Tag: Cronaca

  • Basket, morto il cestista Martin Colussi

    Basket, morto il cestista Martin Colussi

    Il basket italiano si è risvegliato con una tragica notizia. Infatti stamani è stato ritrovato morto il 31enne Martin Colussi, giocatore di pallacanestro militante nella Basket Veroli in Legadue. L’auto sulla quale viaggiava il cestista è stata ritrovata intorno alle 6 lungo la statale 13 Pontebbana, nel comune di Orcenico (Pordenone). L’abitazione di Colussi si trova nelle vicinanze del luogo dove è avvenuto il tragico incidente quindi si presume che stava rientrando con la sua Volkswagen Golf nera verso la sua abitazione (Casarsa della Delizia).

    Gli agenti sopraggiunti sul luogo dell’incidente hanno notato sulla carreggiata alcuni segni di un’uscita di strada e seguendo le tracce hanno ritrovato la macchina di Colussi in un fiume. Per riportare l’auto sulla strada e caricarla su un automezzo è stato necessario l’intervento della gru dell’unita’ fluviale dei vigili del fuoco. Non è ancora chiaro nè l’ora nè le cause della morte ma si presume potrebbe trattarsi di un malore o di un colpo di sonno.

    Martin Colussi era molto stimato nel mondo del basket italiano. La sua carriera, iniziata nel settore giovanile del Gorizia è proseguita poi nel Fabriano dove ha esordito in A2. Gli anni migliori li ha vissuti nel Pavia dove ha militato per ben 3 stagioni con il ruolo di capitano della squadra lombarda. Dopo l’esperienza a Pavia, nel 2010 arriva la grande occasione ovvero giocare stabilmente in una formazione di Serie A come la Juve Caserta. L’esperienza campana dura appena un anno e Martin Colussi nell’ultima stagione ha militato nelle fila del Basket Veroli in Legadue. Basket Veroli che vuole ricordare il proprio giocatore attraverso una nota pubblicata sul proprio sito ufficiale e che vi proponiamo di seguito:

    La Società Basket Veroli è in lutto per l’improvvisa scomparsa del giocatore Martin Colussi, trovato morto questa mattina a seguito di un incidente stradale sulla strada Pordenone-Udine.

    Il Presidente Leonardo Zeppieri, il CDA, la squadra, lo staff, tutti i tifosi si stringono accanto alla famiglia di Martin Colussi con un forte abbraccio . Queste le parole del Presidente Leonardo Zeppieri: “Una notizia drammatica. Avevamo parlato con Colussi, insieme a Bartocci, mercoledì scorso per manifestargli la fiducia e la stima che avevamo in lui. Volevamo dimostrare quello che poteva essere il vero Martin Colussi, con l’idea di ricostruire una squadra con lui nel ruolo di guardia. Ci eravamo lasciati con un appuntamento per metà giugno. Ora il pensiero e l’abbraccio va alla famiglia, alla fidanzata, agli amici ed a tutti quelli che lo conoscevano.” Affranto anche il General Manager, Ferencz Bartocci “Mi ero sentito con Martin venerdì sera per firmare il prolungamento della clausola di uscita. L’idea era di proseguire con lui anche il prossimo anno e personalmente eravamo rimasti che ci saremmo visti lunedì o martedì sera in occasione delle Finali Nazionali di Udine per concordare insieme  i termini del contratto per la prossima stagione. Con Martin ho avuto la possibilità di instaurare un rapporto schietto, in un anno di difficoltà. In questo momento l’unico pensiero va ad un ragazzo che aveva voglia di mordere il mondo. Lo ricordo così nell’ultima chiacchierata a quattrocchi con lui. Mi aveva detto: «non posso pensare di andare via da Veroli senza lasciare un bel ricordo». Forse proprio queste parole ci avevano spinto a credere ancora in lui. Come società, Presidente, CDA, staff e squadra saremo vicini alla famiglia in questo momento di grande dolore.”

    La redazione de Il Pallonaro si unisce al dolore dei familiari per la prematura morte di Martin Colussi.

  • Morto Rashidi Yekini, attaccante simbolo della Nigeria

    Morto Rashidi Yekini, attaccante simbolo della Nigeria

    Altro lutto nel mondo del calcio. Ieri è morto, all’età di 48 anni, Rashidi Yekini, attaccante simbolo della mitica Nigeria dei Mondiali di Usa ’94. L’ex attaccante nigeriano versava da un paio di settimane in condizioni precarie che sono precipitate nella giornata di ieri quando è deceduto nella città di Ibadan.

    Rashidi Yekini passò alla storia per l’esultanza dopo il goal segnato alla Bulgaria durante la coppa del mondo di dodici anni fa. Nei mondiali di Usa ’94, la Nigeria fu l’autentica rivelazione della manifestazione in quanto si spinse fino agli ottavi di finale quando venne eliminata dall’Italia allenata da Arrigo Sacchi.

    Il goal segnato alla Bulgaria fu il primo di trentasette marcature messe a segno da Yekini  in settanta presenze  con la maglia della nazionale nigeriana, nessun nigeriano ha fatto meglio di lui indossando la maglia della Nigeria. Nel suo palmares annoveriamo il pallone d’oro africano vinto nel 1993 e la coppa d’Africa vinta nel 1994, due anni dopo il bronzo ottenuto nella coppa d’Africa del 1992. Vale la pena ricordare che l’ex attaccante nigeriano è stato il miglior cannoniere della coppa d’Africa sia nel 1992 che nel 1994.

    Rashidi Yekini © VINCENT AMALVY/AFP/GettyImages

    A livello di club non ha avuto grandi fortune basti pensare che i suoi anni migliori li ha vissuti con la maglia del Vitoria Setubal, club portoghese per il quale ha militato 4 anni tra il 1990 e il 1994 totalizzando 108 presenze e 90 goal. Dopo l’esperienza in Portogallo, Rashidi Yekini ha vestito le maglie di numerose squadre tra cui ricordiamo l’Olympiakos in Grecia e lo Sporting Gijon in Spagna. Dopo le esperienze in Grecia e in Spagna ritornò al Vitoria Setubal per un sola stagione, prima di andare a giocare a Zurigo in Svizzera. Negli ultimi anni della sua attività agonistica giocò anche in Costa d’Avorio per poi finire la carriera in patria, dove nel 2005 si ritirò dall’attività all’età di 41 anni.

  • Giallo morte Bergamini, fu evirato? Il Pm smentisce

    Giallo morte Bergamini, fu evirato? Il Pm smentisce

    Quando un giallo appare sul punto di risolversi, ecco che giunge il colpo di scena; succede nei migliori film, così come nei libri di Agata Cristhie e, purtroppo, anche nella realtà. Il giallo in questione è quello legato alla morte di Donato Denis Bergamini, calciatore del Cosenza anni ’80, morto il 18 Novembre 1989 nei pressi di Roseto Capo Spulico, sulla statale 106 Jonica. Una morte misteriosa, sulla quale in questi ventitre anni si sono rincorse solo supposizioni, calunnie, false notizie, false testimonianze, ricostruzioni parziali: tanta nebbia, una fitta coltre difficile da superare.

    Donato Bergamini

    Tutto ciò, però, sembrava destinato a diradarsi, con la riapertura delle indagini da parte della procura di Castrovillari che, con il procuratore Giacomantonio, ha fatto compiere un importante passo avanti alle indagini: è stata smontata, così, l’ipotesi di suicidio – per anni portata avanti dall’allora fidanzata del calciatore, unica testimone oculare – analizzando, con il lavoro dei Ris, l’ottimo stato di conservazione dell’orologio che Denis Bergamini indossava al momento della morte, incompatibile con l’eventuale dinamica del suicidio, in cui si sarebbe lanciato contro un Tir che lo avrebbe trascinato per sessanta metri sull’asfalto.

    Nonostante i recenti sviluppi abbiano portato ad una maggiore chiarezza su uno dei punti focali della vicenda, è emerso in questi giorni un particolare agghiacciante relativo al cadavere del povero Bergamini, risultante da una perizia redatta nel 1990 dal medico legale Francesco Maria Avato: nella perizia in questione, il dottor Avato avrebbe rilevato che Bergamini sarebbe stato evirato e sarebbe, poi, morto dissanguato proprio a seguito delle mutilazioni subite al basso ventre. Una circostanza che potrebbe far pensare, in prima battuta, ad una “punizione” inflitta anche in maniera simbolica, giustiziando Bergamini per questioni legate a fatti sessuali o ad una relazione sentimentale “scomoda”.

    Tuttavia, nonostante la perizia redatta un anno dopo la morte del calciatore sia, ora, riemersa fra le carte dell’indagine, la procura di Castrovillari – nella persona dello stesso Giacomantonio – ha voluto smentire la notizia categoricamente, aggiungendo anche di aver avuto “un sussulto alla vista della locandina che riportava la notizia apparsa sul Quotidiano della Calabria”. Il procuratore di Castrovillari, dunque, ha definito la notizia un “falso scoop”: le mutilazioni e la devastazione del bacino del calciatore ci sono state ma, secondo quanto sostenuto dalla procura di Castrovillari, sarebbero state causate da “schiacciamento” e non da arma da taglio.

    Nel panorama investigativo, però, le certezze paiono davvero poche, considerando il fatto che se si fosse trattato effettivamente di evirazione punitiva, le indagini sarebbero state in qualche modo manipolate, non rilevando un elemento tanto agghiacciante quanto rilevante  ai fini investigativi, indirizzandosi, invece, su binari ben differenti, fra cui la pista del traffico di droga: quest’ultima ipotesi, però, nonostante fosse stata battuta per lungo tempo, si sarebbe rivelato un “binario morto” secondo la procura, considerando anche il fatto che dai rilievi effettuati sulla Maserati Biturbo del calciatore non sarebbe emersa alcuna manomissione nè alcun tipo di doppiofondo e, pertanto, nessun elemento parrebbe confermare il suo coinvolgimento in traffici di stupefacenti.

    In tanta oscurità, dunque, l’unico punto fermo pare essere la determinazione certa ed inconfutabile di quanto accaduto quel pomeriggio di Novembre: in tal senso, dunque, la procura attende nei prossimi giorni l’esito dell’ultima perizia, in ordine cronologico, commissionata al professor Testi dell’Università di Torino. Sarà sufficiente a scrivere la parola fine su questo giallo?

  • Ciclismo, finisce una farsa. Riccardo Riccò squalificato 12 anni

    Ciclismo, finisce una farsa. Riccardo Riccò squalificato 12 anni

    La parola fine per la carriera di Riccardo Riccò è stata sancita questa mattina a Roma dal Tribunale Nazionale Antidoping che ha inflitto all’ex corridore modenese ben 12 anni di squalifica.

    Accolta in pieno quindi la richiesta dell’accusa della Procura Antidoping del Coni avanzata il 12 ottobre scorso che comunque in molti avevano abbastanza criticato, vedendo nella radiazione la richiesta di sanzione più giusta da infliggere a Riccò.

    Era il 6 febbraio 2011 e Riccò viene portato d’urgenza al Pronto Soccorso dell’ospedale di Pavulla, ai medici che lo soccorsero, stando al referto, Riccò disse di essersi fatto “una autotrasfusione con il sangue che conservava in frigo da 25 giorni”. A confermarlo ci furono le dichiarazioni di otto testimoni, tra cui il personale del 118 e i dottori del pronto soccorso Giuseppe Barozzi e Paolo Maffei. L’infermiere che gli praticò la prima flebo notò inoltre un ematoma sul braccio, tipico di una puntura da ago. La difesa del corridore invece avanzava l’ipotesi di un’infezione sanguigna causata da una flebo infetta, sostenendo che Riccò in quel periodo stesse facendo una cura di ferro. Spiegazione non fornita ai medici di Pavullo né a quelli di Baggiovara, che lo tennero in cura per 12 giorni, ma tirata fuori solo otto mesi dopo. La superperizia ordinata dal giudice Francesco Plotino a tre esperti invece confermò che le condizioni di Riccòfossero riconducibili a una trasfusione di sangue mal conservato.

    Riccardo Riccò ©VINCENZO PINTO/AFP/Getty Images

    Si certo, 12 anni allontanano per sempre l’ex cobra dalle strade come atleta ma forse una radiazione poteva allontanarlo anche da qualsiasi coinvolgimento futuro che Riccò potrebbe avere ancora nel mondo del ciclismo. Riccardo Riccò all’apice della sua carriera era da molto additato come l’erede di Marco Pantani, la sua andatura con le mani basse in salita ha fatto trepidare di gioia molti tifosi (compreso chi vi scrive), purtroppo dei poveri illusi che hanno creduto ad una farsa sin dalle sue prime pedalate. Già pescato positivo al CERA durante il Tour del 2008, Riccardo Riccò si era rimesso in gioco promettendo di aver fatto tesoro dei suoi errori, diciamo di gioventù ma quando lo scorso 6 febbraio 2011, il modenese fu ricoverato d’urgenza ed in condizioni gravissime all’ospedale di Pavullo tutti avevano sospettato ma nessuno avrebbe mai pensato che si potesse giocare così tanto con la propria vita

  • Omicidio Bergamini, escluso il movente droga

    Omicidio Bergamini, escluso il movente droga

    Alcuni casi di cronaca italiani sembrano dei gomitoli difficile da districare, lasciati lì, ingarbugliati ed annodati in un angolo, impolverati dal tempo che scorre, e dal trascorrere dei giorni, dei mesi, degli anni. Il caso legato alla morte di Donato Denis Bergamini è uno di questi gomitoli, in cui pareva impossibile “trovare il bandolo della matassa” ma che, contrariamente a molti casi mai risolti e “dimenticati”, sta riemergendo all’attualità delle cronache, soprattutto grazie ad alcune novità emerse negli ultimi due mesi nell’ambito dell’indagine portata avanti dal procuratore capo di Castrovillari, Franco Giacomantonio, che hanno stravolto le prospettive delle indagini precedenti, che si alternavano fra ipotesi di suicidio, coinvolgimento in traffici di droga e misteriosi retroscena connessi alla Maserati a doppio fondo dell’ex calciatore del Cosenza.

    Dopo i rilievi compiuti nello scorso mese di Febbraio dai Ris era stata esclusa la tesi di suicidio, che, invece, era stata sempre sostenuta dall’unica testimone oculare presente in quel pomeriggio piovoso di Novembre, sulla statale 106 nei pressi di Roseto Capo Spulico, l’ex fidanzata Isabella Internò: non è stata rinvenuta compatibilità fra le tracce rinvenute sugli oggetti indossati da Bergamini, (soprattutto l’orologio, rimasto praticamente intatto, ndr) e l’ipotesi di suicidio, gettandosi sotto il tir che lo avrebbe trascinato per 60 metri sull’asfalto.

    Donato Bergamini

    I rilievi compiuti dai Ris, poi, hanno portato alla luce un’ulteriore aspetto, rimasto finora nel limbo dell’incertezza: non esisteva alcun doppio fondo nella Maserati posseduta da Bergamini, perchè l’automobile non possedeva le caratteristiche tecniche necessarie, nè è stata rinvenuta traccia di possibile manomissione e, dunque, viene meno l’ipotesi di un suo coinvolgimento, consapevole o meno, nel traffico di droga legato alla ‘ndrangheta, in veste di corriere.

    Una rivelazione assolutamente clamorosa, considerando che, per lungo tempo, tale elemento veniva considerato proprio uno delle “chiavi di volta” dell’inchiesta, che cercava di associare la morte dell’allora ventisettenne Denis ad “amicizie pericolose”, connesse proprio al traffico degli stupefacenti.

    Se, dunque, il “campo” appare, ora, finalmente sgombro da false notizie, e da supposizioni infondate, gli inquirenti dovranno compiere un ulteriore e, ci si augura, decisivo passo avanti nell’indagine: individuare il movente dell’omicidio, per comprendere – una volta per tutte – chi ha “mosso i fili” in quel lontano 18 Novembre 1989. Le piste da considerare, dunque, escludendo quelle legate al mondo della malavita organizzata, sono da ricondursi perlopiù in ambito strettamente personale, per capire chi e cosa ha scatenato tale delitto. In particolare, come spesso accade in tali casi, l’attenzione si dovrà soffermare sulla ricostruzione minuziosa delle ultime ore di vita del calciatore, definendone nel dettaglio spostamenti, contatti, telefonate, approfondendo il ruolo di alcune persone che pare abbiano avvicinato Bergamini all’uscita dal cinema dove si trovava insieme ai compagni di squadra. In tal senso, poi, appare assolutamente prioritario effettuare un ulteriore verifica sul ruolo dell’ex compagna, in virtù del fatto che la sua versione dei fatti non collima più con le tesi investigative e, soprattutto, con le indagini della scientifica.

    Elementi essenziali da sciogliere ancora, ma che renderanno finalmente chiaro, dopo 23 lunghissimi anni, il quadro di una vicenda rimasta nell’ombra per troppo tempo: tutti i nodi, però, prima o poi, “vengono al pettine”.

  • Bunga Bunga ad Arcore, perizoma e con la maschera di Ronaldinho

    Bunga Bunga ad Arcore, perizoma e con la maschera di Ronaldinho

    Dopo la caduta del governo Berlusconi, ed il clima di serietà e morigeratezza connesso al governo Monti, i retroscena dei festini di Arcore non sembravano essere più d’attualità, in particolare in un momento di grande crisi generale, e di totale distacco dell’opinione pubblica dalla classe “politica”, o pseudo tale, e dai suoi componenti.

    Ogni tanto, però, quelle vicende scabrose sembrano riemergere, lasciando trapelare qualche particolare “significativo” del contesto in cui alcuni personaggi di spicco (Nicole Minetti, Emilio Fede e Lele Mora, ndr) trascorrevano le loro serate. In una delle udienze del Caso Ruby a carico di Berlusconi, ha parlato ieri la teste marocchina Imane Fadhil, interrogata dal Tribunale penale della quarta sezione di Milano. La ragazza ha tracciato una descrizione dell’atmosfera delle diverse feste di Villa San Martino, residenza dell’ex Premier.

    Ronaldinho | © Clive Rose/Getty Images

    Oltre alla Minetti ed a Barbara Fagioli travestite da suore, in stile sister act, la giovane marocchina ha rivelato un particolare “inedito” di una delle serate, svoltasi nell’agosto 2010. In tal caso, pare che la giovane modella brasiliana Iris Berardi, una delle protagoniste delle serate insieme alle gemelle napoletane De Vivo, si fosse travestita da Ronaldinho, con tanto di maglia del Milan, divisa da gioco e maschera del giocatore brasiliano. Naturalmente, dopo l’apparizione in “scena”, nell’ormai celeberrima “sala del bunga bunga”, seguiva lo strip di rito, per restare in abiti succinti e, poi, in perizoma.

    Oltre al riferimento alla Berardi travestita da Ronaldinho, la giovane marocchina nel corso della sua deposizione ha rivelato anche che l’ex presidente del Consiglio le avrebbe chiesto alcuni consigli in merito a “cosa fare per poter rinforzare il suo Milan”. A tale domanda, Imane Fadhil avrebbe risposto che, a suo avviso, era necessario l’acquisto di un giocatore “forte e giovane”.

    Una risposta che, a giudizio dell’ex Premier, avrebbe denotato competenza in materia calcistica, al punto da proporre – dopo aver consultato Adriano Galliani – alla giovane marocchina un posto di lavoro nel canale tematico dedicato alla squadra rossonera, Milan Channel.

  • Atalanta intitola curva sud a Piermario Morosini

    Atalanta intitola curva sud a Piermario Morosini

    La tragedia Morosini  ha scosso tutto il panorama calcistico italiano e quello internazionale. Dopo il ritiro della maglia  n°25 da parte del Vicenza e del Livorno, un altro bellissimo gesto arriva da Bergamo, da parte dell’ Atalanta, che intitola la Curva Sud dello Stadio Atleti Azzurri allo sfortunato calciatore.

    La decisione è stata presa dal Consiglio comunale del capoluogo lombardo, di fatto, all’unanimità ha approvato la proposta di intitolazione del settore “curva sud” dello stadio Atleti Azzurri al calciatore bergamasco. Un’altra decisione simile venne presa nel 1997, quando i tifosi bergamaschi e la società decisero di intitolare la curva Nord a Federico Pisani, giovane promessa atalantina, scomparso in un incidente stradale. A differenza del capitolo Morosini, l’intitolazione della Curva NordPisani“, non è mai stata resa ufficiale dal Consiglio comunale di Bergamo.

    Stadio Atleti Azzurri, "Curva Sud", © Marco Luzzani Getty Images Sport
    Morosini nacque a Bergamo. E’ li che mosse i suoi primi passi calcistici. Il popolo bergamasco lo ricorda con grande dolore. Era un ragazzo umile e generoso, spiega la gente, nonostante fosse un calciatore affermato, ha sempre mantenuto la sua umanità. Non giocava per il denaro, per lui il calcio era una ragione di vita, una passione che rincorreva fin da quando era bambino. Dopo la scomparsa della madre e successivamente del padre, Piermario continuò a lottare, rifugiando il suo dolore sul prato verde. Di certo Morosini non ha avuto una vita facile e fortunata, ma il suo modo di giocare rispecchiava quello che era nella vita. Mediano, grinta e polmoni, un guerriero che metteva le sue caratteristiche al servizio della squadra. I compagni lo ricordano con le lacrime agli occhi, spiegando che, nonostante Piermario avesse sul viso i segni di una vita devastante, non  ha mai negato un sorriso nello spogliatoio, amava stare in compagnia e la sua scomparsa  addolora tutti nel profondo, perchè ci lascia un grande uomo non un semplice calciatore.

  • Morosini, autopsia rivela difetto genetico al cuore? Giovedì i funerali

    Morosini, autopsia rivela difetto genetico al cuore? Giovedì i funerali

    Fa ancora discutere la morte di Morosini. Nuovi inquietanti sospetti emergerebbero infatti dai primi risultati dell’autopsia effettuata sul corpo dello sfortunato giocatore bergamasco, deceduto in campo nel corso dell’incontro di Serie B tra Pescara Livorno di sabato scorso. Nel frattempo l’Ansa ha riportato la notizia che i funerali si terranno giovedì 19 aprile a Bergamo presso la chiesa di Monterosso alle ore 11. In città è previsto l’arrivo di una folla oceanica, pronta a tributare l’ultimo saluto al “Moro”, un ragazzo genuino, solare, sempre con il sorriso, nonostante un destino avverso già in passato si fosse accanito contro di lui.

    Autopsia. Morosini non sarebbe morto né per infarto né per un aneurisma cerebrale, come invece si era ipotizzato all’ospedale di Pescara in seguito al decesso. Pur rimanendo nel campo delle ipotesi, si parla di un probabile difetto genetico al cuore come causa della tragedia che ha tolto la vita al calciatore 25 enne del Livorno. Nei prossimi giorni sono previsti ulteriori esami sul Dna di Morosini, finalizzati ad identificare la natura dell’anomalia cardiaca. I medici non escludono una relazione con la morte del padre, deceduto in seguito ad una malattia del cuore quando il “Moro” aveva 15 anni. Inoltre verrà accertato se Morosini sarebbe potuto sopravvivere, qualora l’intervento dei soccorsi fosse stato più celere.

    Piermario Morosini | © Maurizio Lagana / Getty Images

    Il Picchi come camera ardente. Conclusa l’autopsia, la salma dello sfortunato calciatore raggiungerà la città natale di Bergamo. Prima di tornare a casa, Morosini verrà accolto dai tifosi del Livorno presso l’Armando Picchi. Questa la decisione presa dal presidente Spinelli, che ha voluto rendere l’ultimo omaggio al suo giocatore. Inoltre la società del Livorno, insieme al Vicenza, ha annunciato di aver ritirato per sempre il numero 25 dalle maglie del club. Il Picchi ospiterà la bara di Morosini nella giornata di domani, durante la quale è previsto anche un commovente giro di campo.

  • E’ morto Carlo Petrini denunciò il doping nel calcio “Nel fango del dio pallone”

    E’ morto Carlo Petrini denunciò il doping nel calcio “Nel fango del dio pallone”

    Ancora una morte nel mondo del calcio. Dopo una lunga malattia, è morto Carlo Petrini, ex giocatore della Roma di Liedholm. Aveva 64 anni. Stamane il suo cuore ha smesso di battere nell’ ospedale di Lucca dove era da tempo ricoverato.

    Cresciuto nelle giovanili del Genoa, vestì anche la maglia del Milan nel 1968-1969, con cui vinse una Coppa dei Campioni nel 1968-1969, e del Torino (’69 a ’71), con cui vinse la Coppa Italia 1970-1971. Successivamente vestì le maglie di Catanzaro, Ternana, Roma, Verona, Cesena e Bologna. Ma la carriera di Carlo Petrini fu contornata e macchiata nel 1980, quando fu coinvolto nel capitolo “calcioscommesse“. Fu squalificato per 3 anni e 6mesi, squalifica revocata  dopo la vittoria del mondiale del 1982 da parte dell’ Italia.

    Carlo Petrini
    Abbandonato il calcio, si dedicò agli affari, gestendo una propria attività finanziaria, ma anche qui venne indagato per via di intrecci strani e poco chiari, che lo portarono al fallimento. Di li a poco si trasferì in Francia, per sfuggire ai suoi creditori. La vita di Carlo Petrini – Nel fango del Dio Pallonevenne segnata anche dalla scomparsa prematura del figlio Diego a causa di una grave malattia, figlio con cui aveva chiuso i rapporti 6 anni prima.

    Nel 1998 ritornò in Italia e nel 2000 scrisse il suo primo libro libro intitoltato “Nel fango del dio pallone. Libro con cui Carlo Petrini raccontò in prima persona le realtà del calcio degli anni ’60 e ’70. Fu lui a denunciare apertamente l’uso del doping in quegli anni. Petrini scrisse di esservi ricorso più volte anche grazie alla la complicità dei medici sportivi. Ma è l’intero sistema del calcio di quegli anni che nel libro viene messo sotto accusa:  doping, partite truccate (con coinvolgimento di calciatori e società), pagamenti in nero, insomma una vera e propria “mafia calcistica”. In seguito Petrini pubblicò un altro libro dal titolo “Il calciatore suicidato”, dove indagò in prima persona sulla misteriosa morte di Donato Bergamini, calciatore del Cosenza, ritrovato morto nel 1989 sulla Statale 106, presso Roseto Capo Spulico.

    Sono tanti i ricordi che ci ha lasciato Carlo Petrini, uomo che pur commettendo gravi errori nella sua vita, aveva “ripulito” la sua immagine, denunciando il marcio nel mondo del calcio di quegli anni.

  • Addio a Morosini, il tragico destino di un ragazzo provato dalla vita

    Addio a Morosini, il tragico destino di un ragazzo provato dalla vita

    Una partita come tante, una festa per tanti trasformata in tragedia. Per chi, come me era allo stadio Adriatico di Pescara per lavorare e raccontare le gesta sul rettangolo verde, come ‘ogni maledetta domenica’ verrebbe da dire citando un noto fil sullo sport, sarà difficile dimenticare. Un giovane di nemmeno 26 anni, che stava facendo ciò che sin da bambino ha amato, giocare a calcio, ci lascia. Dicono che “la morte più bella sia quella che ti coglie mentre fai ciò che ami di più”, ma non esiste una morte che non lasci dietro di sé dolore né può esistere un’esistenza che si spegne e possa essere definita migliore di altre.

    Era trascorsa appena mezz’ora dall’inizio del match e la sua squadra, il Livorno, era in vantaggio, a sorpresa, per due reti contro i padroni di casa del Pescara: Piermario Morisini improvvisamente si accascia al suolo. Piermario ha barcollato, tentennato, poi è caduto a faccia in giù. Resta scolpita nella mente l’immagine di quel momento, incancellabile. Attimi interminabili, secondi che sembrano celare dentro sé l’eternità. Dalla panchina del Pescara massaggiatore e medico, che erano i più vicini, sono schizzati in campo senza neanche attendere l’arbitro: massaggio cardiaco, respirazione artificiale, qualche segnale di ripresa. L’ambulanza tarda ad arrivare, i calciatori in campo si disperano, tanto i biancazzurri quanto gli amaranto, mentre qualcuno di loro, Verratti prima e Zanon con altri poi, istintivamente cercano una barella. L’ambulanza è stata bloccata all’ingresso da una macchina dei vigili urbani posizionata male. Sono minuti interminabili. La corsa all’Ospedale di Pescara. Per un’ora e mezza i medici in ospedale hanno poi provato a rianimare Morosini: tutto inutile, persino un pacemaker via endovena non è servito a far ripartire quel cuore. Piermario ci lascia.

    Piermario Morosini © Dino Panato/Getty Images

    Una morte assurda, che segue di appena due settimane un’altra morte, quella di Franco Mancini, preparatore dei portieri del Pescara, stroncato da un infarto all’improvviso. “Quando sono sceso in campo Morosini era in arresto cardiaco e respiratorio, abbiamo praticato il massaggio cardiaco per un’ora e mezza prima solo manualmente e poi con diversi strumenti, ma non c’é stato nulla da fare. Non si può dire se la causa sia cerebrale o cardiaca, questo può stabilirlo solo una eventuale autopsia“. Lo ha affermato all’Ansa il dott. Paloscia, responsabile dell’Unità Coronarica dell’Ospedale di Pescara, che era allo stadio come tifoso e che per primo ha tentato di rianimare il giocatore.

    All’esterno dell’Ospedale commozione e disperazione di calciatori, dirigenti e tifosi si unisce creando un vortice di emozioni violente ed indescrivibili.
    Ora è solo il tempo del silenzio e del cordoglio, il tempo di fermarsi a riflettere e ricordare un ragazzo che ci ha lasciato. E’ il tempo del rispetto. Il dramma consumatosi allo stadio Adriatico con il malore ed il successivo decesso di Piermario Morosini ha comportato il doveroso ed opportuno stop al calcio: non si gioca in questo weekend. Non c’è bisogno di sottolineare che è giusto così.

    La discussione sui controlli medici, sulla celerità dei soccorsi, sull’accertamento di eventuali responsabilità con il pm della Procura pescarese Valentina D’Agostino che ha disposto l’autopsia, già affidata all’anatomopatologo di Pescara Cristian D’Ovidio, avrà uno spazio nei giorni successivi.

    Pensavo che la vita l’avesse già provato fin troppo e invece è arrivata anche quest’ultima tragedia“: Mino Favini, responsabile del settore giovanile dell’Atalanta, ricorda così Piermario Morosini all’Ansa. “Aveva perso la mamma che era un bambino e poi il papà, poi il fratello handicappato si è suicidato e gli era rimasta la sorella, anche lei con handicap. Era triste, ma dolcissimo e disponibile“. La dolcezza è il ricordo che Piermario lascia: tanti amici e tanti colleghi hanno esperesso il proprio cordoglio ed inviato messaggi. ”Sembrava sorridesse, era bellissimo”, ha detto la fidanzata Anna dopo averlo visto in Ospedale. Un altro Angelo è volato in cielo, troppo presto, lasciando questa vita terrena di sofferenze.

    Ciao Piermario…