Aprica, Mortirolo, Stelvio. Le 3 montagne che (non) hanno deciso il Giro.
Quest’anno, diciamolo subito, non c’è stato un padrone della corsa, e ci ritroviamo a poche ore dal finale a non sapere ancora chi vincerà. C’è uno in maglia rosa, Rodriguez, che però a crono va lento come il decorso della varicella. C’è uno che è considerato maglia rosa virtuale, Hesjedal, che è forte a crono e che non si è fatto mai staccare sulle montagne, ma anzi ha guadagnato. E poi c’è un altro, belga, che ha vinto ieri e che non si aspettava nessuno. E che a crono è il migliore di tutti questi, e che può combinare danni e recuperare quei due minuti e diciotto secondi e far saltare il banco. Ma andiamo con ordine, e vediamo chi ha preso legnate ieri, tecnicamente parlando, e chi le ha date.
Dopo l’Aprica, troppo lontana dalla fine per attaccare, arriva il Mortirolo. Viene affrontato da un lato inedito rispetto al solito, ancora più duro. Pendenza che arriva anche al 22%, come dicevo ieri, solo che mi ero dimenticato una cosa: la parte finale è in cemento.
Non asfalto. Cemento. Come la salita per uscire dal garage sotterraneo, ecco, fate conto di aver parcheggiato in un garage posto 2 chilometri sottoterra. A un certo punto salivano a 7 chilometri orari, e questa è gente che l’altro giorno ha fatto una tappa a 50 chilometri di media, l’avessi fatta io sarei andato indietro nel tempo per quanto sarei salito piano a una velocità media di -15 chilometri orari.
Rodriguez ci ha provato, ma il canadese non si è fatto mai staccare. Davanti c’era una fuga tattica possiamo dire, perché tutti gli uomini di classifica avevano qualche compagno di squadra pronto ad aiutarlo, alla bisogna.
Comunque, sul Mortirolo non succedono sconvolgimenti. I migliori restano sempre assieme, si ritirano però diverse frizioni delle ammiraglie. Prova tu a tenere una macchina a 7 chilometri orari di media! Nell’aria si diffondeva il tipico odore delle frizioni bruciate, una specie di barbecue di motori.
Discesa tecnica, e poi parte lo Stelvio, 22 chilometri di salita per arrivare sulle nevi perenni. In fuga se ne vanno Cunego e De Gendt, il belga di cui parlavo prima, e nel gruppo della maglia rosa c’è un po’ di confusione. Hesjedal cerca collaborazione per andare a riprenderli, visto che i fuggitivi non sono messi così male in classifica generale, ma nessuno lo aiuta. Chi dice che ha un impegno, chi invece risponde che la sera ha ospiti a cena e tra un po’ deve scappare a preparare, chi risponde che non si vuole stancare troppo, chi fa platealmente il gesto dell’ombrello rispondendo “Hai voluto la bicicletta? E mo’ pedala!”, dando validità letterale a questo proverbio che abbiamo sempre usato in maniera figurata.
Hesjedal si mette davanti (fortunatamente ha un compagno di squadra residuo della fuga di prima) e limita il distacco.
Agli 800 metri scatta Rodriguez, Scarponi gli va dietro, Hesjedal pedala e perde solo 10 secondi, Ivan Basso affonda. Ivan, io sono un tuo tifoso, ma a questo Giro ti è proprio buttata male, ammettiamolo. E mi spiace, perché ho sempre tifato per te anche nei momenti più duri, e non ultimo perché avevo scommesso sulla tua vittoria finale. Vabbé, l’importante è che tu stia bene, come si suol dire. Però magari la prossima volta questi €10 me li risparmio, eh?
Quindi ci ritroviamo in questa situazione: una maglia rosa che difficilmente terrà la maglia rosa, un canadese che è il grande favorito e che dovrebbe riuscire a vincere agilmente ma non si sa mai, un belga che nessuno si aspettava e che è stato zitto per tutto il tempo ma che a crono va che è una bellezza, Scarponi e Basso che, purtroppo, non tengono alto il nome dell’Italia, anche se ci hanno provato sempre.
Oggi si chiude, e finalmente dopo aver seguito 20 tappe soltanto in televisione vado a vedere il Giro dal vivo. Due ore a veder passare ciclisti, per gli altri una noia mortale, per me un divertimento infinito. Ma che ci vuoi fare, noi appassionati di ciclismo non riusciremo mai a spiegare ce gusto c’è a star lì a veder passare omini vestiti fluorescenti che pedalano come dei dannati. Ah, ovviamente mi porto appresso mio figlio.
Io e mio figlio vi salutiamo, andiamo a metterci addosso alle transenne.