Diamo i voti della stagione alle 30 squadre della NBA, partendo dalla Eastern Conference, più precisamente dall’Atlantic Division (nei prossimi giorni verranno prese in considerazione, via via, anche le altre 5 divisioni).
BOSTON CELTICS: 7. Pronosticati ad inizio anno come la squadra possibile finalista della Eastern Conference per dare vita all’ennesimo scontro con gli acerrimi rivali dei Los Angeles Lakers (super favoriti ad Ovest), i Celtics hanno dovuto combattere fin dall’inizio della stagione con tanti infortuni che alla lunga hanno inciso pesantemente sul rendimento nella post season. La grande partenza (con 3 vittorie in altrettante partite contro i Miami Heat dei nuovi “Big Three” LeBron James-Dwyane Wade-Chris Bosh che poi si sono ripresi tutto con gli interessi nello scontro playoff) ha lasciato spazio ad una seconda parte di campionato un pò sottotono. Per molte partite i Celtics si sono ritrovati a giocare senza un vero centro vista la contemporanea assenza di Shaquille O’Neal, Jermaine O’Neal e Kendrick Perkins, tutti out per problemi fisici più o meno gravi. Il voto abbastanza alto è dovuto al fatto che tra le formazioni di punta i “Verdi” sono stati quelli più falcidiati dagli infortuni, ed anche se l’approdo in Finale non si è verificato resta tuttavia la buona impressione lasciata agli addetti ai lavori, con un ottimo gioco di squadra ed una super difesa. L’età avanzata dei giocatori chiave non lascia molte speranze per il futuro anche se non sarà facile riuscire ad affondarli, l’orgoglio dei Celtics è rinomato ed il prossimo anno saranno ancora una volta lì a dare battaglia. Mezzo voto in meno per la mossa della dirigenza (nella persona di Danny Ainge) di dare via troppo facilmente Kendrick Perkins alla fine del marcato a febbraio: a ringraziare sono stati i Thunder che hanno fatto molta più strada, in post season, rispetto a Boston.
nba.com
NEW JERSEY NETS: 4. Stagione disastrosa per i Nets (24 vittorie e 58 sconfitte) che si affacciavano al campionato con propositi di playoff. Invece la squadra è andata alla deriva fin da subito, non riuscendo a competere mai ad alti livelli. Il miliardario russo Prokhorov, owner della franchigia, aveva promesso grandi colpi per formare un grande team ma tutto ciò non si è realizzato, ed il russo ha subito anche lo smacco da parte di Carmelo Anthony che ai suoi Nets ha preferito i cugini dei Knicks. Preso per il collo il proprietario ha chiuso l’affare per Deron Williams dagli Utah Jazz, giocatore di valore assoluto che però a fine stagione 2011-2012 sarà free agent e se non verrà trovato un accordo lascerà New Jersey nei guai perchè per prenderlo i Nets hanno sacrificato 2 giocatori come Harris e Favors più la scelta che quest’anno sarà utilizzata da Utah per prendere il terzo giocatore del Draft. Una mossa che, considerato il contratto in scadenza, forse non vale il prezzo del giocatore. La strada per la dirigenza è ancora tutta in salita perchè per arrivare ad alti livelli urge un completo restyling anche per dare un supporting cast adeguato a Williams ed invogliarlo a rimanere. Ma la situazione dei Nets resta in bilico sull’orlo del baratro.
NEW YORK KNICKS: 6,5. Se New Jersey piange, New York può iniziare a sorridere. Dopo tanti anni di attesa finalmente i Knickerbockers sono riusciti a fare i playoff, merito dei 2 grandi acquisti (uno estivo, l’altro in chiusura di mercato a febbraio) ovvero Amar’è Stoudemire, preso dai Phoenix Suns, e Carmelo Anthony, arrivato sacrificando Danilo Gallinari (ed altri 3 giocatori importanti) da Denver. Con loro 2 i Knicks diventano potenzialmente una delle prime 3 squadre della Eastern Conference e l’opera di rinforzamento potrebbe anche non essere chiusa visto l’interesse per altri grandi nomi (in primis Chris Paul e Dwight Howard). Il record di 42 vittorie e 40 sconfitte non è stato esaltante (tuttavia erano diversi anni che a New York si chiudeva sempre con un record perdente e questo rappresenta già un primo miglioramento) ma New York ha fatto intravedere le grandi potenzialità che potrebbe esprimere il prossimo anno (lockout permettendo). Il secco 4-0 subito dai Celtics al primo turno playoff è anche un pò bugiardo perchè nelle prime 2 partite della serie, giocate in trasferta, i Knicks hanno rischiato di vincerle tutte e 2, e solo delle chiamate arbitrali piuttosto discutibili nei minuti finali, hanno condannato la squadra di Mike D’Antoni. E’ anche per questo che comunque il team della “Grande Mela” merita un voto positivo, in attesa del solito mercato che potrebbe regalare un playmaker di primissimo piano come Chris Paul agli arancioblu. La trattativa con gli Hornets non sarà semplice ma il giocatore pare deciso a lasciare New Orleans, ora oppure il prossimo anno gratis dato che andrà in scadenza ed i Knicks hanno tutto il suo gradimento visto che lì giocano i suoi 2 amici Stoudemire e Paul. Se si completasse questo fantastico trio avremmo i rivali dei Miami Heat nei prossimi anni della NBA.
PHILADELPHIA 76ERS: 7,5. La vera sorpresa ad Est assieme ai Chicago Bulls. La squadra non era sicuramente di primo piano per accedere alla post season (lo scorso anno finirono tra gli ultimi e il Draft regalò loro al seconda scelta assoluta materializzatasi in Evan Turner), ma i Sixers, condotti da un grandissimo allenatore come Doug Collins, hanno dimostrato il loro valore, in una stagione che doveva essere di transizione in vista di un futuro migliore. Philadelphia è riuscita a bruciare le tappe ma dal prossimo anno ci si aspetta un ulteriore passo in avanti ed infatti lo staff manageriale sta lavorando per migliorare l’organico. La chiave del successo dei Sixers è stata la freschezza atletica dei tanti giovani a roster (unita comunque ad un’ottima organizzazione sia difensiva che offensiva) che ha permesso di poter giocare un basket senza soste nei 48 minuti sul parquet che ha messo in crisi le squadre che avevano un’età media relativamente avanzata. Su queste basi si dovrà continuare a lavorare in futuro, per migliorare il record di 41 vittorie ed altrettante sconfitte dovuto comunque alla piccola flessione avuta sul finire di stagione dopo aver giocato per 3 quarti di campionato a 1000 all’ora. La fortuna non ha neanche aiutato Philadelphia che ha subito un pesante 4-1 in post season dai Miami Heat, squadra poi finalista nella Lega ed uno dei pochi team che atleticamente poteva contenere i giovani Sixers, sarebbe andata meglio contro Boston, squadra più vecchia e lenta anche se sempre talentuosa. Le basi però ci sono e sembrano buone, bisogna solo lavorare nel contorno.
TORONTO RAPTORS: 3. Secondo peggior record della Eastern Conference (22 vittorie contro ben 60 sconfitte), terza peggiore squadra della NBA dietro solo ai Minnesota Timberwolves ed ai Cleveland Cavaliers. Un disastro completo, una squadra senza capo nè coda, situazione determinata non solo dai giocatori ma soprattutto dallo staff tecnico e dirigenziale (coach Jay Triano, General manager Maurizio Gherardini e Presidente Bryan Colangelo) che non ha saputo capire i mali della squadra e non ha posto rimedio a difficili situazioni interne (condizioni viste e riviste già nel corso degli ultimi anni). Non si è salvato neanche il nostro Andrea Bargnani che ha messo sì in mostra numeri interessanti nelle cifre (21.4 punti di media a partita) ma non è riuscito a prendere la leadership di un gruppo che ne aveva un bisogno disperato dopo l’addio del capitano Chris Bosh andato in Estate a Miami a far compagnia ai 2 amici Wade e James. Toronto non è stata fortunata nella Draft Lottery che ha relegato i canadesi dal terzo posto virtuale (in funzione del terz’ultimo posto della regular season) al quinto per ordine di chiamata dei prospetti delle Università d’America, sopravanzata da Utah e dalla scelta dei Clippers acquisita da Cleveland. Tuttavia la dirigenza è decisa a dare una svolta al team e vorrebbe ricostruire partendo proprio dalla cessione di Bargnani per poter acquisire qualcosa di buono, in termini di giocatori e prossimi pick al Draft, dato che l’italiano sembra l’unico giocatore dei Raptors ad avere mercato.
In definitiva il futuro di Toronto è un’incognita, posto il fatto che saranno DeMar DeRozan ed Ed Davis gli unici punti fermi della squadra. Il resto sarà in continua evoluzione e sviluppo, sperando che una volta ogni tanto nella città canadese riescano a capire come comportarsi.
“Martedì sarà un giorno molto importante, un giorno che ci dirà se potremo essere ottimisti o pessimisti. Il tempo scorre, e ne è rimasto poco, ma le parti mi sembrano intenzionate nel trovare un accordo entro il 30 giugno“.
La data fissata è particolarmente rilevante perchè in caso di nuova fumata nera sarà cancellata la free agency, data importante per le squadre che possono muoversi sul mercato e prendere i giocatori svincolati per rinforzarsi. Da ciò si capisce l’importanza dei prossimi incontri dai quali dipendono i destini delle squadre e in definitiva della prossima stagione. Il male minore sarebbe la cancellazione solo della prima parte di stagione con un torneo ridotto a sole 50 partite (invece delle canoniche 82) come già successo nell’annata 1998-1999 con un accordo trovato solo in extremis che permise di salvare il salvabile con le squadre che iniziarono a giocare solo a Febbraio (la finale fu tra San Antonio e New York, vinta poi dai neroargento texani). Ora quel contratto collettivo è scaduto con la fine dell’attuale stagione agonistica ed occorre stipulare nuovi termini, ma la strada pare decisamente lunga e piena di ostacoli, nonostante Stern ostenti sempre un certo ottimismo. Intanto giovedì 23 giugno, alle ore 19 americane, (l’una di notte di venerdì in Italia) ci sarà il Draft 2011, con Kyrie Irving favoritissimo alla prima chiamata assoluta (da parte dei Cleveland Cavaliers) e Derrick Williams suo primo antagonista. Molti atleti delle Università (in primis Harrison Barnes, fenomeno di North Carolina University) hanno tuttavia preferito restare per un’altra stagione al College proprio per evitare la possibilità di restare fermi un anno a causa del lockout, rendendo uno dei Draft potenzialmente più interessanti di sempre ad una selezione mediocre con atleti di talento medio che saranno chiamati molto in alto proprio a causa di tutte queste defezioni da parte dei giocatori più dotati. Nei prossimi giorni daremo ulteriori ragguagli sulla situazione.
“Finalmente ho deciso di cominciare la mia avventura in NBA. E’ sempre stato il mio sogno, e ora voglio perseguirlo in pieno. Sono molto grato nei confronti del Barcellona, il club dove ho giocato nelle ultime 2 stagioni: qui sono cresciuto tanto, ho stretto amicizie profonde, e ho lottato per traguardi importanti come Eurolega, ACB, Coppa del Re, Supercoppa. Non avrei mai pensato di poter vincere così tanti titoli. Ed è stato proprio tutto quello che ho vinto in Europa a darmi la forza per andare in America: da un punto di vista individuale, le cose sarebbero potuto anche andare meglio, ma il basket è uno sport di squadra, e in questo senso ho avuto successo come parte di un team.
Sono emozionatissimo, mi sento come un bambino a cui è stata data una caramella enorme. Quello che mi spinge ad andare in America è la possibilità di misurarmi con i giocatori più forti del mondo. Voglio vedere se sono capace di confrontarmi con loro, se posso giocare a così alto livello, ma non posso saperlo fino a quando sarò là. Quando si prende una decisione così importante, è normale essere un po’ spaventati. Non ho mai lasciato Barcellona, non ho mai vissuto in un’altra città e per me è un’esperienza tutta nuova. Sono un po’ impaurito ma anche attratto da questa avventura. Non mi spaventa, però, l’idea di giocare in NBA: stiamo sempre parlando di pallacanestro, di buttare una palla in un canestro e di condurre la squadra alla vittoria“.
Minnesota nell’ultima stagione ha avuto il peggior record NBA (17 vittorie e 65 sconfitte), tuttavia ha una buona base di giocatori dal talento indiscutibile che potrebbero permettere alla franchigia un salto di qualità nella prossima annata, magari sotto la guida di un allenatore nuovo e vincente che imposti, anche psicologicamente, nuove idee in un gruppo che sembra di livello ma in cui ognuno sembra giocare solo per le proprie statistiche personali.
Dopo aver dato i voti alla squadra Campione, i Dallas Mavericks, passiamo ai perdenti, i Miami Heat, secondo molti i veri favoriti in queste Finals 2011 che sono usciti non solo sconfitti ma anche distrutti dal confronto con i texani.
DWYANE WADE, 7,5: Finchè regge fisicamente è lui l’unico appiglio della franchigia della Florida. Talento purissimo con un innato senso per il canestro, atletismo ai limiti dell’irreale, per stazza fisica e modo di giocare ricorda più di chiunque altro il più grande giocatore di basket di tutti i tempi, ovvero Michael Jordan. Il problema è che molto probabilmente non è al pari dell’ex fenomeno dei Bulls sul piano psicologico (in primis perchè l’immenso Mike non si lasciava andare a gratuiti siparietti con i compagni finchè la partita non era finita), tuttavia cerca di salvare tutto il salvabile e da questa serie è l’unico che esce con un voto positivo (assieme a Mario Chalmers). La mazzata definitiva alle sue ambizioni ed al suo fisico è inferta da Brian Cardinal che dopo pochi minuti di gara 5 (con la serie sul risultato di 2-2) lo mette KO provocandogli un infortunio all’anca che limita di molto la sua efficacia da quel momento in poi, e Miami affonda irrimediabilmente. Avrebbe avuto un posto di diritto nella “leggenda” se pur infortunato avesse condotto la sua squadra ed i suoi compagni al titolo (così come fece proprio Jordan in passato contro i Jazz, oppure il rivale attuale in questa Finale Dirk Nowitzki che non si è curato del suo infortunio al dito e della febbre in gara 4 risultando anzi sempre decisivo). Nel 2006 era stato proprio lui a svoltare l’inerzia delle Finals sempre contro i Mavs, in gara 3, quando sotto di 13 punti a 6 minuti dal termine e con 2 gare già perse sul groppone, la stella degli Heat diede vita ad uno show che permise alla sua squadra di vincere la partita e successivamente di portare a casa anche le altre 3 chiudendo i conti sul 4-2, diventando l’M.V.P. della serie e portando in Florida un titolo insperato. Sembra passata ora una vita da quel momento anche perchè gli avversari di allora si sono presi, ampiamente, la loro rivincita. Resta l’impressione che sia stato l’unico dei Big Three a non mollare mai.
MARIO CHALMERS, 7: Se Miami avesse vinto il titolo, la città avrebbe dovuto ringraziare molto di più lui che il tanto osannato LeBron James. Gioca tutte le 6 partite a livello altissimo, è sempre presente nel momento del bisogno, e dimostra di essere molto migliorato perchè da 3 infila canestri a ripetizione ed in questa specialità pare a molti l’unico vero giocatore affidabile. A Dallas buca (sia in gara 3 che in gara 5) per 2 volte la retina avversaria con tiri da centrocampo, poi logicamente il talento non è dei migliori e non può essere lui a risolvere le partite, ma quando viene chiamato in causa fa il suo lavoro ed anche alla grande, Bibby (l’altro play in squadra) esce distrutto dal confronto con lui, sarà il titolare nel ruolo di playmaker per i prossimi anni (sempre che in Florida non decidano di stravolgere tutto). Gran bella sorpresa.
UDONIS HASLEM, 6: Dopo un lungo infortunio la condizione fisica non può essere al meglio ma pian piano il lungo dei rossoneri riusciva a dare sempre qualcosa in più. L’unico in grado di poter difendere come si deve su Nowitzki (lo dimostra il tiro sbagliato dal tedesco sulla sirena finale di gara 3 con una difesa eccellente del numero 40 di Miami), ma la sua abnegazione non è bastata, troppi compagni di squadra hanno “toppato” nel momento cruciale della serie. Anche lui sarà una pedina importante per gli Heat del futuro. Anche perchè con lui si esauriscono i giocatori di Miami con un voto sufficiente.
MIKE MILLER, 5,5: Su di lui lo staff dirigenziale della Florida aveva puntato tantissimo in Estate ma le aspettative non sono state rispettate. Lo scorso anno si era dimostrato l’unico giocatore da salvare dei Washington Wizards, ala piccola atipica con una fortissima propensione al rimbalzo e mago nel recupero dei palloni vaganti, eccellente nelle percentuali da 3 punti, buon realizzatore, molto spesso vicino ai 20 punti. E’ stato l’ombra di sè stesso in questa annata e nelle Finals ha dimostrato il suo disagio. Probabilmente gli verrà data una seconda occasione, ma in un’altra squadra renderebbe meglio.
CHRIS BOSH, 5: Di lui si ricorda un lampo in gara 3, con il jumper decisivo che aveva riportato avanti per 2-1 gli Heat nella serie. Poi scompare nelle successive gare, abbina buoni primi tempi con seconde frazioni di gara da “desaparecidos”: Tyson Chandler non gli concede nulla, farebbe meglio a non “gasarsi” troppo e restare più umile, perchè al momento se la franchigia della Florida dovesse sacrificare una delle 3 stelle, lui sarebbe il prescelto. Alcune volte le cifre non dicono tutto, soprattutto se i punti si mettono a segno all’inizio per poi scomparire nella mediocrità nei finali di gara, dove invece un’altro signore (Nowitzki) si diverte a piazzarne ben 62 negli ultimi quarti.
MIKE BIBBY, 4: Arrivato a metà stagione per risolvere i problemi in cabina di regia di Miami, non solo non incide ma risulta addirittura dannoso. Per ovviare alle sue mancanze Chalmers deve fare gli straordinari.
LEBRON JAMES, 4: Mezzo voto in meno perchè alcune volte appare veramente puerile ed infantile nei modi di fare (si veda lo “scimmiottamento” che ha fatto di Dirk Nowitzki con la febbre), un famoso coach della NFL un giorno ha detto: “Qualche volta per avanzare di un miglio, bisogna tornare indietro di un metro”. La sensazione è che lui debba mettere in opera questo insegnamento, ed i motivi sono sotto gli occhi di tutti. E’ il grande sconfitto della serie, non incide come dovrebbe perchè nei finali di gara si limita ad una decina di punti (e poco più) mentre il leader avversario, un tedesco che non ha mai abbandonato la nave con cui era partito per l’avventura NBA, ne infila ben 62 e dimostra cosa vuol dire portarsi e caricarsi una squadra, uno Stato che sogna con le sue prodezze, sulle spalle.
Dovrà sorbirsi ancora una volta un’Estate di critiche (dopo quelle dello scorso anno per via di “The Decison”), vedremo come ne uscirà, di certo c’è che a 27 anni sulle sue dita non c’è traccia di “anelli” NBA, se prima c’era la scusa che a Cleveland lui doveva fare ogni cosa (segnare, difendere, essere leader, trascinare un’intera città) ora questa scusa non può reggere più perchè a Miami ha tutto ciò che ha sempre sognato. Nel momento in cui Wade si infortuna ci si aspetterebbe che prenda lui il comando delle operazioni ma fallisce miseramente, alcune volte sfiora il ridicolo perchè invece di prendersi le sue responsabilità delega Mario Chalmers come prima opzione offensiva, una cosa che, per quanto abbia giocato bene il buon Mario, non può essere ammessa da un giocatore con il suo talento che ha la nomea di “Prescelto” per succedere a Michael Jordan! Anche Dan Gilbert (proprietario dei Cavaliers che con James si è lasciato malissimo) è riuscito a levarsi un sassolino dalla scarpa: sul social network Twitter la prima cosa che l’owner di Cleveland ha scritto appena finita la Finale è stato un incisivo “nel basket non esistono le scorciatoie!”. Chi vorrà intendere, intenda…
ZYDRUNAS ILLGAUSKAS, JOEL ANTHONY, ERICK DAMPIER: La batteria di lunghi di Miami risulta a tutt’ora NON PERVENUTA.
ERIK SPOELSTRA, 5: Esce demolito dal confronto con il rivale Carlisle, prova anche ad imitarlo quando nelle ultime 2 gare rispolvera Eddie House (così come Carlisle aveva piazzato Barea in quintetto al posto di Stevenson) ma ovviamente le mosse vanno studiate prima di essere messe in pratica. Ha il merito di aver costruito un ottimo sistema difensivo, ma la pallacanestro giocata dalla sua squadra nella metà campo degli avversari è orribile, se non fosse per i contropiedi spettacolari che allestiscono i Big Three: gioco statico, assenza totale (o quasi) di schemi, si vedono per gran parte del tempo i famosi “uno contro uno” dei 3 “tenori”. Dallas ha mostrato una circolazione offensiva di palla da manuale, l’attacco dei Mavs è stato il migliore visto nella Lega, ma coach Carlisle ha vinto le Finali dando ai suoi giocatori anche una buona impronta difensiva, cosa che prima, in regular season si era vista poco e niente. Spoelstra non ha saputo essere la suo livello, perchè all’ottima difesa non è riuscito a dare un attacco in grado di essere prolifico. Ecco la vera sconfitta dell’allenatore di Miami.
nba.comDiamo i voti ai protagonisti delle Finals NBA 2011, iniziando ovviamente dalla squadra Campione, i Dallas Mavericks. Ed iniziamo, come sembra più giusto, dal giocatore simbolo dei texani, colui che è anche stato eletto M.V.P. delle finali (poco alla volta seguiranno tutti gli altri): DIRK NOWITZKI, 10: Leader vero di una squadra che per 13 anni è stata un’eterna incompiuta, il momento più importante per lui e per il team avviene nell’Estate scorsa quando decide di rinnovare nuovamente il contratto con i Mavericks piuttosto che cercare la “scorciatoia” (come invece ha fatto qualche altra star della Lega!) di andare ad unirsi ad altri campioni per tentare l’assalto al tanto agognato titolo. Scelta giustistissima perchè con i nuovi innesti (Tyson Chandler su tutti) i texani diventano una formazione forte e competitiva e, come si è visto in questi playoff, sicuramente la squadra con il gioco più lineare e pulito dell’intera NBA. Ma il condottiero è sempre e solo lui, il tedesco di Wuzburg, splendido atleta di 215 centimetri dalla mano favolosa. Straordinario in gara 2 quando è decisivo nella vittoria a Miami, ancora di più in gara 4 quando con un infortunio al dito e quasi 39 gradi di febbre mette KO gli avversari con una prestazione che si avvicina a quella di Michael Jordan (anche lui con 39 di febbre) nella Finale del 1997 sul campo degli Utah Jazz di Stockton e Malone. Niente e nessuno è riuscito, questa volta, a rovinare il suo sogno, ha tenuto una media di 26,5 punti e 9,5 rimbalzi a partita, segnando nei decisivi quarti periodi ben 62 punti! Manca la lode per via dei primi 2 quarti di gara 6 dove ha tirato male (3 punti con 1/12 dal campo) ma ovviamente rispolvera il suo talento nel finale con 10 punti (sui 21 totali) che sugellano la vittoria biancoblu. Immenso. JASON TERRY, 9,5: E’ lui l’uomo in più quando Nowitzki non può essere presente, è lui il compagno ideale per supportare il tedesco nei momenti decisivi. La guardia nata a Seattle gioca dei playoff di livello assoluto (da leggenda il record NBA per i playoff di 9/10 dalla lunga distanza in gara 4 contro i Lakers, una prestazione che ha spazzato via gli ex campioni e posto fine “all’Era Phil Jackson” con i gialloviola). Non trema mai, sempre sicuro di sè e dei suoi mezzi. Era uno dei 2 reduci (l’altro era Nowitzki) della Finale del 2006 sempre contro gli Heat (serie che però venne persa da Dallas), il desiderio di vendetta era grande e questo lo ha motivato a tal punto da diventare devastante anche per la coppia James-Wade. JASON KIDD, 9: A 38 anni riesce a reggere in marcatura sia su James che su Wade, nonostante i 2 avversari abbiano rispettivamente 12 e 10 anni di meno, dimostra che non serve l’atletismo per limitare chi dell’atletismo fa la propria arma principale (Derrick Rose dei Chicago Bulls, M.V.P. della regular season, a soli 22 anni nella serie precedente aveva sofferto la coppia degli Heat non riuscendo ad opporsi difensivamente, spazzato via dal vigore fisico dei 2 assi di Miami). Una lezione per tutti, dal grande “Giasone”, con 2 movimenti di piede riesce a sbarrare la strada ed a tamponare le giocate “uno contro uno” dei temibili avversari. Abbina a tutto ciò la solita, grande vena di playmaker (un vero piacere guardare la circolazione di palla dei Mavs) e nel momento di piazzare il tiro da oltre l’arco è una sentenza. Titolo stra-meritato anche per lui. J.J. BAREA, 8,5: Prende il posto in quintetto dopo gara 3 con i Mavericks sotto 2-1 nella serie, diventa così importante che non lascia più il posto da titolare ed i texani vincono tutte le altre 3 partite consecutive. La variabile impazzita della serie, un portoricano di soli 175 centimetri che si diverte a fare il bello e cattivo tempo a suo piacimento, quasi non si crede ai propri occhi quando lo si vede sgusciare via nell’area intasata ed affollata da bestioni di 210 centimetri per appoggiare il tiro al canestro, sembra quasi un prestigiatore che fa sparire il pallone e lo fa riapparire nel canestro quando ormai è troppo tardi per fermarlo. Abbina a queste qualità un favoloso tiro da 3 punti che lo rende in pratica indecifrabile per la difesa avversaria. Diventa in definitiva una pedina irrinunciabile nello scacchiere di coach Rick Carlisle. TYSON CHANDLER, 8: Fantastica la storia di questo centro di quasi 2 metri e 20, perchè negli ultimi 3 anni la sfortuna si era abbattuta su di lui e sulle sue caviglie. Dopo essere esploso a New Orleans con Paul e West, gli infortuni convinsero la dirigenza a sbarazzarsi di lui in uno scambio con i neonati Thunder quasi per nulla, ma Oklahoma City dopo le visite mediche lo rispedì al mittente dicendo che non era integro e la sua carriera a forte rischio. Alla fine dell’anno lo presero i Bobcats in uno scambio con Okafor ma a Charlotte non entusiasmò e così dopo solo un anno venne in pratica regalato a Dallas. Qui risorge e in questa prima stagione diventa uno dei centri più affidabili della Lega, presenza intimidatrice in difesa, ottimo rimbalzista in attacco con licenza di schiacciare a piacimento sugli assist di Kidd. La sua favolosa annata si denota dal fatto che nelle ultime 3 partite delle Finals annulla il rivale Chris Bosh in tutti i secondi tempi (dopo che lo stesso Bosh aveva deciso gara 3 con un jumper per il provvisorio vantaggio di 2 ad 1 per Miami nella serie). Copre nel migliore dei modi l’unica lacuna che i Mavs hanno avuto per tutti questi anni, ovvero il ruolo di centro, diventando così essenziale. SHAWN MARION, 7,5: Quando dopo le prime partite di regular season si è infortunato Caron Butler, ala piccola titolare, nessuno poteva immaginare l’importanza che avrebbe avuto Marion in questa stagione. Invece l’ex giocatore di Phoenix, Toronto, e Miami, dato per molti come per finito, si trasforma improvvisamente e diventa parte irrinunciabile del sistema di gioco di Carlisle. In molti dicevano negli anni passati che solo Mike D’Antoni ai Suns era riuscito a renderlo un vero fenomeno, ora si sa che non è così perchè le qualità ci sono, bastava solo avere fiducia in lui, ripaga Dallas nel migliore dei modi possibili con grandi giocate difensive sia su Wade che su James ed in attacco è semplice ed efficace chiudendo con una media punti di 13 a partita. DESHAWN STEVENSON, 7: Da tempo va ripetendo che LeBron James è un giocatore sopravvalutato, oggi gli si deve dare ragione. Le ruggini risalgono a quando era un punto fermo dei Washington Wizards e puntualmente la sua squadra veniva eliminata dai Cleveland Cavaliers del “Prescelto” nei playoff della Eastern Conference. Compie anche lui la sua vendetta nel modo e nel momento migliore possibile, anonimo nelle prime 3 partite quando da titolare non riesce ad opporsi agli avversari, uomo di sostanza quando viene spostato in panchina per far spazio a Barea dopo gara 3. Preciso dalla lunga distanza, da quel momento in poi svolge il suo compito nel migliore dei modi, forse perchè (merito di coach Carlisle) partendo come sostituto svanisce come per magia tutta la pressione che gravava sulle sue spalle. Anche lui diventa un prezioso tassello per il completamento del puzzle. Menzione d’onore a Brian Cardinal, che di talento ne ha ben poco, ma si dimostra un fido gregario quando viene chiamato in causa, soprattutto in difesa dove si può notare la sua durezza ed a farne le spese è Wade che nel primo quarto di gara 5 rimedia un infortunio all’anca che deciderà in negativo le sorti degli Heat. Voto 6,5.Coach RICK CARLISLE, 10: Capolavoro tecnico-tattico-psicologico per questo allenatore che a prima vista potrebbe essere più famoso per la somiglianza con l’attore Jim Carrey che per altre qualità. Nella sua carriera ha dimostrato di poter diventare uno dei migliori ma non è mai stato apprezzato a pieno, in Texas ha trovato la sua dimensione costruendo una squadra splendida nel suo modo di giocare la pallacanestro. Ma il suo genio esce fuori quando capisce che apportando qualche aggiustamento alla difesa (nonostante gli interpreti non siano più ragazzini per l’età) può mandare in confusione Miami. E così avviene, ridicolizza nelle scelte in ogni singolo istante e momento il suo collega Spoelstra, tiene in pugno la serie permettendo psicologicamente ai suoi ragazzi di esprimersi al meglio ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti dato che i suoi giocatori nell’ultimo quarto spesso e volentieri annichiliscono gli Heat con super rimonte. Anche per lui vale il discorso fatto per tutti gli altri, il titolo è ampiamente meritato. Gli auguriamo che sia il primo di una lunga serie, così la sua incredibile somiglianza con Jim Carrey passerà sicuramente in secondo piano. LEGGI LE PAGELLE DEI MIAMI HEAT
Anche gara 2 termina come la prima partita della serie di Finale del campionato italiano di Serie A di basket: la Montepaschi Siena batte 81-69 la Bennet Cantù e raggiunge un tranquillo 2-0 nella sfida al meglio delle 7 gare che permette alla formazione di Simone Pianigiani di affrontare le prossime 2 partite esterne con un grande vantaggio.
Cantù parte meglio ed infatti chiude il primo quarto avanti 25-23, il risveglio dei padroni di casa avviene nella seconda frazione di gioco anche se fino al 15esimo minuto di gioco a guidare gara 2 è sempre Cantù che si spinge fino al +6 (41-35). Qui arriva la risposta di Siena che con un parziale di 14 6 ribalta completamente la partita ed i biancoverdi vanno al riposo in vantaggio 49-47.
E’ la spinta decisiva per la Montepaschi che nella ripresa stringe le maglie difensive e non concede quasi nulla agli avversari, mentre a fare la differenza in attacco sono McCalebb, Lavrinovic e Kaukenas che aiutati da una tripla di Zisis portano il primo pesante break della partita (67-56). Siena va in automatico e la Bennet perde fiducia nei propri mezzi, il risultato è il divario che si allunga ulteriormente con il provvisorio 76-59 al 37esimo. Negli ultimi 3 minuti gli ospiti trovano i canestri che rendono meno amara la sconfitta, finisce 81-69 e Siena ha mezzo scudetto già in tasca.
Protagonisti del match McCalebb (12 punti), Lavrinovic (top scorer con 16 punti), Hairston e Kaukenas (10 punti a testa), per gli ospiti ci sono le buone prove di Scekic (12 punti e 9 rimbalzi), Tabu e Leunen (10 punti) . Gara 3 sarà in programma il 15 giugno a Cantù dove gli uomini di coach Trinchieri dovranno necessariamente vincere per restare aggrappati alla serie.
nba.comQueste le immagini della premiazione dei nuovi Campioni NBA dei Dallas Mavericks. La squadra texana in Finale ha battuta per 4 partite a 2 i rivali dei Miami Heat, secondo molti i veri favoriti nella corsa al titolo 2011. I Mavericks hanno però dimostrato, sopratutto nel corso dei playoff, di non temere nessuno e di essere la migliore squadra tra quelle partecipanti alla post season. Le perle di questa splendida cavalcata sono sicuramente l’eliminazione degli ex campioni dei Los Angeles Lakers, schiantati in semifinale di Conference con un netto ed inequivocabile 4-0 (sommersi sotto una miriade di tiri da 3 punti) e proprio la serie di Finale contro Miami che ha messo in atto la vendetta dei texani contro la squadra che 5 anni fa riuscì a ribaltare una serie che pareva ormai segnata ed a prendersi il titolo di Campioni proprio ai danni dei Mavs. Miglior modo, per scacciare via i brutti ricordi, non poteva esserci per Dirk Nowitzki (eletto M.V.P. delle Finali) e compagni. LEGGI L’ANALISI DI GARA 6[jwplayer config=”120s” mediaid=”81040″]