Che fosse un predestinato si era visto dai primi calci tirati ad un pallone. Daniele De Rossi, romano e romanista doc ha scritto e sta scrivendo pagine indelebili della storia della Magica, insieme a Totti, due amici prima che compagni. Quante presenze, gol pesanti, sia con la maglia giallorossa che con quella azzurra della Nazionale. Un centrocampista a tuttotondo, ma non solo. Da sempre e per sempre nella Roma, fin da piccolo, esclusa una piccola parentesi. Figlio d’arte, sboccia subito, con l’esordio in prima squadra, le prime sfide dal sapore europeo, le prime di una lunga serie. Adesso, arrivato ormai a quota 500 presenze sabato contro l’Empoli, gara in cui ha potuto anche festeggiare la sua rete numero 52 in carriera, ha ancora tanto da dare per i colori che ha sempre amato.
Quello tra Danielino e la Roma è un amore sbocciato presto, all’età di 11 anni, dopo aver fatto prima il terzino e l’attaccante nell’Ostiamare, squadra dove è nato. Papà Alberto, ex giocatore e a quei tempi allenatore della Primavera, gli avrà fatto scattare la scintilla decisiva. Dopo il no secco due anni prima nonostante la chiamata da parte del club capitolino arriva la decisione, quella che lo porterà alla Roma, da dove non si slegherà più. Viene arretrato a centrocampo, il ruolo che più gli si addice, lo diciamo ora che di partite sue ne abbiamo viste, ma la scelta di cambiare la sua posizione in campo fu la più giusta.
Tanta “garra”, direbbero alla sudamericana, la nostra grinta e cattiveria agonistica per capirci, forza e polmoni, una visione di gioco ottimale, intelligenza tattica e una grande capacità in fase realizzativa. I primi assaggi delle sue qualità De Rossi li dà con la maglia della Primavera. Arriva il 2001 poi, la Roma dello Scudetto, infarcita di campioni e con un “genio” come Fabio Capello in panchina. Qualcosa di calcio ci avrà capito e il coraggio di buttarlo in campo in Champions League nel secondo tempo a soli 18 anni fu il sintomo che in quel ragazzo c’erano doti fuori dal comune. Personalità da vendere per il ragazzo, l’emozione, quella tanta, ma nascosta dalla stoffa di quello che sarebbe diventato un campione. Non si era sbagliato chi ne parlava bene quella volta.
Crescita giorno dopo giorno, allenamenti, voglia di arrivare, ma in quella stagione l’allenatore non lo gettò nella mischia in serie A forse per non bruciarlo. L’esordio nel nostro campionato è lontano 12 anni, era il 23 gennaio del 2003, contro il Como, ma la gioia più grande è la prima dall’inizio, quella che non scorderà mai. In casa, lui che prima era abituato ad andare in curva, davanti al pubblico romanista, da titolare segna il suo primo gol con la Roma. In più la squadra vince con il Torino, il massimo per un ragazzo con la ” Lupa ” nel cuore, non avrebbe potuto chiedere inizio migliore.
A 21 anni diventa già una pedina fondentale, cui è difficile rinunciare, il suo primo gol in Champions arriva contro i marziani del Real Madrid, non certo una rete come le altre, anche se il risultato non sorrise alla Roma. Inizia a fare partite di grande spessore, tanto da diventare inamovibile, reti anche pesanti, non c’è allenatore che non lo stimi per le sue immense qualità e per la sua polivalenza. Il 2004 lo vede esordire anche con la maglia azzurra, dove Lippi non fa fatica a sfruttarne le doti. Anche lì, esordio con gol, ma non è l’unica soddisfazione di quell’anno, in cui è uno dei principali artefici della vittoria degli Europei Under 21. Se non si era ancora capito, questo poteva essere un campione vero, un leader in campo e le prestazioni non fanno che certificarlo. Nel Mondiale tedesco, quello storico vinto dagli azzurri, è uno dei protagonisti, tanti lo vogliono, ma mai e poi mai direbbe addio alla sua Roma.
Nel 2006 è il miglior giovane e nella stagione successiva, dove la guida tecnica passa da Spalletti a Ranieri, la musica non cambia, lo dimostra il premio come miglior calciatore italiano. Se uno a 24 anni è già capitano a un Mondiale, quello non felice in Sud Africa, e indossa la 10 che era stata fino a quel momento di Totti non si può non confermare che quella sia la carriera di un predestinato, erede del “Pupone”, suo modello di calciatore, amico e compagno di mille battaglie.
Arriva Luis Enrique, non cambia niente, l’unico che non lo vede e lo fa stare in panchina è Zeman, quella con il boemo è una stagione complicata per la Roma e per lo stesso De Rossi, che però zitto da vero professionista aspetta il momento per dimostrare di essere ancora quello di sempre. Non ce n’era bisogno, ecco che con l’arrivo di Rudi Garcia torna a prendere le redini del centrocampo. Gioca con una naturalezza e ormai è anche maturato, aiuta i compagni, è sempre nel posto giusto al momento giusto, impiegato anche come difensore centrale, fa prestazioni sublimi.
Nel maggio del 2014 diventa il terzo calciatore con più presenze in serie A nella storia della Roma, ma la storia l’ha scritta proprio sabato, arrivando a 500. “Capitan futuro” a 32 anni ha ancora tanto da dare, nessuno più di lui in grado di raccogliere l’eredità di Francesco Totti. Sembra ancora un ragazzino, forse con un pò di barba in più di 14 anni fa, ma con la stessa fame di sempre. Un grande giocatore dietro la figura di un grande uomo, ecco chi è Daniele De Rossi, l’eterna bandiera, come recitava lo striscione esposto al Colosseo per celebrarlo. Sabato la Curva vuota, non una gran risposta, ma stasera, dove saranno già 501 per il centrocampista romano, c’è bisogno del sostegno di tutta la parte giallorossa della Capitale, anche a distanza, perchè vincere in Germania sarebbe il regalo più grande.