Kobe Bryant e i Lakers alla loro terza vittoria consecutiva | ©FREDERIC J. BROWN/AFP/Getty Images
Quattro le partite Nba giocate nella notte italiana. Giornata da dimenticare per i nostri pronostici, avendo preso soltanto la vittoria dei Los Angeles Lakers sugli Hornets, per la verità non la scommessa più difficile della settimana. Un’altra grande serata di Kobe Bryant, che ha definitivamente scelto di anteporre la squadra alla gloria, sebbene non sia ancora detto che i suoi assist non gli facciano rivivere una seconda giovinezza, lui che di isole se ne intende più di tutti gli altri. Oltre al successo dei giallo-viola, si registrano le affermazioni esterne di Bucks e Warriors, rispettivamente contro Detroit e Cleveland: sulla carta partite favorevoli, ma che potevano comunque nascondere qualche trappola. Infine al Rose Garden Aldridge ha dato una risposta a chiara a tanti quesiti che frullavano nella testa degli appassionati da qualche settimana a questa parte.
Se contro i Thunder avevamo potuto usare la parola svolta con relativa tranquillità, oggi possiamo tranquillamente affermare che i Lakers hanno smesso di essere i Lakers. E paradossalmente, l’aver perso la propria identità per incarnarne un’altra del tutto nuova, ha consentito ai californiani di tornare a vincere e, sopratutto, a sperare in un futuro meno buio dopo la stagione regolare. Bryant continua così a flirtare con la tripla doppia, chiudendo anche stasera con 14 punti, 11 assist e 8 rimbalzi, e dando la sensazione di poter cambiare il corso della partita in qualsiasi momento. Contro gli Hornets però non è stato così semplice come si possa pensare. Gli ospiti infatti, nell’ultimo quarto, hanno dato il via ad una rimonta che ha spaventato un po’ tutti quelli che sedevano allo Staples Center, nonostante i pon pon volassero più alti del solito questa sera. Tra le triple di Gordon (6/8 dall’arco) e i 15 assist di uno scatenato Vasquez, qualche dubbio sull’effettiva resa dei Lakers è venuta più che ad una persona, con l’irrefrenabile sensazione del “troppo storpia”, vedendo i giallo-viola cercare quasi con ossessione il passaggio nonostante il canestro fosse lì a due passi. A mettere tutti d’accordo è stato Steve Nash, autore della bomba decisiva per il più 6 (107-101) a ottanta secondi dalla sirena. Tra i padroni di casa da sottolineare la prestazione di Dwight Howard, che chiude con 24 punti, 5 palle recuperate e 4 stoppate.
Una cosa possiamo dirla dopo questa partita, e ci mettiamo anche la mano nel fuoco: i Mavericks non faranno parte delle prime otto squadre nella Western Conference. Nell’anteprima dicevamo che LaMarcus Aldridge ha risposto questa sera a due quesiti di vitale importanza. Il primo riguardava le reali possibilità di Dallas a raggiungere l’ottavo posto, dubbio che ci era venuto in queste ultime settimane, ma che il ko odierno ha spazzato via in un amen. Il secondo quesito era il perché Aldridge e non un altro, all’All-Star Game si intende. D’accordo, non che la prestazione di oggi sia sufficiente per dissipare i ragionevoli punti di domanda, ma comunque segnare cinque punti in quattro secondi, gli ultimi di una partita dove la tua squadra è sempre stata sotto, non è da tutti. Aldridge l’ha fatto, e di questo gliene va dato atto. Però come i Mavericks abbiano sciupato al vento quella che sarebbe stata una vittoria fondamentale è davvero inspiegabile. Tolte le parole facciamo parlare i numeri: a due minuti dal termine il punteggio vedeva Dallas condurre 101-94. Ad undici secondi dalla fine, Nowitzki segnava la tripla del 104-101. Il resto lo sapete…
Noi ci avevamo provato alla vigilia: ai Warriors manca Curry, Cleveland ha quel genio di Irving in forma strepitosa, stai a vedere che c’è la sorpresa? Sì, in effetti la sorpresa c’è stata, ma l’ha data Clay Thompson con una prestazione monstre da 32 punti (career-high ndr). Colpo basso quello di Thompson, ribattezzato per l’occasione Cassius Clay. Per Irving, che ha giocato nonostante fosse influenzato, 14 punti ed un 5/17 al tiro in 36 minuti di gioco.
Anche in questa partita abbiamo tentato la carta “sorpresa”, assegnando le nostre preferenze ai padroni di casa. C’era una premessa però, non di poco conto: Jennings deve iniziare a giocare dal quarto periodo. Ecco, il problema che Brandon ha fatto il suo show nel terzo quarto, segnando 20 dei 30 punti messi a referto. Ai Pistons non sono bastati i 18 punti e i 18 rimbalzi del rookie Andre Drummond, che non sono di certo briciole.
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