Tragedia per l’atleta keniota Marko Cheseto: scomparso da domenica ad Hancorage, cittadina dell’Alaska, il 28enne africano è stato finalmente ritrovato ma viste le sue precarie condizioni di salute ha subìto l’amputazione di entrambi i piedi, con il forte rischio di poter perdere anche le mani a causa dell’assideramento. Cheseto infatti da qualche tempo viveva in Alaska dove aveva accettato una modesta borsa di studio (in infermieristica e nutrizione) per allenarsi e correre le campestri visto che il suo grande sogno, quello di correre le maratone, non aveva potuto trovare (finora) realizzazione.
Marko Cheseto | immagine tratta dal web
Domenica era uscito alle 7 di sera, con un cappotto leggero e le scarpe da ginnastica, dalla facoltà di Scienze sociali per i soliti allenamenti. Lunedì però i suoi compagni di dormitorio ne avevano denunciato la scomparsa. Ieri infine, dopo 48 ore di estenuanti ricerche nei boschi con i cani e gli elicotteri, è riapparso all’improvviso dalla tempesta di neve nella quale era scomparso. Stremato e malconcio Marko si è trascinato nel campus in condizioni agghiaccianti con le mani in ipotermia, i piedi così congelati da essersi saldati con le scarpe. Da brividi le dichiarazioni dei medici dopo averlo soccorso:
“Non siamo riusciti a togliergli le scarpe, prima di amputare, erano un tutt’uno con i piedi“.
Ovvio che appena possibile a Cheseto saranno rivolte domande per far luce sull’accaduto, su cosa sia veramente successo in questo lasso di tempo di 48 ore.
Al momento le sue prime ed uniche parole, appena ripresa conoscenza, sono state di ringraziamento per la comunità:
“Farò del mio meglio per ripagare la comunità che mi ha aiutato così tanto: mi scuso sinceramente per tutti i problemi che ho causato“.
Cheseto a febbraio aveva perso il connazionale, amico e compagno di allenamenti William Ritekwiang, che si è suicidato a soli 23 anni. Il sogno dello sfortunato atleta keniota, quello di poter correre un giorno la maratona, e far parlare di sè, è andato ormai in pezzi, ma a lui vanno i nostri più sinceri auguri di una pronta guarigione. E che il futuro possa sorridergli ugualmente dopo questo brutto e tragico avvenimento sperando che la sua forza d’animo riesca a prevalere nei momenti di sconforto.
Inopportuno, indelicato, poco sensibile: Joseph Blatter, presidente della Fifa, dopo l’ultima gaffe in ordine cronologico per ovviare al razzismo calcio, ritiene che sia sufficiente scusarsi per metter fine alle polemiche scatenate dalle sue dichiarazioni rilasciate a Fox Soccer, in cui il presidente svizzero sosteneva che fosse sufficiente “una stretta di mano a fine gara per metter fine alle tensioni provocate da insulti razziali nel corso delle partite”.
Rio Ferdinand, pilastro della Nazionale inglese, definisce “ignoranti” le parole del massimo esponente della Fifa, così come David Beckham, che oltre a definire inappropriato l’ intervento di Blatter, ha precisato che il razzismo calcio“non si può spazzare via nascondendolo sotto il tappeto”, ribadendo come si tratti di un problema molto serio per il mondo del calcio – riflesso di un problema intrinseco alla società – e che, pertanto, non dev’essere nè ignorato, nè sminuito.
Alla luce della gaffe commessa, appaiono troppo comode, dunque, le semplici scuse del numero uno della Fifa, che – resosi conto tardivamente della risonanza negativa delle sue parole – aveva provveduto a diffondere su Twitter una lettera di rettifica, unitamente ad una sua foto insieme ad un ministro di colore Sudafricano.
In aggiunta, ha provveduto, inoltre, alla diffusione di un’ ulteriore rettifica alla Bcc, nella quale si definisce “amareggiato” per l’accaduto e per le “sfortunate parole adoperate”, precisando però, come – nonostante l’errore commesso – non abbia alcuna intenzione di dimettersi, perchè le dimissioni sarebbero contrarie “al suo atteggiamento ed al suo spirito”.
La poltrona prima di tutto, dunque, nonostante le parole adoperate abbiano ferito molti protagonisti dei campi che subiscono il razzismo calcio, spesso costretti a convivere con vergognosi insulti e beceri cori razzisti.
Aldo Agroppi, bandiera granata e commentatore sportivo, ieri è stato ricoverato ed operato d’urgenza per un attacco cardiaco. Agroppi era in collegamento telefonico a “Buongiorno Calcio” approfondimento sportivo di Radio Manà Manà quando ha dato qualche cenno di malessere colto dalla conduttrice Federica Aflitto. Aldo Agroppi foto dal web
Il dibattito con Alfredo Pedullà era sul Napoli e principalmente su Mazzarri difeso da Agroppi per motivi di campanile ma anche, anzi sopratutto per affinità caratteriali. Dopo aver chiuso la conversazione la moglie di Agroppi, Nadia, è stata costretta a chiamare il 118 per la corsa verso l’ospedale dove è stato subito sottoposto a doppia operazione di angioplastica e peacemaker.
“un nuovo duplice episodio di aritmia – recita il bollettino medico – ha portato a compiere un ulteriore intervento per l’applicazione di un contro-pulsatore aortico al fine di migliorare l’irrorazione sanguigna delle coronarie”.
Agroppi adesso in prognosi riservata ha ieri poi ricevuto in tarda serata la visita di Walter Novellino “Ci siamo subito abbracciati, per me è come un fratello maggiore. L’ho trovato tutto sommato sereno, con lo spirito battagliero che lo contraddistingue”
Il sistema calcio italiano non è legato all’andamento dello spread ma il suo malessere si evince dalla situazione debitoria dei maggiori club, dalla perdita di competitività e ovviamente ad attestare il tutto c’è il Ranking Uefa. Ma se non c’è uno spread cosa ha spinto Andrea Agnelli a fare un passo indietro?
Andiamo con ordine. Martedì scorso il Tribunale di Napoli ha praticamente scagionato la Juventus facendo ricadere tutte le colpe sul sistema Moggi che si avvaleva della complicità di Giraudo e Bergamo ma a questo punto per favorire chi? Rasserenata per non dover pagare risarcimenti danni, la Juventus di Andrea Agnelli ha prima confermato il distacco dalla triade con un freddo e tempestivo comunicato, poi rilanciando con una ingente richiesta danni. Dopo la non competenza del Tnas a scender in campo è stato il presidente del Coni Petrucci tuonando contro il sistema calcio e contro l’eccessivo doping legale.
Il gesto di Petrucci ha però consentito ad Andrea Agnelli una via di fuga evitandogli almeno per il momento il ricorso alla giustizia ordinaria rifugiandosi nella proposta di un tavolo politico organizzato dal presidente del Coni e con il coinvolgimento del neo ministro dello sport Gnudi.
“La risposta a Petrucci è quindi l’idea di un tavolo insieme conciliatorio e proiettato ai problemi futuri. – dice Andrea Agnelli -. Il tavolo deve essere il capo dello sport italiano a convocarlo. Per chiarire gli ultimi cinque anni e per proiettarci al futuro. E lì mi presenterò come presidente della Juventus, di un club che ha rispettato nel suo cammino tutti i passaggi della giustizia sportiva con il massimo rispetto delle istituzioni e degli organi che le appartengono. Il tavolo per me sarebbe un buon modo per portare un clima di serenità in questo ambiente, come l’appello di Petrucci di estremo buonsenso richiedeva. Io sono pronto a partecipare oggi stesso a questo tavolo se si dovesse decidere di aprirlo, ovvio che questo tavolo dovrebbe essere anche politico”
“Accolgo con piacere le dichiarazioni distensive di Agnelli. Le sue parole sono state distensive e di buon senso. Prendo atto della sua richiesta di un tavolo politico e mi appresto in tal senso. Mi auguro che sia il primo atto di disgelo. Sono pronto al dialogo, voglio pensare al futuro, prendiamo per buona la giornata di oggi che si è chiusa in positivo. Chi ci sara’ al tavolo? E’ una richiesta che è arrivata adesso, fatemi pensare, non sono un fenomeno
Ad accettare l’invito al tavolo politico è anche Moratti questa volta disponibile “Sono perfettamente d’accordo con il presidente del Coni Gianni Petrucci. Sono al suo fianco e condivido lo spirito e il senso di responsabilità con cui affronta questo momento del calcio italiano, che spero possa tornare a essere sport e meno un problema di tribunali”.
Sarà così che si chiuderà Calciopoli? Come riusciranno a conciliare Moratti ed Agnelli senza scontentare i loro tifosi? Scontato che il colpevole assoluto sarà Luciano Moggi voglio sperare che ne esca fuori l’intera verità e che quindi nel tavolo del dialogo non ci siano cassetti in modo da non aver possibilità di chiudere facilmente con il passato.
Anche questa volta ci diranno che chi decide di correre e passare la sua vita in sella ad una moto o su un auto da corsa di poterci lasciare la vita lo mette in conto. La morte di Marco Simoncelli qualche settimana fa ha destabilizzato un po tutti e non per ultimo il coraggio e la forza della sua famiglia. Quest’oggi il mondo dei motori piange Guido Falaschi un giovanissimo e promettente pilota argentino che ha trovato la morte in un terribile impatto durante una prova del Turismo Carretera argentino sul circuito di Balcarce, nella provincia di Buenos Aires. Inutili soccorsi a Guido Falaschi | Foto dal web
Guido Falaschi, soprannominato “Il Piccolo Principe”, durante la corsa disputata con vetture in stile stock-car motorizzate da propulsori V8, nel tentativo di evitare la vettura di Leonel Larrauri è andato a sbattere violentemente contro le barriere di protezione venendo poi catapultato nel centro della pista dove ha avuto un tremendo impatto con le autovetture di Guillermo Ortelli e di Nestor Girolami.
I soccorsi e la corsa in ambulanza sono stati vani tanto da esser annunciata la morte dopo pochi minuti. La gara si è ovviamente conclusa con la bandiera rossa e solo per completezza di informazione è stata vinta da Mauro Giallombardo. L’incidente riporta in auge il tema sicurezza e mentre molti si interrogano sulle dinamiche dell’incidente di Marco Simoncelli un altro caso purtroppo mortale infiamma l’acceso dibattito. Questo però è il momento del dolore e per questo esprimiamo la nostra condoglianza agli amici e ai famigliari. Il paradiso dei piloti avrà cura di te, Ciao Guido.
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Esce dalla porta di servizio del Quirinale dopo aver rassegnato le dimissioni, Berlusconi oscurato dai vetri blindati dell’auto blu, che sfreccia nella notte romana, lontano dai fischi, lontano dai cori, dai lanci delle monetine, dai festeggiamenti di coloro che celebrano la ritrovata libertà dell’Italia. intonando l’inno di Mameli e stappando spumante, accogliendo come una vittoria la fine definitiva di un’epoca durata fin troppo tempo.
21.42 del 12 Novembre 2011, l’ora esatta del giorno che verrà ricordato da molti come il “nuovo 25 Aprile Italiano”, la fine del “ventennio” del berlusconismo, la fine di un’epoca buia per l’Italia, fra inganni e promesse disattese, passando per momenti di imbarazzanti cadute di stile, dichiarazioni miopi, noncuranti di una situazione drammatica per troppo tempo sminuita e negata.
Per anni si è nascosto dietro l’apparente forza dei suoi consensi, esaltando la democraticità delle sua investitura, basandosi sull’appoggio di coloro che avevano creduto ai suoi proclami ingannevoli, alla riduzione delle tasse, al “non mettere le mani in tasca agli italiani”, ai videomessaggi diffusi dalle televisioni asservite, fidandosi dei sorrisi tanto rassicuranti quanto artefatti, ritrovandosi a fare i conti con una crisi profonda, che ha corroso il Paese in ogni settore, mentre coloro che dovevano provare a contrastarla si ostinavano a negarne l’esistenza, preoccupandosi esclusivamente di riforme ad personam.
Per anni si è nascosto dietro la maschera del “padre di famiglia, cattolico e perbenista”, mentre apriva le porte di Palazzo Grazioli al “bunga bunga”, contornandosi di personaggi eufemisticamente discutibili, innescando l’ilarità dell’Europa e del Mondo intero nei suoi confronti e, di riflesso, anche verso il nostro Paese.
Oggi, “the day after tomorrow”, si attende di conoscere quale sarà per l’Italia il modo di affrontare il “post”, che – quantomeno – sarà contraddistinto dalla speranza di un cambiamento, di un miglioramento, di una risalita innescata dall’aver, ormai, già toccato il fondo.
Cosa ne sarà Berlusconi? Non è ancora dato saperlo: alcuni uomini di fiducia giurano che continuerà con la politica, restando a capo del Pdl; quel che pare certo, però, è che non si ricandiderà più, non “scenderà più in campo” – come sosteneva nel lontano 1994, in occasione della prima candidatura elettorale. Potrebbe dedicare, quindi, il suo tempo alle sue aziende, ed al Milan, cercando di ricucire il rapporto con i tifosi rossoneri, più che mai divisi nel giudicare il ruolo del presidente nei confronti della squadra.
Un ruolo molto spesso contraddistinto dalla “convenienza” nell’interpretare le varie situazioni, preoccupandosi di considerare i tifosi soprattutto come papabili elettori, indirizzando gran parte dei gesti e delle strategie di mercato della società in chiave di propaganda elettorale, anteponendo i suoi interessi a quelli della squadra, in parallelo con il suo ruolo istituzionale, contraddistinto dall’anteporre i suoi interessi a quelli del Paese.
Quel che sarà in futuro, al momento non è dato saperlo, ma una parte del tifo rossonero appare preoccupata del fatto che – senza l’input della competizione elettorale – possa esserci un ridimensionamento negli investimenti nella squadra; un’altra parte, invece, spera che possa ritornare ad occuparsi a tempo pieno del Milan, lasciando definitivamente le velleità politiche.
Un’ ipotesi che, però, non appare troppo fondata, almeno attenendosi alle dichiarazioni dei suoi “fedelissimi”, che tendono a sottolineare il “gesto di responsabilità” compiuto ieri sera, dimettendosi nonostante il suo Governo non fosse stato sfiduciato in Parlamento, paventando l’esistenza di forze oscure e di speculazioni dei mercati orientate a raggiungere questo risultato.
Ombre sollevate inopportunamente, ennesima conferma che la responsabilità non alberghi affatto nel Governo dimissionario e nel suo Presidente, che – fino all’ ultima esalazione del suo esecutivo- continuava a mostrare spavalderia, salvo poi additare come “Traditori” coloro che, hanno provato – seppur tardivamente – ad evitare che l’Italia annegasse fra le sabbie mobili.
Una domenica speciale per la Nazionale a Rizziconi in campo per dar un calcio alla n’drangheta. I ragazzi di Prandelli atterrati questa mattina a Lamezia Terme si sono trasferiti in pulmann nel piccolo centro della Piana di Gioia Tauro dove da pochi minuti hanno iniziato l’allenamento. Grande entusiasmo intorno al campetto rimesso a nuovo per l’occasione per i beniamini azzurri.
Presenti anche il calabrese Ringhio Gattuso in veste però di ambasciatore della Calabria nel mondo visti gli ormai noti problemi di salute. A rappresentare la Federazione c’è invece un “appesantito” Demetrio Albertini e il presidente Abete. E’ il giornalista di Rai Sport ad introdurre gli eventi e far da moderatore dando la parola ai vari ospiti. Presente il presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti, il presidente della Provincia Giuseppe Raffa, il presidente del consiglio regionale Francesco Talarico che ha consegnato ad Abete il pallone ufficiale dell’evento.
Rizziconi, un piccolo comune di circa 8000 anime ha subito accolto con entusiasmo l’evento e sopratutto i più piccoli, i bambini, che su quel terreno confiscato alla cosca Crea adesso giocano sognando proprio un futuro azzurro. Il tam tam organizzativo si è subito messo in moto e grazie alla Nazionale il comune è stato inserito nel Pon Sicurezza permettendo di recepire i fondi necessari a metter a nuovo il piccolo campetto che domenica mattina ospiterà l’allenamento di Balotelli e compagni.
L’entusiasmo iniziale però adesso sembra aver lasciato spazio alla rabbia e alla rassegnazione, rabbia e rassegnazione che il popolo rizziconese vive ogni volta che la sua immagine viene sporcata dai soprusi delle famiglie egemoni nel territorio. Ieri mattina Rizziconi è tornata ancora una volta nelle prime pagine dei più grandi quotidiani nazionali e come spesso accade è stata dipinta per collusa, omertosa e incapace di rialzare la testa.
A Rizziconi sanno cos’è la n’drangheta, ne vivono le conseguenze ogni giorno cercando comunque di andare avanti senza chinare il capo ma non ci stanno a finire ancora una volta, e questa volta in un giorno di festa, sbattuti sulle prime pagine come dei mostri. Per il paese l’arrivo della Nazionale è visto adesso come un incubo tanto che l’evento non potrà esser visto dall’intera cittadinanza ma limitato alle associazioni della cittadina.
“Su quel campetto son cresciuti molti di noi” dicono in centro a Rizziconi e la “mancanza dell’erbetta è proprio dovuta all’eccessivo utilizzo”. Il campetto sul terreno confiscato ai Crea, adiacente allo “stadio”, è l’unico comunale dell’intero paese ed “è rimasto inutilizzato solo nel tempo (burocratico ndr) in cui i commissari prefettizi hanno deciso di non assegnare le concessioni” ci dice un altro ragazzo.
Il focus dato da Don Ciotti e Prandelli all’evento sembre dunque non esser stato del tutto recepito quantomeno per quel che traspare nell’immagine data dagli organi di stampa.
“Se ci è stata una sentenza si è basata su qualche fatto che ha condizionato i campionati scorsi”, ha detto il boemo. “Nella prima sentenza si è dimostrato che il calcio non era sano. Io non mi sono mai sentito un Don Chisciotte, io faccio l’allenatore che cerca di far migliorare i calciatori e cerca di dare qualcosa ai tifosi: è la mia posizione da 40 anni ed anche oggi è così. Io non ho picconato, ho detto solo quello che non andava bene”.
In conclusione dedica un pensiero a Delio Rossi, suo allievo, tornato in sella in Serie A dopo qualche mese di inattività: “Delio è bravo, ha passione, cultura del lavoro ed idee. E’ cambiato dagli esordi, è normale, ognuno ha la sua personalità e le sue idee. Ha iniziato sulla scia di come giocavo a Foggia, è stato mio giocatore e poi allenatore della Primavera, dopo ha portato i suoi correttivi ed ha fatto bene”.