5 Luglio 1984 ore 18.31. Al prezzo simbolico di 1000 lire, settantamila spettatori riempirono il San Paolo per dare il benvenuto a chi avrebbe dato loro una speranza, un sorriso, un’occasione di riscatto. Diego Armando Maradona entrò in punta di piedi, palleggiando con l’amico pallone e a tutti fu chiaro che da quel momento la storia di Napoli e del Napoli sarebbe cambiata, la geografia del calcio avrebbe ridisegnato i suoi confini, l’azzurro del cielo e del mare si sarebbero fusi con i colori italiani più nobili. E’ a Napoli che inizia la sua storia. L’Argentina, la povertà, il Barcellona, sono solo riflessi di un passato che aveva ancora tutto da immaginare e da costruire. L’arrivo a Napoli è stata una tappa obbligata di un percorso che non avrebbe potuto avere altre destinazioni.
La scintilla con la gente, con la sua gente, fu immediata, la vicinanza sociale era troppo forte ed innata per non esplodere in un abbraccio collettivo e in una solidarietà speciale, espressa in favore di un popolo molto simile a lui, alle sue origini, al suo modo di intendere la vita e di lottare contro i potenti e i soprusi. In breve tempo Napoli divenne la sua patria, la sua tana, il suo rifugio di vita, anche se non sempre le esperienze furono delle migliori e col tempo Maradona imparò ad “amare” anche i lati oscuri della città, i suoi vizi e le sue trappole, sempre più presenti, sempre più evidenti, sempre più irrinunciabili. Un campione controverso, ma generoso e guascone, un Masaniello reincarnato nelle sembianze di un giocoliere del calcio, di un genio mai vissuto prima e mai esistito più poi. Solo la pulce Messi, a volte sembra ricordarne la genialità e la stravaganza, ma Diego era ben altro. Il pensiero prima dell’azione, l’azione prima dell’istinto, l’istinto prima di tutto.
Tanta generosità, in campo e fuori, ma anche tanti crucci e capricci. Un figlio non riconosciuto, amici interessati ai suoi guadagni, una dama bianca affamata e senza scrupoli con cui convivere, con cui lottare, con cui farci all’amore. Ma chi ama si sa può tradire e Diego alla fine si è ritrovato solo e sconfitto, destinato a partire come un clandestino, a lasciare la sua città dalla più angusta e meschina porta secondaria. Non una via d’uscita, non un’ancora di salvezza, ma un desiderio di ritrovare un respiro nuovo, un’isola di serenità. L’inizio di un declino. Quello fisico del calciatore, quello morale e spirituale di un uomo sempre in bilico e più volte giunto faccia a faccia con la morte, ma mai arresosi alle avversità, alle accuse infamanti, alle malattie sue e della società, una società deviata, che a volte lo ha esageratamente osannato e altre volte spudoratamente pugnalato alle spalle.
Nei sette anni passati e giocati a Napoli, Maradona ha segnato 84 gol in 188 partite. Il primo sorriso regalato a tutti i tifosi è datato 10 maggio 1987. Il Napoli vince il suo primo scudetto. Lui mantiene la promessa fatta e il legame con i napoletani diventa eterno, l’amore nei suoi confronti infinito.
L’anno prima, il Pibe de Oro si era concesso il lusso di vincere praticamente da solo la Coppa del Mondo in Messico, una coppa vinta dribblando tutta l’Inghilterra e spingendo in rete un pallone con la mano di Dio. Poi le altre gioie con il Napoli, la Coppa Uefa, il secondo tricolore e le lacrime di Italia 90, quando i napoletani furono al suo fianco nella semifinale contro l’Italia e il resto del paese lo volle poi punire e veder piangere per aver eliminato gli azzurri, spingendo la Germania verso la vittoria finale.
Infine, il controllo antidoping che lo inchioda il 17 marzo del 1991. A Napoli si sa il 17 non porta bene, ma la scaramanzia purtroppo era stata già annientata dalla triste realtà. Maradona fugge e lo fa prima di tutto da se stesso. Poi però, dopo altri travagli e sofferenze ritorna alla grande e negli USA guida l’Argentina con la forza e il coraggio di un Dio del calcio, ma fa di nuovo paura e quindi viene nuovamente annientato dai potenti, da sempre i suoi nemici, da sempre i suoi primi detrattori. Pochi mesi fa, lo abbiamo rivisto serio e felice sulla panchina della sua Nazionale. Non è andata bene, ma il segnale al mondo c’è stato. Diego è lì, c’è ancora, e i suoi 50 anni rappresentano mezzo secolo di vita di un uomo totale, che ha regalato carezze al pallone e spiazzato tutti sempre con finte incredibili. A Napoli è già festa. Noi possiamo solo ringraziarlo e fargli tanti auguri.