I dopati alle Olimpiadi. Adesso De Coubertin è morto davvero

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Bandiera olimpica ©Getty Images

Proprio ieri, giorno della morte di Steve Jobs ho sentito da molti una frase che avevo imparato ad ascoltare da maestri e professori e riferiti a personaggi del passato e nella mia vita l’avevo pensata solo per Giovanni Paolo II “la tua leggenda vivrà per sempre”. E’ cosi che in molti hanno salutato il visionario della Silicon Valley per le sue scoperte e per la sua gran capacità di comunicazione. Nel mondo dello Sport il livello massimo di integrazione, di arricchimento delle culture e della storie dei popoli erano i giochi Olimpici ideati ed ispirati dagli insegnamenti del barone Pierre De Coubertin la cui leggenda viveva proprio tra i sogni d’integrazione a cinque cerchi.

Bandiera olimpica ©Getty Images
L’importante non è vincere ma partecipare diceva De Coubertin ma il suo spirito è praticamente scomparso dai Giochi Olimpici moderni con una successione di regole che di epoca in epoca ne ha delegittimato il valore e lo stimolo fondatore facendo largo prima a meri scopi di supremazia politica e poi vedendosi alla pubblicità e alle multinazionali dello Sport. L’ultimo colpo l’ha dato il TAS della Svizzera (Tribunale arbitrale dello sport di Losanna) decidendo di ammettere alla competizione anche gli atleti che hanno scontato una squalifica per doping superiore ai sei mesi possono partecipare alle Olimpiadi. Una sentenza choc che stravolge e cambia definitivamente lo spirito delle Olimpiadi riaprendo le porte a chi ha fatto uso di sostanze dopanti per arrivare a conseguire un risultato sportivo.

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