Dopo aver dato i voti alla squadra Campione, i Dallas Mavericks, passiamo ai perdenti, i Miami Heat, secondo molti i veri favoriti in queste Finals 2011 che sono usciti non solo sconfitti ma anche distrutti dal confronto con i texani.
DWYANE WADE, 7,5: Finchè regge fisicamente è lui l’unico appiglio della franchigia della Florida. Talento purissimo con un innato senso per il canestro, atletismo ai limiti dell’irreale, per stazza fisica e modo di giocare ricorda più di chiunque altro il più grande giocatore di basket di tutti i tempi, ovvero Michael Jordan. Il problema è che molto probabilmente non è al pari dell’ex fenomeno dei Bulls sul piano psicologico (in primis perchè l’immenso Mike non si lasciava andare a gratuiti siparietti con i compagni finchè la partita non era finita), tuttavia cerca di salvare tutto il salvabile e da questa serie è l’unico che esce con un voto positivo (assieme a Mario Chalmers). La mazzata definitiva alle sue ambizioni ed al suo fisico è inferta da Brian Cardinal che dopo pochi minuti di gara 5 (con la serie sul risultato di 2-2) lo mette KO provocandogli un infortunio all’anca che limita di molto la sua efficacia da quel momento in poi, e Miami affonda irrimediabilmente. Avrebbe avuto un posto di diritto nella “leggenda” se pur infortunato avesse condotto la sua squadra ed i suoi compagni al titolo (così come fece proprio Jordan in passato contro i Jazz, oppure il rivale attuale in questa Finale Dirk Nowitzki che non si è curato del suo infortunio al dito e della febbre in gara 4 risultando anzi sempre decisivo). Nel 2006 era stato proprio lui a svoltare l’inerzia delle Finals sempre contro i Mavs, in gara 3, quando sotto di 13 punti a 6 minuti dal termine e con 2 gare già perse sul groppone, la stella degli Heat diede vita ad uno show che permise alla sua squadra di vincere la partita e successivamente di portare a casa anche le altre 3 chiudendo i conti sul 4-2, diventando l’M.V.P. della serie e portando in Florida un titolo insperato. Sembra passata ora una vita da quel momento anche perchè gli avversari di allora si sono presi, ampiamente, la loro rivincita. Resta l’impressione che sia stato l’unico dei Big Three a non mollare mai.
MARIO CHALMERS, 7: Se Miami avesse vinto il titolo, la città avrebbe dovuto ringraziare molto di più lui che il tanto osannato LeBron James. Gioca tutte le 6 partite a livello altissimo, è sempre presente nel momento del bisogno, e dimostra di essere molto migliorato perchè da 3 infila canestri a ripetizione ed in questa specialità pare a molti l’unico vero giocatore affidabile. A Dallas buca (sia in gara 3 che in gara 5) per 2 volte la retina avversaria con tiri da centrocampo, poi logicamente il talento non è dei migliori e non può essere lui a risolvere le partite, ma quando viene chiamato in causa fa il suo lavoro ed anche alla grande, Bibby (l’altro play in squadra) esce distrutto dal confronto con lui, sarà il titolare nel ruolo di playmaker per i prossimi anni (sempre che in Florida non decidano di stravolgere tutto). Gran bella sorpresa.
UDONIS HASLEM, 6: Dopo un lungo infortunio la condizione fisica non può essere al meglio ma pian piano il lungo dei rossoneri riusciva a dare sempre qualcosa in più. L’unico in grado di poter difendere come si deve su Nowitzki (lo dimostra il tiro sbagliato dal tedesco sulla sirena finale di gara 3 con una difesa eccellente del numero 40 di Miami), ma la sua abnegazione non è bastata, troppi compagni di squadra hanno “toppato” nel momento cruciale della serie. Anche lui sarà una pedina importante per gli Heat del futuro. Anche perchè con lui si esauriscono i giocatori di Miami con un voto sufficiente.
MIKE MILLER, 5,5: Su di lui lo staff dirigenziale della Florida aveva puntato tantissimo in Estate ma le aspettative non sono state rispettate. Lo scorso anno si era dimostrato l’unico giocatore da salvare dei Washington Wizards, ala piccola atipica con una fortissima propensione al rimbalzo e mago nel recupero dei palloni vaganti, eccellente nelle percentuali da 3 punti, buon realizzatore, molto spesso vicino ai 20 punti. E’ stato l’ombra di sè stesso in questa annata e nelle Finals ha dimostrato il suo disagio. Probabilmente gli verrà data una seconda occasione, ma in un’altra squadra renderebbe meglio.
CHRIS BOSH, 5: Di lui si ricorda un lampo in gara 3, con il jumper decisivo che aveva riportato avanti per 2-1 gli Heat nella serie. Poi scompare nelle successive gare, abbina buoni primi tempi con seconde frazioni di gara da “desaparecidos”: Tyson Chandler non gli concede nulla, farebbe meglio a non “gasarsi” troppo e restare più umile, perchè al momento se la franchigia della Florida dovesse sacrificare una delle 3 stelle, lui sarebbe il prescelto. Alcune volte le cifre non dicono tutto, soprattutto se i punti si mettono a segno all’inizio per poi scomparire nella mediocrità nei finali di gara, dove invece un’altro signore (Nowitzki) si diverte a piazzarne ben 62 negli ultimi quarti.
MIKE BIBBY, 4: Arrivato a metà stagione per risolvere i problemi in cabina di regia di Miami, non solo non incide ma risulta addirittura dannoso. Per ovviare alle sue mancanze Chalmers deve fare gli straordinari.
LEBRON JAMES, 4: Mezzo voto in meno perchè alcune volte appare veramente puerile ed infantile nei modi di fare (si veda lo “scimmiottamento” che ha fatto di Dirk Nowitzki con la febbre), un famoso coach della NFL un giorno ha detto: “Qualche volta per avanzare di un miglio, bisogna tornare indietro di un metro”. La sensazione è che lui debba mettere in opera questo insegnamento, ed i motivi sono sotto gli occhi di tutti. E’ il grande sconfitto della serie, non incide come dovrebbe perchè nei finali di gara si limita ad una decina di punti (e poco più) mentre il leader avversario, un tedesco che non ha mai abbandonato la nave con cui era partito per l’avventura NBA, ne infila ben 62 e dimostra cosa vuol dire portarsi e caricarsi una squadra, uno Stato che sogna con le sue prodezze, sulle spalle.
Dovrà sorbirsi ancora una volta un’Estate di critiche (dopo quelle dello scorso anno per via di “The Decison”), vedremo come ne uscirà, di certo c’è che a 27 anni sulle sue dita non c’è traccia di “anelli” NBA, se prima c’era la scusa che a Cleveland lui doveva fare ogni cosa (segnare, difendere, essere leader, trascinare un’intera città) ora questa scusa non può reggere più perchè a Miami ha tutto ciò che ha sempre sognato. Nel momento in cui Wade si infortuna ci si aspetterebbe che prenda lui il comando delle operazioni ma fallisce miseramente, alcune volte sfiora il ridicolo perchè invece di prendersi le sue responsabilità delega Mario Chalmers come prima opzione offensiva, una cosa che, per quanto abbia giocato bene il buon Mario, non può essere ammessa da un giocatore con il suo talento che ha la nomea di “Prescelto” per succedere a Michael Jordan! Anche Dan Gilbert (proprietario dei Cavaliers che con James si è lasciato malissimo) è riuscito a levarsi un sassolino dalla scarpa: sul social network Twitter la prima cosa che l’owner di Cleveland ha scritto appena finita la Finale è stato un incisivo “nel basket non esistono le scorciatoie!”. Chi vorrà intendere, intenda…
ZYDRUNAS ILLGAUSKAS, JOEL ANTHONY, ERICK DAMPIER: La batteria di lunghi di Miami risulta a tutt’ora NON PERVENUTA.
ERIK SPOELSTRA, 5: Esce demolito dal confronto con il rivale Carlisle, prova anche ad imitarlo quando nelle ultime 2 gare rispolvera Eddie House (così come Carlisle aveva piazzato Barea in quintetto al posto di Stevenson) ma ovviamente le mosse vanno studiate prima di essere messe in pratica. Ha il merito di aver costruito un ottimo sistema difensivo, ma la pallacanestro giocata dalla sua squadra nella metà campo degli avversari è orribile, se non fosse per i contropiedi spettacolari che allestiscono i Big Three: gioco statico, assenza totale (o quasi) di schemi, si vedono per gran parte del tempo i famosi “uno contro uno” dei 3 “tenori”. Dallas ha mostrato una circolazione offensiva di palla da manuale, l’attacco dei Mavs è stato il migliore visto nella Lega, ma coach Carlisle ha vinto le Finali dando ai suoi giocatori anche una buona impronta difensiva, cosa che prima, in regular season si era vista poco e niente. Spoelstra non ha saputo essere la suo livello, perchè all’ottima difesa non è riuscito a dare un attacco in grado di essere prolifico. Ecco la vera sconfitta dell’allenatore di Miami.