La questione “discriminazione territoriale” è, in questi giorni, di strettissima attualità, in connessione alla vicenda che riguarda direttamente il Milan e, più in generale, l’intero calcio italiano: una normativa, che si riconduce a quella più generale contro il razzismo negli stadi, che determinerà la chiusura dello stadio San Siro, sponda rossonera, per il prossimo match di campionato Milan-Udinese in conseguenza al reiterarsi degli insulti contro i napoletani. Ovviamente, la responsabilità della società rossonera è di tipo “Oggettivo”, ossia è il club a pagare per le colpe dei suoi tifosi, o meglio per una parte di essi, che durante il match contro la Juventus hanno reiterato i cori precedentemente proposti nella gara contro il Napoli, indirizzando beceri cori di scherno. Il club milanista – come annunciato da Adriano Galliani – presenterà ricorso ma, a ben vedere, la pena comminata non è altro che l’applicazione della normativa che – al primo episodio – prevede la chiusura della curva (come accaduto per Milan-Sampdoria del 28 Settembre) e, alla reiterazione, la chiusura dello stadio, fino ad arrivare, nei casi più gravi, alla partita persa a tavolino ed alle sanzioni accessorie.
Il punto focale della questione è assai complesso, perchè – a differenza del razzismo vero e proprio – la discriminazione territoriale affonda le sue origini nell’essenza di rivalità che si nasconde – neppure troppo bene – dietro l’Italia unita che, però, non può negare la questione meridionale aperta e mai risolta, così come le profonde differenze di un Paese che si sviluppa dalle Alpi che guardano all’Europa fino alle isolette che affacciano sull’Africa, con due isole maggiori che sentono forte la propria identità e le tante minoranze linguistiche. Un Paese complesso e poco educato alla sua stessa complessità, in cui la differenza è sempre percepita come difetto dell’altro a vantaggio della propria superiorità; in cui l’eterogeneità non sempre è vista come fonte di arricchimento interiore, bensì come un ostacolo: un Paese di campanilismi, di continui Derby, non sempre così “pacifici” nè tantomeno all’insegna della sana rivalità.
Per questo motivo, se da un lato punire la discriminazione territoriale risulta essere giusto in linea di principio, è altrettanto corretto e necessario far capire al grande pubblico che, con le regole Uefa volute da Platini in materia di razzismo, non si scherza e, ovviamente, “la legge non ammette ignoranza” neppure nel caso della discriminazione territoriale. Potrebbe essere questa l’occasione educativa che si stava aspettando per limitare i soventi beceri eccessi, ma è naturale chiedersi: sarà sufficiente? Oppure potrebbe essere soltanto una ghiottissima occasione di ricatto da parte delle curve nei confronti delle società?
A sostegno di quest’ultima ipotesi c’è da segnalare la solidarietà ultrà che, in queste ore, sta sempre più diffondendosi, con comunicati che uniscono le curve di Juventus, Milan, Inter, Genoa ed anche Napoli, al grido rivendicatorio di “libertà di pensiero, di espressione e di sfottò”, considerando in tal senso che gli stessi ultras partenopei avevano mostrato lo striscione auto-ironico “Napoli colera”, invitando provocatoriamente il giudice sportivo Tosel a squalificare il campo del San Paolo.