo al termine della partita anche se perdi di 25 gol, e soprattutto nessun problema nel fare la formazione. Sapete quanti calciatori tesserati professionisti ha la Nuova Zelanda? 25. Ripeto, a numeri e lettere: 25/Venticinque. Pensa lo sconforto di quei 3 che sono rimasti a casa. Diciamo che se vuoi giocare delle partite internazionali e sei un giocatore di un livello discreto, magari giochi in C2 (che scopro ora si chiama Lega Pro2) nella Sambonifacese, ti basta prendere la nazionalità neozelandese e ci sono buone possibilità che ti convochino.

    Comincia la partita, l’arbitro è guatemalteco e già questo non promette bene. Quanto può essere avvincente il campionato guatemalteco? Io già me li immagino a giocare con i tipici abiti Maya in uno stadio dove alla fine gli sconfitti vengono sacrificati al Dio Sole. Effettivamente le partite devono essere molto avvincenti. Non diciamolo a Blatter, sennò quello introduce questa regola anche in Champions League.
    L’Italia entra con la stessa formazione della partita contro lo spumeggiante Paraguay. L’indovina di casa, ovvero la mia fidanzata, commenta dicendo: “Vabbé, stessa formazione dell’altra volta, finirà come la volta scorsa”. Grasse risate da parte degli uomini presenti, che la scherzano  dicendo: “Ma va, che questi non sanno neanche di che si tratta, e poi sei femmina, cosa ne vuoi capire”. Infatti al settimo del primo tempo Cannavaro, probabilmente molto più concentrato sul suo ruolo di testimonial di qualunque cosa piuttosto che di capitano e roccioso difensore, si dimentica come si stoppa una palla e un avversario la butta dentro. Cannavaro, se ti allenassi invece di perdere tempo a farti la barba ogni 5 minuti, ci faresti una cortesia.
    Vabbé, che sarà mai, mica possiamo perdere, dicono gli uomini di casa facendo penzolare l’indovina di casa ovvero la mia fidanzata dal balcone e minacciando di lanciarla giù alla prossima parola. La quale indovina, e qui cito testualmente, dice: “Comunque io ho perso interesse per la partita, a me interessa solo quando vincono”. E qui salutiamo lo spirito patriottico della mia fidanzata che ci saluta e se ne va lontano dalla Bergamasca.

    L’Italia giochicchia, Pepe fa il mattacchione sulla fascia, ma la palla non entra. All’improvviso De Rossi piroetta in area come Carla Fracci, l’arbitro rapito dalla bellezza del gesto assegna il rigore. Il rigore quindi non è stato dato per il fallo, bensì per premiare l’eleganza di De Rossi nel demi-plié.
    Iaquinta, fino a quel momento pesantemente insultato, segna con freddezza. Dopodiché ne perdiamo le tracce, vediamo solo ogni tanto un naso che si aggira per il campo, smarrito.
    Com’è come non è, stiamo 1 a 1. La mia fidanzata viene guardata male, ma lei tanto è assorta nella lettura della rivista “Cucina Naturale” e non se ne accorge.

    Nel secondo tempo nella provincia di Torino va via il segnale e in questo momento mi trovo a invidiare gli amici piemontesi. Un secondo tempo agghiacciante, lanci lunghi che i Neozelandesi, alti in media 2 metri e 15, stoppano senza difficoltà. Il portiere Paston, chiamato senza motivo Pastos dal commentatore italiano (NP, seduto al mio fianco, commenta: “Si vede che nell’intervallo ha preso la nazionalità greca”), para tutto senza stoppare niente. Molto naif però le piglia tutte.
    Finisce la partita, e siamo qui a chiederci perché. Lippi non perde occasione per litigare con i giornalisti in conferenza stampa, e ormai questo è diventato il momento più divertente delle partite dell’Italia. Quanta mestizia aleggia nell’aria.

    Chiudiamo come di consueto con l’angolo scommesse. Un po’ per scaramanzia, un po’ perché in caso avrei pianto con un occhio, ho puntato sulla vittoria della Nuova Zelanda. E per di più ho puntato anche su una somma gol di 1. In pratica se non ci fosse stato il rigore avrei vinto 32 euro. Il pareggio per 1 a 1 è il risultato peggiore che potessi aspettarmi. Ben mi sta, ma comunque qualcosina a Lippi gliela devo dire anch’io quando torna in Italia. Mi deve dei soldi.
    Comunque l’indovina di casa, la mia fidanzata, è ancora viva. Ma se contro la Slovacchia si azzarda a dire una parola, la rispedisco a casa avvolta nella collezione completa di “Cucina Naturale”.