“Sembra proprio che agli Europei ci sarò. Non voglio che gli altri miei compagni perdano l’occasione di partecipare alle Olimpiadi e voglio giocare“.
Prima però Nowitzki deve rimettersi a posto dal punto di vista fisico:
“Perchè partecipi all’Europeo è necessario che mi curi. Infatti da settimane mi trascino un virus influenzale e non giocherò se la mia salute è a rischio“.
La Germania, va ricordato, è inserita nel gruppo B con l’Italia di Simone Pianigiani, e con Serbia, Francia, Lettonia e Israele. Un ostacolo in più per la giovane formazione azzurra.
L’analisi della stagione NBA termina oggi con l’ultima delle divisioni rimaste ovvero la Northwest, una Division molto competitiva, se si escludono i deludentissimi Timberwolves che potrebbe regalare alla Lega 2 delle formazioni più forti dei prossimi anni, gli Oklahoma City Thunder ed i Portland Trail Blazers. DENVER NUGGETS: 7. La nuova squadra di Danilo Gallinari ha saputo fare di necessità virtù: in ostaggio, per diversi mesi, delle richieste della sua super-star Carmelo Anthony, deciso a vestire la maglia dei New York Knicks “con le buone o con le cattive” essendo un giocatore in scadenza di contratto, la squadra del Colorado ha chiuso uno scambio sul finire del mercato di febbraio proprio con la franchigia della Grande Mela che ha permesso di salvare in qualche modo le potenzialità del team e di non fare la fine di altre squadre che sono state devastate, nella scorsa Estate, dalle partenze delle loro “Stelle” come i Cleveland Cavaliers (che perso LeBron James sono passati nel giro di pochi mesi da squadra con il miglior record della Lega a seconda peggiore formazione in NBA) ed i Toronto Raptors di Andrea Bargnani (che sono arrivati alla fine terz’ultimi). Proprio acquisendo Danilo Gallinari nello scambio con i Knicks i Nuggets hanno trovato il loro uomo franchigia e a Denver sono tutti contentissimi di un atleta come il “Gallo” definito da coach Karl e dai nuovi compagni di squadra “un giocatore incredibile il cui limite è solo il cielo”. Il roster dei Nuggets è atipico, perchè esaminandolo con attenzione si nota come tutti i giocatori siano di ottimo livello, permettendo a George Karl di avere sempre 12 giocatori intercambiabili tra loro che non alterano il livello della squadra, si potrebbe dire che il “secondo quintetto” di Denver non avrebbe niente da invidiare al primo e non sfigurerebbe neanche al confronto con gli altri starting-five delle altre formazioni della Lega: nessuna super-star ma tanti giocatori dello stesso livello. Tuttavia il team biancoceleste è stato spazzato via dai Thunder nel primo turno dei playoff con un secco 4-1, segno che comunque il lavoro da fare non manca per amalgamare al meglio il gruppo, rinnovato dopo la trade di Anthony. Nel futuro ci si aspetta che Gallinari possa diventare il leader della squadra per condurla verso traguardi prestigiosi, il talento non manca di certo all’italiano, ma è a livello mentale che il ragazzo deve crescere per dare dimostrazione agli scettici di essere in grado di diventare il punto di riferimento di una franchigia NBA ed il nostro augurio è che tutto ciò si realizzi. nba.comMINNESOTA TIMBERWOLVES: 3. Ennesima stagione da buttare per i T-Wolves che dopo l’addio di Kevin Garnett qualche anno fa sono perennemente in ricostruzione per avere la quadratura del cerchio che però non riesce ad essere trovata da parte della dirigenza. Eppure negli ultimi Draft il talento messo assieme da Minnesota attraverso buone chiamate di giocatori è notevole, resta la convinzione che questo gruppo di atleti giochi più per se stesso che per il bene della squadra e da questo derivano, alla fine, le cattive annate della franchigia di Minneapolis. La soluzione più idonea sarebbe quella di trovare un bravo allenatore che possa amalgamare al meglio questo gruppo di giocatori, giovani e talentuosi, per farli diventare un nucleo vincente. L’unica nota positiva della stagione appena conclusa è stata Kevin Love, autore del nuove record di doppie doppie consecutive, un’ala grande dall’ottima propensione al rimbalzo e che non disdegna spesso e volentieri di mettere a referto i suoi 20 punti a serata. Anche lui però è parso molte volte giocare più per incrementare i suoi numeri che per aiutare veramente il team e qualche mese fa ha mandato un ultimatum alla dirigenza: o i Timberwolves diventano una squadra vincente oppure farà le valigie per andare a giocare in una franchigia con le potenzialità per vincere il campionato. Nell’ultima regular season Minnesota ha avuto il peggior record della Lega con sole 17 vittorie e ben 65 sconfitte ed ha avuto un pessimo finale di stagione con una striscia (ancora aperta) di 15 KO consecutivi. Tuttavia i motivi per sperare in un futuro più dignitoso ci sono tutti, resterà alla dirigenza fare le scelte migliori per riportare i T-Wolves al livello di qualche anno fa. OKLAHOMA CITY THUNDER: 9. Da molti viene definita la squadra del futuro (anche se il futuro è diventato già presente dato che in questa stagione i Thunder sono arrivati in Finale di Western Conference diventando una delle migliori 4 squadre della Lega). Dopo una regular season molto costante (55 vittorie e 27 sconfitte), senza eccessi negativi o positivi, nei playoff Oklahoma City ha eliminato nettamente i Nuggets di Gallinari (4-1) soffrendo invece contro i Grizzlies (4-3). Il momento della verità è arrivato contro i Mavericks che hanno dimostrato che ancora la squadra di coach Scott Brooks ha qualche lacuna da colmare, eliminata con un secco 4-1, dalle grandi giocate di Dirk Nowitzki. I Thunder sono destinati a diventare la principale antagonista dei Miami Heat nella corsa ai prossimi campionati NBA, Kevin Durant, la stella della squadra, con ogni probabilità sarà il giocatore di riferimento della Lega, atleta capace di segnare in ogni modo e da ogni posizione, con un’altezza ed un’apertura di braccia da fare paura per un’ala piccola come lui, dovrà progredire in difesa dove comunque sistematicamente ogni anno migliora il proprio gioco, ma sul talentuoso numero 35 sono pronti a scommettere molti esperti. A Seattle (da dove partì il progetto del team), dopo oltre 3 anni, ancora rimpiangono di non aver creduto nelle potenzialità della squadra, lasciata andar via forse con troppa facilità verso Oklahoma City e per molti tifosi Sonics vedere giocare Durant a questi livelli (a soli 22 anni è già stato il miglior marcatore della NBA nelle ultime 2 stagioni polverizzando il precedente record) provoca tanta amarezza lasciando una ferita, ancora aperta, molto più dolorosa di quello che sembra. Sicuramente chi non ha lottato, a suo tempo, per mantenere vivi i Seattle Sonics si starà mangiando le mani vedendo giocare i Thunder ed immaginando dove potrà arrivare la squadra che una volta portava i colori verde smeraldo ed oro. PORTLAND TRAIL BLAZERS: 8. La squadra più tartassata dagli infortuni senza ombra di dubbio, tuttavia i Blazers hanno disputato una stagione eccellente sfiorando le 50 vittorie complessive nonostante 2 dei 3 migliori giocatori del team non abbiano potuto dare (in parte uno e completamente l’altro) il loro apporto: parliamo di Brandon Roy, che dovrà valutare attentamente i suoi problemi alle ginocchia che potrebbero metterlo a rischio carriera e di Greg Oden, centro che avrebbe dovuto dominare la scena NBA così come fece Shaq O’Neal ma che per via di seri e gravissimi infortuni (anche per lui carriera a serio rischio) ha disputato solo un campionato dal 2007 (anno in cui fu chiamato con la prima scelta assoluta al Draft dalla squadra dell’Oregon). Il destino dei Blazers passa necessariamente da questi 2 giocatori che se riusciranno a rimettersi in sesto al 100% porteranno la franchigia veramente molto in alto (forse anche al titolo), un progetto partito nella stagione 2006 che sembrava il migliore dell’intera Lega ma che per la sfortuna accanitasi contro il team bianco-rosso-nero non ha mai preso il volo. In molti pensano, a Portland, che alla luce degli infortuni sarebbe stato meglio selezionare Durant nel 2007 piuttosto che Oden e chissà come sarebbero andate le cose nei campionati successivi. Tuttavia la storia ha scritto un copione diverso, ed in Oregon chiedono soltanto che gli infortuni diano un pò di tregua ad una squadra che ne ha veramente un disperato bisogno per poter esprimere tutte le sue potenzialità. UTAH JAZZ: 4. I Jazz sono partiti alla grande ma tutto è stato rovinato dall’addio da parte di Deron Williams, punto di riferimento e super star della squadra: da quel momento (a febbraio) Utah ha attraversato una crisi senza fine, Jerry Sloan (che guidava il team da oltre 20 anni!) si è dimesso, dalle prime posizioni la formazione è andata alla deriva scendendo ogni settimana di posizioni nella griglia playoff della Western Conference fino ad uscirne fuori per chiudere con un brutto 11esimo posto (sulle 15 franchigie dell’Ovest). La dirigenza ha deciso di puntare tutto sulla ricostruzione partendo dai giovani ma al momento non si può dare un giudizio sulle potenzialità future della squadra di Salt Lake City. L’unica cosa certa è che per qualche anno i Jazz saranno una squadra da Lottery. LEGGI I VOTI DELL’ATLANTIC DIVISIONLEGGI I VOTI DELLA CENTRAL DIVISIONLEGGI I VOTI DELLA SOUTHEAST DIVISIONLEGGI I VOTI DELLA SOUTHWEST DIVISIONLEGGI I VOTI DELLA PACIFIC DIVISION
Quello che gli appassionati del basket NBA di tutto il Mondo speravano di evitare ora purtroppo è realtà: la Lega professionistica americana chiude i battenti ed ufficializza il lockout, la serrata che blocca ogni genere di esibizione sportiva degli atleti. Una notizia molto triste che getta nello sconforto milioni di tifosi che fino all’ultimo avevano sperato in un accordo in extremis da parte del comitato dei giocatori e di quello dei Presidenti, ma 3 ore di riunione non sono bastate per venire incontro alle reciproche esigenze. nba.comSecondo indiscrezioni, inoltre, le brutte notizie non finiscono qui perchè pare che ad oggi trovare un accordo sia quasi impossibile. La Lega di basket americano è infatti in forte perdita economica, ben 22 delle 30 franchigie che disputano il campionato hanno chiuso l’ultimo esercizio in perdita e ciò è diventato un peso insostenibile per i Presidenti delle squadre che hanno chiesto agli atleti tagli dei lauti stipendi percepiti ed un salary cap rigido sul modello della NHL, con l’obbligo di restare nella soglia stabilita dalla Lega (attualmente oltre la metà delle formazioni sforano il cap di parecchi milioni di dollari, emblematico il caso dei Lakers che da 3 anni superano abbondantemente i 92 milioni di dollari per gli stipendi con il tetto salariale fissato a poco meno di 60 milioni!). I cambiamenti che i proprietari vorrebbero apportare non terminano qui perchè si è discusso di introdurre i contratti “non garantiti” (tutti quelli che c’erano fino ad ora invece avevano lo stipendio garantito) e, onde evitare accordi a lungo termine gravosi e poco sostenibili, si è parlato di una riduzione degli anni di contratto nella stipulazione dei nuovi (da 6 a 4 anni per i rinnovi, da 5 a 3 anni per la firma dei free agent) in modo che le squadre non siano vincolate a lungo termine e con spese più contenute. I giocatori però non intendono accettare queste proposte che li renderebbe la parte debole del rapporto, mettendoli in balìa delle decisioni dei Presidenti. La situazione non è nuova in NBA dato che già nella stagione 1998-1999 fu proclamato il lockout, fortunatamente si trovò un accordo in extremis che permise di “salvare il salvabile” con una stagione di sole 50 partite che iniziò a febbraio del 1999 invece che nell’ottobre del 1998. La situazione però in questo momento pare molto diversa dato che secondo alcune dichiarazioni delle parti interessate il divario sarebbe incolmabile. Ed in tutta questa confusione generale i giocatori rischiano grosso perchè durante il lockout gli atleti non verranno pagati, non potranno usare i campi di allenamento e le strutture delle varie franchigie. Le squadre non faranno i camp estivi, le partite di esibizione, gli allenamenti, coaching session o meeting (le squadre inoltre non potranno fare trattative tra di loro per gli scambi di giocatori o firmare gli svincolati). Altro punto dolente è la probabile fuga delle “Star” NBA verso l’Europa per una stagione: ufficialmente nessun atleta potrebbe muoversi dagli States poichè i giocatori sono sotto contratto (potrebbero invece venire nel Vecchio Continente i cosiddetti free agent, coloro ai quali da oggi è scaduto il contratto) ma il fatto che le “Stelle” non vengano pagate dalle franchigie di appartenenza potrebbe lasciare aperta una porta verso l’Europa. Questo a dimostrazione della confusione (sportiva) che regna negli Stati Uniti e che rende ancora di più l’idea di quanto sia difficile il possibile accordo tra le parti in causa. La situazione sportiva in America è al limite del drammatico dato che 2 dei principali sport della Nazione sono in lockout: infatti oltre alla NBA anche la NFL (che resta il campionato che alla fine dei conti regala più profitti) è in lockout ed i motivi che stanno bloccando il mondo del football riprendono grosso modo quelli che ora sta affrontando il basket. Sarebbe una grave perdita, non solo sportiva, se il prossimo anno sia NBA che NFL non dovessero mettere in scena i rispettivi show, ovviamente con grosse ripercussioni di carattere economico che potrebbero ancora di più acuire la crisi in cui versano gli Stati Uniti.
Dopo aver esaminato la stagione delle squadre della Southwest Division, l’analisi della Western Conference prosegue con la Pacific Division, uno dei raggruppamenti meno competitivi della Lega (al pari della Central Division nella Eastern Conference) che ha visto una sola squadra qualificata alla post season, ovvero gli ex campioni dei Los Angeles Lakers, mentre le rimanenti squadre non sono riuscite ad ottenere neanche un record positivo.
nba.com
GOLDEN STATE WARRIORS: 5,5. Stagione tra luci ed ombre quella dei giovani “Guerrieri” di Oakland. E’ mancata la continuità ad una squadra che ha comunque dei margini di miglioramento per fare bene nell’eventuale prossimo campionato. La dirigenza non è rimasta soddisfatta del coach Keith Smart, il vice di Don Nelson negli anni precedenti, esonerato appena si è conclusa la stagione, ed ha affidato la gestione del team a Mark Jackson, ex playmaker dal grande passato soprattutto in maglia Knicks e Pacers (vincitore del titolo di rookie dell’anno nella stagione d’esordio nel 1988 e terzo assoluto nella classifica di ogni tempo degli assist dietro solo al numero 1 John Stockton e a Jason Kidd). Questa mossa è dovuta anche al piccolo calo di rendimento del playmaker titolare Stephen Curry, fenomenale nella sua stagione da esordiente ma un pò meno efficace nella sua seconda annata nella Lega: i consigli di uno dei migliori registi del passato dovrebbero far ritornare Curry sulla retta via e proiettarlo tra i migliori giocatori della NBA. Il lavoro da compiere non è dei più facili per dirigenza e allenatore, chiamati a risolvere rispettivamente i buchi in organico e il mal di trasferta che affligge la squadra (nell’ultima stagione fatta di 36 vittorie e 46 sconfitte i Warriors sono riusciti ad ottenere solo 10 successi lontano dal proprio parquet, un numero troppo basso di affermazioni per poter ambire ad un posto playoff). I margini di miglioramento per questa squadra sono reali ma solo con un grande lavoro da parte del coaching staff si potranno vedere i Warriors nuovamente ai playoff: l’ultima apparizione risale al campionato 2006-2007 quando da ultimi classificati nella temibile e competitiva Western Conference riuscirono ad eliminare i Dallas Mavericks, reduci dalla finale persa contro Miami nel torneo precedente ed autori nel 2007 di uno strepitoso record in stagione regolare di 67 vittorie e 15 sconfitte! Sembra passato un secolo per i tifosi della “Baia” che non hanno mai fatto mancare il loro apporto con la speranza di vedere la loro franchigia nuovamente competitiva.
LOS ANGELES CLIPPERS: 6. Sulla stagione dei cugini poveri dei Lakers pesa come un macigno la pessima partenza avuta all’inizio della regular season con un orrido record di una vittoria e ben 14 sconfitte. E’ stato questo il fattore determinante per una squadra che da quel momento in poi ha viaggiato alla media del 50% di successi, ma che aveva un gap irrecuperabile per puntare alla qualificazione ai playoff. Sembrava che per i Clippers non ci fossero speranze (destinati ad avere il peggior record ella Lega) ed invece guidati dall’incredibile rookie Blake Griffin, un’ala grande dal talento smisurato, si sono visti i progressi ed il potenziale di questa squadra che se non verrà “buttata” giù dalle folli idee del suo proprietario, come ormai accade da molti anni, pare destinata a togliersi (finalmente) grandi soddisfazioni, forse addirittura riuscirà a primeggiare nella rivalità cittadina contro i più quotati cugini dei Lakers, squadra molto più vecchia e che da un momento all’altro potrebbe pensare alla ricostruzione dopo l’ennesimo ciclo vincente finito con ogni probabilità nel campionato appena terminato. Inoltre i Clippers rispetto ad altre franchigie potrebbero essere molto appetiti anche da eventuali free agent dato che la città di Los Angeles attira molti atleti per via della sua vita mondana. Se si guarda il roster della squadra rossoblu ci si rende conto che manca poco per poter spiccare il volo verso traguardi importanti, il talento accumulato in questi anni tramite il Draft è di grande livello (ed anche quest’anno, se i Clippers non avessero scambiato la propria scelta con Cleveland sul finire del mercato di Febbraio, avrebbero avuto la numero 1 assoluta), ora serve solo trovare la giusta chimica di squadra e questo è l’obiettivo di coach Vinny Del Negro che punta deciso, nella prossima stagione agonistica, alla qualificazione alla post season.
LOS ANGELES LAKERS: 5. Da molti pronosticati non solo come i sicuri campioni NBA anche della stagione appena conclusa (per l’ennesimo three-peat), ma addirittura come i probabili nuovi detentori del miglior record della storia della Lega (che appartiene invece ancora ai Bulls di Jordan con uno stratosferico score di 72 vittorie e 10 sconfitte), i Lakers hanno profondamente deluso: il record finale di 57 successi a fronte di 25 KO non permette di dare un voto positivo perchè la squadra sulla carta era (e doveva essere) un vero e proprio tritasassi, poche volte si era visto così tanto talento ammassato in una sola squadra. Ed invece, a parte un piccolo perido post All Star Game dove la franchigia gialloviola ha inanellato una serie di 17 vittorie ed una sola sconfitta, nei momenti importanti i Lakers si sono sciolti come neve al sole, dando l’impressione di essere arrivati al capolinea di un ciclo vincente che ha portato 2 titoli e 3 finali in 3 anni. La batosta subita dai Mavericks nei playoff (pesantissimo 4-0 nella serie) ha messo fine al regno di Phil Jackson in panchina (mai uscito dalla post season, in tutta la sua carriera da allenatore più vincente della storia, con uno sweep!) e probabilmente anche all’egemonia della squadra della California, divorata al suo interno anche da profondi dissidi tra i giocatori, cosa che si è anche notata durante i match della post season contro Hornets e Mavs. Il futuro in casa Lakers è molto più problematico di quello che potrebbe sembrare: il monte ingaggi più alto nella NBA non aiuta a muoversi sul mercato, i giocatori più appetibili, eccezion fatta per Bynum, sono tutti arrivati ad avere oltre 30 anni e quindi sono poco richiesti sul mercato che ormai punta esclusivamente sui giovani di livello. Nella prossima stagione è probabile che sia ancora questo nucleo di atleti a provare la scalata (molto difficile) al titolo, ma sono più le sensazioni negative che quelle positive, quando si inizia a parlare del futuro dei Lakers. L’addio di Phil Jackson è emblematico, resosi conto che l’era gialloviola era giunta al termine; per Mike Brown (neo coach) si prospetta un lavoro tutt’altro che facile (in primis quello di rimettere ordine nello spogliatoio) perchè nelle attuali condizioni, anche se il roster rimane di livello, i Lakers faranno veramente poca strada.
PHOENIX SUNS: 5. Nel campionato 2009-2010 i Suns erano arrivati ad un passo dalla finale NBA, battuti solamente dai favolosi Lakers dell’accoppiata Bryant-Gasol. Solo 12 mesi più tardi Phoenix è diventata una squadra in crisi di identità, devastata dall’addio di Amar’è Stoudemire a cui non si è rimediato a dovere. Per quanto fosse forte e decisivo il talento ora in forza ai Knicks, ciò non giustifica la stagione al di sotto delle potenzialità della squadra, che molte volte è apparsa svogliata, priva della necessaria cattiveria agonistica e della determinazione nei momenti chiave delle partite. Un team che ha dato l’impressione di essere molto lunatico, che ha mancato l’accesso alla post season più per demeriti propri che per altro. In Arizona la situazione non è molto facile, la squadra resta sospesa in una fase a metà tra la ricostruzione e la continuità con il passato, un limbo da cui presto o tardi bisognerà uscire prendendo decisioni difficili ma necessarie. Gli anni migliori di Phoenix sembrano comunque alle spalle, servirebbe un colpo di fortuna alla squadra di coach Alvin Gentry (magari la prima scelta assoluta al prossimo Draft) per poter ricostruire e pensare ad un futuro migliore. Già ora i Suns erano interessati a Derrick Williams, prodotto dell’Università locale, scelto da Minnesota come numero 2 assoluto, ma la trade impostata con i T-Wolves non è andata a buon fine. L’ala di Arizona University sarebbe stato un buon punto di partenza, ora lo staff manageriale dovrà valutare bene cosa fare in futuro perchè restare sospesi nell’anonimato non è un destino che appartiene ad una squadra gloriosa come i Phoenix Suns.
SACRAMENTO KINGS: 5,5. Scongiurato per il momento il rischio di trasferimento (a Las Vegas o molto più probabilmente ad Anaheim) i Kings hanno disputato una stagione che se si guarda solo al record sembra disastrosa (24 successi, 58 KO) ma per una squadra che aveva deciso 2 anni fa di ripartire costruendo il futuro sui giovani del Draft non è una stagione da buttare. Il team del futuro baserà la propria forza su Tyreke Evans, DeMarcus Cousins e Jimmer Fredette, un ottimo punto di partenza, anche perchè gli altri giovani nel roster di Sacramento promettono bene. C’è da migliorare (e molto) il rendimento interno che è stato deludente (11 vittorie e 30 sconfitte, i Kings sono andati meglio in trasferta ottenendo 13 affermazioni), inoltre Paul Westphal non ha convinto pienamente come capo allenatore e la sua posizione è in bilico. Sistemati i ruoli di playmaker (Evans), guardia (Fredette), ala grande (Thompson) e centro (Cousins), resta da trovare una buona ala piccola (anche se l’israeliano Casspi offre garanzie). In panchina Salmons, Thornton e Dalembert (sperando che sia riconfermato visto che diventa free agent) offriranno valide alternative ed ecco il motivo per cui i Kings guardano con fiducia ed ottimismo al futuro, indipendentemente se resteranno a Sacramento o andranno via verso altri lidi economicamente più allettanti.