A memoria, non ricordo una nazionale Argentina che possa contare sul numero di giocatori di primissimo livello che può vantare quella odierna, eppure si ritrova ad affrontare il Brasile con tale Datolo, che per carità, ha messo a segno due gol nelle due ultime partite, ma se un panchinaro di una squadra di media classifica italiana dev’essere il fiore all’occhiello dei sudamericani…
Voci dal Sudamerica parlano di un Dieguito più motivatore che allenatore, che segue spesso gli allenamenti dalla panchina dando qualche consiglio sparso qua e là. D’altronde, non vedo come potrebbe dare lezioni di tattica uno che non si è mai allenato moltissimo e che comunque in campo si faceva notare più per l’infinito estro personale, piuttosto che per la dedizione agli schemi della squadra. Lungi da me la volontà di sminuire il calibro del Maradona campione, non vorrei che qualcuno mi desse del blasfemo.
Ma non c’è un teorema secondo il quale un grande campione deve gioco forza diventare un grande allenatore. Anzi, spesso, i più grandi allenatori sono stati mediocri calciatori. Si potrebbero citare tanti esempi in merito: Van Basten, che dopo un discreto avvio come allenatore, ha fatto vivere ai tifosi dell’Ajax più di una delusione; lo stesso Gullit, non è stato grande profeta in patria nella sua esperienza al Feyoonord; e ancora i “bianconeri” Marco Tardelli e Michel Platini, più bravi dietro una scrivania che con fischietto e paletti in mano. Il calcio moderno è qualcosa di molto complesso e spesso il carisma di un leader non basta a garantire i risultati: puntare “sull’eroe del popolo” può inizialmente inebriare le folle. Fino al triste e doloroso risveglio.
[via Uccellino di Del Piero]