Quello che si temeva è accaduto. Il Napoli, contro un Genoa appena discreto, ma sufficientemente organizzato da Gasperini, ha toccato il fondo. Sia dal punto di vista ambientale che da quello dei risultati. Al fischio finale di Orsato a Fuorigrotta si è scatenato l’inferno. Ha avuto luogo la prima contestazione nei confronti della gestione De Laurentiis. Sarebbe sciocco pensare ad una manifestazione di disappunto estemporanea, scatenata solo dalla sconfitta contro un’avversaria diretta come il Genoa. Il fuoco covava sotto la cenere fin dalla gara col Bologna; in quel caso gli ultras si limitarono a striscioni e fischi, dando i classici sette giorni alla squadra, una settimana dopo, nulla è cambiato.
Il Napoli non solo ha perso, ma ha giocato una gara pessima, da zero in pagella, mostrando a lato dei risaputi limiti tattici, anche una totale pochezza di idee unita ad una condizione atletica quantomeno approssimativa. In 90 minuti si è vista solo una conclusione di Denis e nessun tiro nello specchio della porta. In pratica lo stesso copione che chi segue le vicende partenopee è costretto a sorbirsi almeno da gennaio in poi.
Il problema del Napoli, ciò che ha scatenato la civile rabbia da parte dei supporters partenopei, è che non si riesce a scorgere un appiglio che possa infondere la speranza di un possibile miglioramento.
Oggi quasi tutti attaccano l’allenatore, è lo sport più in voga sui media napoletani, ma bisognava capirlo prima che il tecnico non era all’altezza di un progetto tanto ambizioso. Lo ribadisco ora per l’ultima volta: Reja ha ottenuto sì ottimi risultati, ma con un club che in C e in B aveva speso fior di milioni, parecchi in più rispetto all’allora concorrenza.
In A la società ha regalato al trainer goriziano gente del calibro di Lavezzi, Hamsik, Blasi, Gargano e Zalayeta, permettendogli di raggiungere un ottavo posto ampiamente alla portata di qualsiasi tecnico di buon livello. Nessuno, apparentemente appagato dai risultati, si è mai soffermato sulle qualità del gioco, nessuno si è mai chiesto se ci fosse la possibilità di un calcio diverso rispetto al solito, scontato copione: palloni lunghi e ripartenze.
Ti può anche andare bene, certo. Molte volte anche in questa stagione i partenopei sono venuti a capo di risultati positivi affidandosi totalmente all’estro e le capacità dei loro giocatori più qualitativi, ma se non si dispone di impianti di gioco alternativi, alla lunga la si paga. Per questo non mi sembra corretto scagliarsi ora contro il mister; preferisco piuttosto provare a dividere le colpe con chi l’ha confermato, ovvero Marino e con De Laurentiis che, seppur poco convinto, alla fine ha ceduto.
La conferma è stata però solo il preludio ad un altra serie di sviste e valutazioni sbagliate: considerando le caratteristiche del tecnico, bisognava allora rinforzare bene la squadra per permettere a Reja di proseguire il suo lavoro. Un centrocampista geometrico, tanto per portare messaggi concreti, un mancino migliore di Savini, un centrale all’altezza di quello che aveva fatto per due stagioni Domizzi ed un centravanti quantomeno più prolifico di Zalayeta.
Il principale colpevole di questo sfascio generale è il club, retto da una diarchia che non ne ha voluto sapere di crescere. Non c’è sufficiente organizzazione: il team manager è il figlioccio del presidente anziché essere un grande ex calciatore di carisma, in grado di poter stare vicino alla squadra in situazioni come questa. Il Direttore Generale si occupa di tutto senza il minimo aiuto di nessun direttore sportivo; per non parlare del fatto che in un momento sportivamente drammatico per la squadra, il presidente e proprietario parte per Los Angeles delegando tutto a Marino.
La gestione societaria, duole dirlo, ma è rimasta a Lanciano, altro che serie A. E domenica sera se n’è avuta la conferma lampante. Dopo la gara si decide di non continuare il ritiro, si manda Reja in pasto alla stampa, a dire che la squadra si sarebbe ritrovata, come di consueto, solo il martedì. Senonché, due ore, dopo la rosa viene richiamata in fretta e furia per comunicare che si tornava direttamente a Castelvolturno: “Contrordine compagni”. Bella dimostrazione di coerenza e linearità.
Quando un club ha basi caduche, difficilmente riesce ad emergere. Chi si limita a dire che basterebbe centrare il settimo posto dimostra di avere una veduta ben poco lungimirante. Il problema è più vasto. Così come è messo, è impossibile pensare che questo Napoli possa infastidire le grandi. Prendendo Denis e bocciando i vari Floccari e Pazzini, per tacere di Milito, o acquistando Datolo che non serve, non si va lontani.
È il momento dell’autocritica, chi ha sbagliato lo ammetta, ma cerchiamo di non ripetere lo stesso errore. Si inizi fin d’ora a pianificare la prossima stagione, dal mister ai giocatori.
Reja riteneva Bucchi un clone di Calaiò, ma Bucchi arrivò lo stesso. Reja non stimava Rullo, ma anche Rullo arrivò lo stesso, giocò 90 minuti col Genoa e non si vide più in campo. Spero che Datolo non faccia la stessa fine.
Detto questo, reputo del tutto inutile esonerare adesso Reja, a meno che non sia la squadra stessa a chiederlo. Un traghettatore acuirebbe solo la crisi, meglio quindi affidarsi all’orgoglio ed alla serietà professionale di un gruppo che deve essere in grado di trovare la propria dignità. Nessuno pretende di rivedere la squadra di inizio stagione, ma una via di mezzo è possibile. Contro una Juve stanca per la gara di coppa Campioni giocata due giorni prima, il Napoli deve provare ad uscire imbattuto dall’Olimpico, impresa riuscita ad una squadra non certo superiore agli azzurri come la Sampdoria solamente due settimane fa.
Che questa annata serva da lezione: a certi livelli servono strutture aziendali adeguate, per evitare scelte azzardate ed errori puerili. L’allenatore è un perno fondamentale, non un elemento qualsiasi, quando la società capirà, anche il Napoli finirà inevitabilmente per crescere. Non basta un settimo posto, peraltro tutto da conquistare, a salvare capre e cavoli. Non sarà il punto in più o in meno a salvare la valutazione di chi vuole bene a questa squadra. di Ciro Venerato su TMW
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