Saranno pochissime le modifiche che verranno apportate al calendario NBA. Il programma resta così sostanzialmente invariato e chi sperava in una riformulazione per equilibrare, per ogni squadra, i match sulla carta più facili e quelli più difficili (a causa delle 16 gare cancellate) è rimasto un pò deluso. La stagione regolare sarà di 66 partite, prenderà il via il 25 dicembre, giorno di Natale, con 3 sfide stellari come New York Knicks-Boston Celtics, Los Angeles Lakers-Chicago Bulls e la rivincita dell’ultima Finale NBA Dallas Mavericks-Miami Heat. La fine è fissata invece per il 26 aprile, 2 giorni dopo si apriranno i playoff che termineranno al massimo il 26 giugno (giorno in cui è stata programmata gara 7 di finale). L’All Star Game si disputerà ad Orlando (come nelle previsioni), ma la data è ancora incerta e potrebbe essere spostata, rispetto al già programmato 26 febbraio.
Ogni squadra dovrà scendere in campo 2 volte in più al mese rispetto a quanto disposto precedentemente, si apre la possibilità di avere i “back to back to back” ovvero una serie di 3 partite in 3 giorni per ogni team, uno sforzo notevole per i giocatori che non avranno neanche il tempo per rifiatare e recuperare dagli sforzi delle gare precedenti. Ovviamente a causa delle sfide cancellate non tutte le squadre si affronteranno almeno una volta nell’arco della stagione (era questo il punto che spingeva alcuni addetti ai lavori ad una riformulazione del calendario per avere incontri tra tutte le 30 franchigie). Ogni formazione giocherà 48 partite contro avversarie della stessa Conference: 2 volte in casa e 2 in trasferta contro 6 squadre (sicuramente con le altre 4 della stessa Division di appartenenza), una volta in casa e 2 in trasferta contro 4 squadre e 2 in casa e una in trasferta contro altre 4. Le altre 18 partite saranno contro squadre della Conference opposta: contro 3 squadre è prevista doppia sfida con una gara in casa ed una in trasferta, contro altre 6 squadre ci sarà solo il match casalingo e contro altre 6 invece solo quello in trasferta. Si aspetta la ratifica dell’accordo raggiunto qualche giorno fa tra associazione dei giocatori e proprietari, poi il 9 dicembre si apriranno i training camp e ci sarà l’inizio del mercato (con almeno 2 gare di preseason per team).
Intanto arrivano le prime indiscrezioni sui dettagli dell’intesa che ha portato come logica conseguenza la cancellazione del lockout: i giocatori nella prossima stagione riceveranno il 51,15% dei proventi ovvero i guadagni della Lega che nella scorsa annata hanno superato i 4 miliardi di dollari, e riceveranno i 66/82 dello stipendio fissato nei loro contratti. Ad esempio Kobe Bryant, il giocatore più pagato con 25,2 milioni di dollari, vedrà il suo salario ridursi a 20,3 milioni. Il salary cap, il tetto salariale, resterà invariato fino al 2013 sui livelli della passata stagione (58 milioni), ma i team saranno molto più scoraggiati ad entrare nella luxury tax (la tassa che obbliga qualsiasi squadra che sfori quota 70 milioni in stipendi ai giocatori di pagare un dollaro aggiuntivo alla NBA per ogni dollaro che superi quella cifra). Ma la clausola che potrebbe cambiare sin da subito il mercato si chiama “Amnesty”: i team potranno scaricare (nel vero senso della parola) un atleta a loro scelta (sotto contratto nella stagione 2010-11) senza far pesare il suo ingaggio nel monte salari e liberando quindi denaro per inseguire i free agent. Una scelta innovativa che permetterà alle franchigie enormi risparmi ed ai giocatori di non sedersi sugli allori una volta ottenuto il contratto della vita (come è spesso successo in questi ultimi anni): Washington ad esempio, che ha sotto contratto Rashard Lewis e i suoi oltre 22 milioni di dollari di stipendio (attualmente è il secondo atleta più pagato della Lega, una sproporzione abnorme tra rendimento e salario), potrebbe tranquillamente tagliare l’ala ex Seattle Sonics e risparmiare interamente tutta quella montagna di soldi senza gravare sul bilancio cosa che prima non era possibile.