Tag: michele padovano

  • Donato Bergamini, è stato omicidio. Lo confermano i Ris

    Donato Bergamini, è stato omicidio. Lo confermano i Ris

    Dopo la riapertura del caso e le prime informazioni trapelate nei giorni scorsi dalle analisi condotte dai Ris di Messina, esiste una certezza finalmente acquisita sulla morte di Donato Bergamini, ex calciatore del Cosenza in serie B, morto nel Novembre 1989 a seguito di circostanze finora rimaste misteriose, investito da un camioni in corsa e trascinato sull’asfalto per circa sessanta metri nei pressi di Roseto Capo Spulico, nell’alto Jonio Cosentino, sulla Statale 106. Negli anni trascorsi finora, l’interrogativo più frequente era stato il seguente: omicidio o suicidio?

    Oggi, esiste una risposta, un punto di partenza: è stato omicidio, poichè quando fu investito dal Fiat Iveco, Denis, così era chiamato dagli amici, era già morto. La conclusione, attesa da 22 anni dalla famiglia del calciatore che non ha mai creduto all’ipotesi del suicidio, è contenuta nella relazione depositata quest’oggi dai Ris di Messina presso il Tribunale di Castrovillari. La notizia di fondo, dunque, è che qualcuno ha ucciso il calciatore e poi ha inscenato il suicidio per depistare le possibili indagini investigative, supportato anche dalla versione dei fatti dell’unica testimone presente, ossia la compagna di Bergamini, Isabella, che ha sempre dichiarato di aver visto Denis “buttarsi a pesce sotto il tir in corsa” e, subito dopo, di aver rassicurato il conducente del tir dicendogli che “Denis aveva voluto suicidarsi“.

    Donato Bergamini

    Il fitto mistero, comunque, in questi 22 anni ha lasciato molti spiragli aperti alle ipotesi investigative, soprattutto considerando che coloro che conoscevano e frequentavano Denis in quel periodo faticavano a credere all’ipotesi del suicidio, perchè ricordavano il centrocampista di buon umore, sia nello spogliatoio che con i compagni, scherzoso ed allegro: tutt’altro che depresso per amore, anche perchè era stato lui a lasciare Isabella e non il contrario. Inoltre, il mistero più fitto coinvolge anche la telefonata improvvisa ricevuta da Bergamini mentre si trovava, il 18 Novembre 1989, in ritiro con la squadra, e che lo spinse a lasciare Cosenza alle 15.30 e dirigersi in direzione Taranto, percorrendo proprio la Statale 106 in compagnia di Isabella, la sua ex ragazza.

    Le supposizioni più insistenti, soprattutto nell’immediatezza dell’accaduto, riguardavano un possibile coinvolgimento della ‘ndrangheta cosentina ed, in particolare, un coinvolgimento del calciatore stesso in presunti traffici di sostanze stupefacenti, con l’acquisto (probabilmente impostogli da ambienti malavitosi, ndr) di un’auto dal doppio fondo nel portabagagli, di quelle solitamente adoperate per il trasporto di droga. Inoltre, pare che Bergamini fosse spaventato da alcune misteriose ed insistente telefonate che riceveva in quei giorni, che lo inquietavano particolarmente almeno stando alle dichiarazioni del papà del giocatore e di Michele Padovano, ex compagno di squadra di Denis ai tempi del Cosenza di Gigi Simoni.

    La perizia depositata dai Ris, dunque, sarà ora un nuovo punto di partenza per riaprire concretamente il caso “omicidio Bergamini” e dare giustizia ad un ragazzo che ha perso la vita a soli 27 anni, e la cui memoria, fino ad oggi, ha subìto soltanto false notizie ed illazioni infondate. Denis Bergamini, però, non è mai stato dimenticato dalla città di Cosenza e, soprattutto, dal tifo rossoblu più acceso, al punto da intitolargli la Curva Sud dello stadio San Vito, il cuore del tifo cosentino, che ha sempre invocato verità per Denis.

  • Morte Donato Bergamini, per i Ris fu omicidio volontario

    Morte Donato Bergamini, per i Ris fu omicidio volontario

    Era il 18 Novembre 1989 quando l’allora calciatore del Cosenza, Donato “Denis” Bergamini, morì in un tardo pomeriggio di una grigia giornata di pioggia all’età di soli 27 anni, sulla Statale 106 Ionica, nei pressi di Marina di Roseto Capo Spulico, paesino ai confini fra la Calabria e la Basilicata, investito da un camion che transitava lì, quando Bergamini si trovava sul ciglio della strada.
    Uno scenario fitto di mistero che, in questi lunghi anni, ha destato molti dubbi da parte della famiglia del calciatore e di coloro che hanno seguito l’inchiesta, sollevando soprattutto un delicato interrogativo: suicidio o omicidio?

    L’indagine avviata dopo il decesso, inizialmente parlava di omicidio colposo da parte del conducente del camion, “per imprudenza alla guida” anche se la ragazza che in quel momento si trovava in compagnia di Bergamini, e con la quale il calciatore aveva una relazione, Isabella Internò, ha sempre sostenuto che Denis si sarebbe volontariamente lanciato contro il camion in movimento, nell’intento – dunque – di suicidarsi. Una dichiarazione quella della ragazza, unica testimone, che creò da subito qualche crepa profonda nell’indagine, lasciando intendere la possibilità che, dietro al gesto del calciatore, ci potessero essere delle ombre molto oscure, dal totonero, al calcioscommesse, alla droga, a questioni familiari e personali, il tutto reso ancora più plumbeo dall’ingombrante ombra della ‘ndrangheta.

    Un’ipotesi, quella del suicidio che, dunque, la famiglia Bergamini non accettò mai, esprimendo il suo dissenso soprattutto per voce della sorella maggiore di Denis, Donata, e del padre del calciatore: secondo i familiari, infatti, si sarebbe trattato di omicidio volontario, e non di suicidio.

    Gli elementi in questione sono stati determinanti per la riapertura del caso, lo scorso anno, da parte del gip del Tribunale di Castrovillari, che accolse la richiesta della procura locale di riaprire l’inchiesta, dopo che la stessa – negli ultimi 22 anni – venne archiviata più volte, una di queste con l’assoluzione definitiva per il camionista coinvolto.

    Al momento della riapertura dell’inchiesta, lo scorso anno, inoltre, il gip Collazzo ha accolto la rubricazione dell’ipotesi di reato di omicidio volontario, così come richiesto dai familiari di Bergamini, originaria di Ferrara, e dal loro legale, l’avvocato Eugenio Gallerani, procedendo a riascoltare alcuni personaggi in qualche modo utili ai fini dell’inchiesta, come l’allora fidanzata di Bergamini e l’ex calciatore del Cosenza di quegli anni, e compagno di squadra di Denis, Michele Padovano.

    Donato Bergamini

    Oggi, 17 Febbraio 2012, i Carabinieri del Ris di Messina, comunicano i primi risultati delle analisi effettuate su alcuni indumenti che l’ex calciatore del Cosenza indossava al momento del decesso, evidenziando come si sarebbe trattato non di suicidio ma di omicidio volontario: infatti, non potrebbe essere spiegata altrimenti il fatto che non siano stati trovati danni di alcun tipo sulla catenina, le scarpe e l’orologio che Donato Bergamini indossava: se si fosse realmente “buttato” sotto al camion in corsa, venendo trascinato per circa sessanta metri dal Fiat Iveco 180 sull’asfalto, tali oggetti avrebbero di certo riportato danni considerevoli, finendo pressocchè maciullati, al pari del corpo del calciatore.

    A tal proposito, dunque, l’indagine dei Ris di Messina avrebbe accertato che le ferite sarebbero state procurate quando il corpo era già a terra, e non prima, e che Bergamini non avrebbe camminato, come invece sosteneva la ex ragazza, su una “piazzola di sosta piena di pozzanghere” prima di “buttarsi a pesce” sotto il camion, proprio perchè sotto la suola delle scarpe che indossava non è stata rinvenuta alcuna traccia di fango nonostante quel tardo pomeriggio di Novembre fosse molto piovoso.

    Nonostante le notizie sulle analisi compiute dai Ris di Messina siano ormai trapelate, la procura di Castrovillari – nella persona del procuratore Giacomantonio – non ha ritenuto opportuno commentarle in alcun modo, preferendo attendere che la relazione del Ris giunga ufficialmente a Castrovillari, presumibilmente entro la fine del mese di Febbraio. Sarà necessario, dunque, attendere ancora, ma pare di intravedere uno spiraglio di luce su una vicenda finora contraddistinta dalle tenebre.

  • Michele Padovano condannato il pusher della Juve

    Michele Padovano condannato il pusher della Juve

    Brutte notizie per l’ex attaccante della Juventus anni novanta Michele Padovano, autore di 56 gol in serie A e vincitore, nella Juventus targata Marcello Lippi, di scudetti, Champions League, Coppa Intercontinentale e Supercoppa Europea. L’ex attaccante, infatti, è stato condannato ad otto anni ed otto mesi di reclusione dal Tribunale di Torino per associazione a delinquere finalizzata a traffico di stupefacenti, in contrasto con quanto richiesto inizialmente dal pm Antonio Rinaudi, che aveva chiesto ben 24 anni e sei mesi di reclusione.

    Michele Padovano condannato per droga | ©Allsport UK/Allsport
    Michele Padovano, ora 45 enne, era stato arrestato nel Maggio 2006 in un’operazione antidroga internazionale, condotta fra Italia e Spagna, dove vennero sequestrati ben 23 quintali di hashish, corrispondenti a 14 milioni di euro, che venivano trasportati fra l’Italia e la Spagna in camion destinati al trasporto di frutta ed agrumi.

    A seguito dell’arresto, insieme al suo complice Luca Mosole – ritenuto il capo dell’organizzazione – a Michele Padovano vennero, nel 2007, concessi i domicilari: un bel “privilegio” per colui che – si stima – mediante tali “operazioni” avrebbe guadagnato complessivamente circa il quintuplo del denaro originariamente investito nell’acquisto delle sostanze stupefacenti.

    La questione Michele Padovano, poi, sembra aggravata anche – in termini di risonanza mediatica soprattutto – dalle accuse  a suo carico mosse dal padre di Mark Iuliano, ex difensore bianconero e, ai tempi, compagno di squadra di Padovano nella Juventus.

    Alfredo Iuliano, dalla sua pagina Facebook, infatti, accusa l’ex giocatore di essere stato pusher dello spogliatoio e di aver rifornito, fra gli altri, anche suo figlio Mark, oltre a Gianluca Vialli e Bachini. In particolare, Mark Iuliano – stando alle dichiarazioni di suo padre Alfredo – aveva una stima ed un affetto infiniti per il suo compagno di squadra Padovano, fin dai tempi della militanza di Padovano nel Cosenza (la città di cui la famiglia Iuliano è  originaria, ndr).

    Alfredo Iuliano, poi, rincara la dose, definendo Michele Padovano come un “cancro da espiare” poichè ha rovinato decine e decine di calciatori, attribuendo le colpe principalmente al suo passato difficile, connesso all’essere cresciuto in orfanotrofio e ad aver frequentato fin da piccolo “ambienti difficili”, portando, poi, anche nel mondo calcio le sue cattive abitudini.