Categoria: Pugilato

  • Addio Muhammad Ali, s’è spenta la leggenda della boxe

    Addio Muhammad Ali, s’è spenta la leggenda della boxe

    “Vola come una farfalla, pungi come un’ape”.

    Questa è probabilmente una delle frasi più conosciute di Mohammad Ali, vera e propria leggenda della Boxe che nella notte scorsa ha dovuto arrendersi ad un avversario, il Parkinson, con il quale ha combattuto per parecchi anni nella propria vita.

    Ali si è spento nella notte scorsa, all’età di 74 anni, dopo esser stato ricoverato per complicazioni respiratorie aggravate proprio dal morbo di Parkinson.

    Cassius Clay, questo era il suo vero nome prima della conversione alla religione musulmana, era nato il 17 gennaio 1942 nella città di Louisville in Kentucky. Iniziò a praticare la boxe da giovanissimo raggiungendo il suo apice, da dilettante, conquistando la medaglia d’oro olimpica a Roma 1960.

    Passato professionista Muhammad Ali conquistò il titolo dei pesi massimi nel 1964, da sfavorito, contro il campione in carica di allora Sonny Liston.

    Negli anni a seguire Ali si convertì all’Islam e continuò nella sua striscia di vittorie.

    Nel 1971 salì alle cronache per il suo rifiuto di combattere nella guerra del Vietnam, scelta che gli costò il ritiro della licenza. Ritornato sul ring cercò di riprendersi il titolo dei massimi che era in mano a Joe Frazier, ma fallì subendo la sua prima sconfitta.

    In seguito Muhammad Ali ebbe modo di rifarsi e si giunse allo storico incontro con George Foreman disputato a Kinshasa nello Zaire, denominato “The Rumble in the Jungle”, per dimostrare chi fosse il più forte in assoluto. Alì ottenne la vittoria con una tattica mai vista, incassò per alcune riprese e poi sfruttando la stanchezza dell’avversario infilò una serie di colpi che non lasciò scampo all’avversario. Un incontro che ha definitivamente lanciato Muhammad Ali nella leggenda.

    Ritiratosi nel 1981 ad Ali fu diagnosticato il morbo di Parkinson nel 1984, commovente la sua apparizione come ultimo tedoforo nell’apertura dei Giochi Olimpici di Atlanta 1996: un uomo visibilmente segnato dal Parkinson, si notava dal tremolio della mano sinistra, che però con forza ed orgoglio stringeva nella mano destra la fiaccola con la quale accese il braciere.

    Le sue apparizioni pubbliche da quel giorno si fecero sempre più rare, l’ultima ad aprile scorso mostrava un Muhammad Ali indebolito e con gli occhiali scuri, un’immagine che non dava sicurezze ma che anzi portava alla mente quei timori di perderlo, concretizzatisi poi nella notte del 3 giugno a Phoenix.

    Concludiamo questo ricordo e saluto della leggenda Muhammad Ali riportanto le sue parole pronunciate dopo il famoso match con Foreman “The Rumble in the Jungle”.

    L’ho detto a tutti quelli che mi criticano che sono il più grande di tutti i tempi. Non datemi perdente fino a che non ho 50 anni.

     

  • Rissa Fragomeni-Branco, uno spot tutto italiano

    Rissa Fragomeni-Branco, uno spot tutto italiano

    Sabato scorso, sul ring di Riva del Garda, la boxe italiana è riuscita in un colpo solo ad esprimere il meglio ed il peggio di sé in occasione del match valido per un posto nella finale dei pesi massimi leggeri Wbc fra i due pugili italiani Giacobbe Fragomeni e Silvio Branco.

    Una notte storica dove purtroppo nella storia si è entrati decisamente dalla porta sbagliata dato che appunto, per la prima volta nella storia della nobile arte, e non è certamente uno sport nato ieri, il verdetto dei giudici non è stato letto per motivi di ordine pubblico. Una rissa che nemmeno i tanto famosi “peggiori bar di Caracas” avrebbero potuto partorire, un immagine indegna che la boxe italiana ha saputo offrire agli occhi del Mondo intero.

    I due pugili invece hanno espresso invece quello che la boxe ha sempre richiesto ai suoi protagonisti, una battaglia leale dove il cuore ed il sacrificio  è riuscito ad andare oltre le proprie forze fisiche, forze che sia Branco che Fragomeni hanno dovuto necessariamente centellinare nel corso delle riprese dato che insieme fanno la bellezza di 89 anni. Il match di sabato scorso veniva dopo una prima battaglia fra i due pugili a marzo dove Silvio Branco aveva meritato di vincere l’incontro con i giudici che però avevano espresso una decisione di parità che aveva lasciato i più alquanto sconcertati.

    E proprio questo bagaglio di odio e diffidenza che il clan di Branco si è portato dietro che ha fatto scatenare la rissa assurda ed inaccettabile dopo che si era appresa della vittoria di Fragomeni per un solo punto. Infatti il verdetto era stato il seguente: Ciminale 115-113 per Branco; Silvi 116-112 per Fragomeni; decide Massimo Barrovecchio che ha un punto, uno solo, 115-114 per Fragomeni.

    Finisce in rissa il match tra Branco e Fragomeni | © Getty Images
    Finisce in rissa il match tra Branco e Fragomeni | © Getty Images
    Tale verdetto non è stato neppure letto alla fine del match, situazione questa mai accaduta nella storia della boxe che esprime un disagio prima sociale e poi sportivo a non voler mai accettare serenamente la sconfitta d stampo tutto italiano. Giacobbe Fragomeni avrà quindi nuova chance mondiale per il titolo dei massimi leggeri Wbc, a marzo si affrontano il campione polacco della categoria Wlodarczyk contro il francese di colore Mormeck e chi resta in piedi avrà in Fragomeni lo sfidante ufficiale.

    Il video della rissa Fragomeni-Branco
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  • Orlando Cruz dichiara di essere gay

    Orlando Cruz dichiara di essere gay

    Ogni volta che si parla di omosessualità nell’ambito sportivo escono dei gran casini ed infatti molti giocatori ed atleti hanno deciso di non dichiarare la propria tendenza sessuale per evitare di inciampare in disprezzi e commenti poco piacevoli: si basti pensare che sia per i maschi che per le femmine l’argomento è delicato ma solo i più coraggiosi, veramente pochi rispetto al gran numero di gay e lesbiche, sono riusciti a fare outing. In queste ore a decidere di fare il grande passo è stato Orlando Cruz il quale con questa notizia ha sconvolto l’intero mondo della boxe: il pugile trentaduenne di origini portoghesi ha infatti voluto calare la maschera e poter vivere in un modo normale senza doversi nascondere da tutti e tutto vivendo praticamente due vite parallele.

    Un passo a dir poco coraggioso e da cui molte persone dovrebbero prendere esempio: la maggior parte degli atleti LGBT, acronimo di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, che hanno deciso di svelare la propria omosessualità lo han fatto una volta conclusasi la carriera sportiva. Da questo infatti si è differenziato Cruz il quale è nel bel mezzo della propria scalata al vertice del ranking mondiale: ad oggi il pugile è fermo al quarto posto nei pesi piuma e vanta un palmares non indifferente. Nel mondo della boxe Orlando Cruz è il primo pugile a fare outing: in precedenza un altro atleta del ring decise di dichiarare la propria omosessualità ma solamente una volta finita la propria carriera; si tratta di Emile Griffith originario delle Isole Vergini e considerato uno dei più grandi pugile di tutti i tempi.

    Orlando Cruz © MARK RALSTON/AFP/Getty Images

    Ora sarà da vedere come reagiranno i tifosi di uno sport così violento che non ha mai vissuto alcun outing: già il 19 ottobre Orlando Cruz dovrà affrontare il match con Jorge Pazos a Las Vegas e potrà vedere con i propri occhi la reazione dei seguaci. Il suo è stato inoltre una sorta di messaggio verso i più giovani:

    “Non voglio nascondere nulla della mia identità. Voglio che la gente veda come sono: un atleta che dà sempre il massimo sul ring, voglio che la gente guardi le mie qualità di pugile. Ma voglio anche che i ragazzi sappiano che tutto è possibile: ciò che sei o quello che ami non dovrebbe essere un ostacolo se cerchi di raggiungere un obiettivo”.

  • La Rai sposta il pugilato in seconda serata, Fpi furiosa

    La Rai sposta il pugilato in seconda serata, Fpi furiosa

    In questi giorni la Rai sta cercando di gestire il polverone uscito dopo la decisione di spostare in seconda serata tutte le gare di pugilato, box, lotta e qualsiasi altro sport che abbia a che fare con l’uso della forza per combattere con un avversario: la motivazione data è quella dell’educazione dei ragazzi e di tutti i minorenni che verrebbero influenzati negativamente dalla visione di tutti questi sport. La questione è uscita a causa dello spostamento delle gare di Campionato Italiano Femminile di Pugilato: la trasmissione era programmata per mercoledì alle 20.45 ma, dopo aver discusso con la commissione di vigilanza per il rispetto delle fasce protette, il tutto è slittato all’appuntamento settimanale delle 22.30 di domenica.

    Indignato per queste decisioni il presidente del Coni Gianni Petrucci ha voluto lasciare alcune dichiarazioni dove non riesce a capacitarsi su quanto espresso dalla Rai: con la squadra del pugilato infatti la Nazionale Italiana è tornata a casa dalle Olimpiadi di Londra 2012 con tre medaglie che hanno di certo avvicinato molti bambini a questo sport. Nonostante si usino le mani infatti in ogni sport dove si lotta l’educazione fuori e dentro dal ring è una delle cose più importanti e fin da piccoli viene insegnata a chi decide di intraprendere questa carriera sportiva.

    La Rai sposta in seconda serata il pugilato © JACK GUEZ/AFP/GettyImages

    “Non riesco a capacitarmi di quanto sia avvenuto, vietando ai minori la visione di tali sport si offende anche il senso comune e l’intelligenza di quei genitori che, sull’onda dell’entusiasmo dei recenti Giochi Olimpici di Londra, dove queste quattro discipline hanno contribuito al medagliere azzurro con sei podi, hanno portato in massa i loro figli ad iscriverli nelle palestre di tutt’Italia di pugilato, judo, lotta e taekwondo. La crescita di nuovi tesserati in tali sport procede amaramente di pari passo con l’assurdità di certe scelte di ottusa burocrazia che lo sport italiano respinge con fermezza e di cui avremmo fatto volentieri a meno”.

    Dopo le parole di Petrucci sono arrivate anche le dichiarazioni del presidente della Federpugilato, Franco Falcinelli il quale ha preso a braccetto quanto espresso dai vertici del Coni: in questo modo si sta infatti arrivando a toccare dei paradossi enormi. In televisione, durante le fasce protette, vengono trasmessi programmi diseducativi ed anche a sfondo sessuale, eppure nessuno si è mai lamentato anzi, una volta notato che gli ascolti sono aumentati, è stato proporzionalemnte aumentato il numero di trasmissioni dello stesso genere: per questo motivo quanto deciso dalla Rai è stato ritenuto assurdo da chi, come gli specialisti del pugilato, tolgono quotidianamente dalla strada ragazzi che si trovano a dover convivere con la malavita, portandoli a disputare uno sport tanto aggressivo quanto educativo.

    “Il valore pedagogico di tale sport è testimoniato dal largo uso della sua disciplina nei programmi di riabilitazioni nelle carceri o per il recupero di giovani in territori ad alta concentrazione criminale. Togliere il ragazzo dalla strada con le sue facili lusinghe e portarlo in palestra è il primo obiettivo di tutti gli allenatori. Attraverso l’insegnamento delle regole e dei valori della boxe abbiamo il compito di formare essenzialmente l’uomo e solo in un secondo momento l’atleta”.

    Parole chiare quelle del presidente della Fpi il quale, supportato anche dai grandi atleti azzurri come Clemente Russo e Roberto Cammarelle, sembra non avere alcuna intenzione di stare alle decisioni della Rai: il tutto è quindi rinviato a quando il servizio pubblico radiotelevisivo pubblicherà una risposta.

  • Chi era Teofilo Stevenson, pugile rivoluzionario

    Chi era Teofilo Stevenson, pugile rivoluzionario

    “Un popolo può liberare se stesso, dalle sue gabbie e da animali elettrodomestici, ma all’avanguardia d’America dobbiamo fare dei sacrifici verso il cammino lento della piena libertà”: così Francesco Guccini in “Canzone per il Che”, riferendosi agli ideali rivoluzionari dell’isola cubana, avanguardia contro il capitalismo americano nella sua zona di massima influenza, nel suo “giardino di casa” come si suoleva dire nei lontani tempi della Guerra Fredda. Un ideale può abbracciare tanti aspetti della vita pubblica e privata e, nel caso dell’isola di Fidel Castro, tale aspetto ha sempre assunto un aspetto prioritario e profondo, al punto da intrecciarsi indissolubilmente con le vicende personali di uomini di spicco.

    Uno di questi era proprio Teofilo Stevenson, pugile peso massimo cubano, vincitore di tre ori olimpici (Monaco 1972, Montreal 1976 e Mosca 1980) e di tre mondiali sempre fra il 1972 ed il 1986, scomparso oggi all’età di sessantanni, stroncato da un improvviso infarto. Fu uno dei migliori atleti della boxe dilettantistica cubana ma, soprattutto, un convinto sostenitore degli ideali rivoluzionari della sua isola, al punto da rifiutare l’offerta di cinque milioni di dollari del suo agente che avrebbe voluto organizzare un incontro fra lui e Muhammad Alì (al quale lo legava un rapporto di amicizia al punto da essere suo accompagnatore durante la visita di Alì a Cuba, ndr) e da decidere di non divenire mai uno sportivo professionista, in linea con i dettami del regime. Convinzioni profonde che lo portarono a motivare la sua scelta di restare uno sportivo dilettante con una frase che rimase alla storia: “Cos’è un milione in confronto all’amore di otto milioni di cubani?” 

    Probabilmente sarà difficile comprendere il reale senso che tale parole celavano, la reale convinzione che l’opposizione al sistema capitalistico – anche nei piccoli gesti della propria vita personale – potesse portare dei benefici comuni: “i problemi di coscienza interessano tanto quanto la piena perfezione di un risultato: lottiamo contro la miseria ma allo stesso tempo contro la sopraffazione”. Ancora frasi di Francesco Guccini che esprimono proprio quel punto di vista, che ha mosso uomini a compiere la rivoluzione ed a donarle ogni istante della loro vita, ogni pensiero, ogni energia.

    Teofilo Stevenson | © STAFF/AFP/GettyImages

    Teofilo Stevenson ha mantenuto questa coerenza di pensiero e di azione per tutta la sua vita, anche dopo aver appeso i guantoni al chiodo, rimanendo sempre un uomo semplice, coerente alle sue origini contadine, rimasto umile nonostante l’amore viscerale che il suo paese gli ha sempre dimostrato, rimanendogli affezionato anche nel momento della sua difficoltà personale, quando fu arrestato dopo una violenta lite con il nuovo compagno della sua ex moglie: superò quella difficoltà con la forza d’animo dei grandi campioni, scegliendo di mettersi al servizio del suo popolo intraprendendo la carriera di allenatore del programma cubano di pugilato dilettantistico, condividendo la sua grande esperienza con i giovani, e divenendo per loro un maestro di pugilato e di vita, anche nel ruolo di vicepresidente della Federazione cubana di Boxe.

    Non rimpianse mai la scelta di rimanere lontano dai circuiti dorati della boxe mondiale, rifiutando una vita agiata pur di restare sempre fedele al suo Fidel (e non è solo un gioco di parole): addio Stevenson, oggi è l’atto conclusivo, ma il suo ricordo rimarrà vivo a lungo per il suo popolo rendendolo immortale.

  • Boxe, addio a Teofilo Stevenson, l’ultimo idealista

    Boxe, addio a Teofilo Stevenson, l’ultimo idealista

    Uno dei più grandi pugili della storia della nobile arte ci lascia all’età di 60 anni, il cubano Teofilo Stevenson viene messo ko da un infarto, un avversario troppo forte anche per la sua immensa forza.

    Grandissimo pugile che faceva della forza e dell’intelligenza sul quadrato del ring i suoi punti forti abbinati ad uno destro devastante. Mattatore ai giochi olimpici con tre ori consecutivi dal 1972 al 1980 (che potevano essere sicuramente quattro se non fosse per il boicottaggio di Cuba a Los Angeles 1984), viene da tutti unanimemente considerato come l’ultimo grande idealista dello sport internazionale.

    Considerato dal mondo sportivo e non come uno degli ultimi rivoluzionari della storia cubana che considera lo sport professionistico illegale. Celebre fu infatti il suo rifiuto ad una borsa di quasi 5 milioni di dollari per entrare nel mondo professionistico della boxe e sfidare il grande Muhammad Ali. L’incontro non ci fu mai ed anzi, proprio Alì divenne grande amico di Stevenson condividendo sicuramente dei valori che ai giorni nostri sono decisamente lontani. Stevenson abbandonò la boxe dilettantistica di cui fu l’assoluto dominatore per oltre un ventennio nel 1986 diventando allenatore e poi vice presidente della Federazione cubana di boxe e decretando Felix Savon, tre volte olimpionico dei massimi come lui ai Giochi di Barcellona ’92, Atlanta ’96 e Sydney 2000, suo legittimo erede. Un record quello messo a segno da Stevenson nella sua lunghissima carriera da dilettante difficilmente eguagliabile con le sue 301 vittorie su 321 incontri.

    Teofilo Stevenson ©STAFF/AFP/GettyImages

    Oltre che grandissimo sul ring, Teofilo Stevenson si è dimostrato unico anche nella vita normale, famosa infatti la frase del grande Teofilo che dichiarò testualmente ad un amico: Cos’è un milione in confronto all’amore di otto milioni di cubani?” rinunciando di fatto a fare la storia anche nel pugilato c.d. dei grandi e ricevendo in premio dal leader maxismo Fidel Castro come ricompensa al celebre rifiuto, una casa.

  • Boxe, Chisora che genio! Botte da Klitschko e rissa con Haye

    Boxe, Chisora che genio! Botte da Klitschko e rissa con Haye

    Che la Boxe non fosse uno sport per signorine dai cuor leggeri è cosa abbastanza risaputa, ma questo fantastico sport non a caso viene soprannominato “La Nobile Arte” anche perché tutto deve iniziare e finire dentro il ring. Beh, questo non è sicuramente successo nell’ultimo mondiale dei pesi massimi Wbc tenutosi in Germania tra il campione ucraino e detentore del titolo, Vitali Klitschko e lo sfidante, l’inglese Dereck Chisora.

    Non si è fatto mancare veramente niente l’inglese che nel corso di tutto il fine settimana ha collezionato un ceffone a Klitschko prima del match, la sconfitta sul ring e poi una rissa con David Haye in conferenza stampa. Chisora aveva perso ai punti, ed anche abbastanza nettamente, il mondiale dei massimi Wbc con Klitschko che ha conservato il titolo dominando la sfida cominciata venerdì con le schermaglie nella sessione dedicata al peso: Chisora aveva avuto la brillante idea di rifilare uno schiaffone al campione ucraino, rimediando una multa di 50mila dollari. Per chiudere in bellezza il fine settimana, l’inglese ha concluso la trasferta tedesca con una rissa in conferenza stampa. Tra i giornalisti è spuntato David Haye, ex pugile inglese. Sono volate parole grosse prima dello scontro fisico. Chisora, che ha minacciato ripetutamente Haye, stamattina ha dovuto anche rispondere alle domande della polizia all’aeroporto di Monaco.

    Klitschko e Chisora | © CHRISTOF STACHE/AFP/Getty Images

    Queste le parole non tanto gentili rivolte da Chisora a David Haye: “David, ti sparo. Dico sul serio, ti sparerò“. Le parole del pugile 28enne hanno spinto la polizia tedesca a prendere provvedimenti. “Chisora sarà interrogato“, ha confermato un portavoce delle forze dell’ordine all’agenzia Dpa. A causa dello spettacolo ignobile offerto dai due pugili inglesi, la federpugilato tedesca (Bdb) valuterà, nei prossimi giorni, l’ipotesi di bandire i due pugili dal territorio tedesco impedendogli, conseguentemente, di poter in futuro incontrare i guantoni dei fratelli ucraini che come è noto, combattono esclusivamente nel territorio teutonico.

    Il video dello schiaffo di Chisora a Klitschko

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    L’ultimo round del match

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    Le minacce di Chisora ad Haye e la rissa

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  • Muhammad Ali, la Leggenda compie 70 anni

    Muhammad Ali, la Leggenda compie 70 anni

    Oggi 17 gennaio 2012 compie 70 anni uno dei personaggi più rappresentativi del nostro secolo, nonchè pluricampione dello sport che lo ha reso celebre al mondo e che grazie a lui ha avuto un notevole incremento a livello di popolarità: stiamo parlando del grande Muhammad Ali, il più forte pugile di tutti i tempi, anche noto come Cassius Clay, suo nome originale prima della conversione all’Islam che lo portò a cambiare nome (definito da schiavo da Ali stesso) scegliendone uno musulmano.

    Muhammad Ali | © Win McNamee/Getty Images

    E’ diventato una leggenda grazie al suo carisma e al suo immenso talento che sin dalla giovane età di 12 anni lo avevano contraddistinto in quella palestra dove giorno e notte inseguiva il suo sogno, quello di diventare pugile professionista. A soli 18 anni, alle Olimpiadi di Roma del 1960 vinse l’oro nella categoria dei pesi mediomassimi, e da lì è cominciata la sua interminabile ascesa, fatta anche di momenti meno felici, come il rifiuto di combattere in Vietnam e ciò gli costò il ritiro della licenza da parte delle commissioni atletiche pugilistiche statunitensi.

    Tornando alla sua carriera di pugile, egli divenne subito professionista dopo il trionfo alle Olimpiadi e battè prima Lamar Clark e poi Doug Jones: il mondo della boxe si apprestava ad accogliere un giovane fenomeno che portò notevole apprezzamento di questo sport da parte di un pubblico via via sempre numeroso, ed è per questo che a cavallo degli anni 60′-70′ il pugilato raggiunse l’apice della popolarità. A soli 22 anni il giovane Cassius affrontava il temibile Sonny Liston, nonchè campione in carica dei pesi massimi. A Miami Clay divenne Campione del Mondo dei pesi massimi battendo all’inizio dell’ottava ripresa il favoritissimo Liston. Comunque questo incontro portò degli strascichi notevoli nel tempo, dovute alle dichiarazioni dell’agente di Liston che sarebbe stato d’accordo con la mafia per truccare il match concedendo a Cassius Clay il titolo di Campione e alla mafia di incassare ingenti somme di denaro sullo sfavorito pugile di Louisville. Tuttavia recentemente Ali si è difeso dichiarando di aver colpito con forza e tecnica il suo avversario, e che se davvero il rivale avesse voluto fingere un KO non l’avrebbe fatto di certo all’inizio dell’incontro.

    La figura di “The Greatest” divenne un’icona mondiale e un modello per i giovani nonostante il suo comportamento provocatorio e aggressivo (soprattutto in conferenza stampa), peculiarità questa che ha contribuito a formare quel grandioso personaggio non solo della boxe mondiale, ma anche uno dei più popolari a livello mediatico. Tra i numerosi incontri memorabile è quello di Kinshasa del 30 ottobre 1974 dove affrontò George Foreman mandandolo al tappeto e riconquistando così il titolo mondiale. Ali in questo incontro usò una tattica rivelatasi efficace: si fece colpire ripetutamente per 8 riprese dallo stesso Foreman per farlo stancare per poi contrattaccare quando l’avversario fosse giunto allo stremo delle forze. Vittoria rimasta nella storia, come quella di Manila contro Frazier, dove i due pugili combatterono con grande veemenza e con grande atletismo: alla fine la spuntò proprio Ali dopo che l’allenatore di Frazier all’inizio dell’ultima ripresa ritirò il suo atleta, completamente massacrato dai colpi ricevuti. Muhammad Ali riconobbe i meriti dell’avversario affermando che probabilmente se non si fosse ritirato avrebbe potuto dare forfait durante il round per i colpi subiti, segno che il duello non aveva risparmiato nessuno dei due. Con il trascorrere del tempo Ali divenne sempre meno rapido nei movimenti e raramente ottene vittorie schiaccianti, ottenendo risultati particolarmente deludenti.

    Nel 1984 gli fu diagnosticato il morbo di Parkinson, con cui tutt’oggi convive, ma questo non gli ha impedito di partecipare ai funerali del suo grande amico rivale Joe Frazier e di distinguersi per le sue opere umanitarie nonostante abbia condotto una vita lontana dai riflettori e dal flash dei fotografi. Auguri Campione!

  • Boxe, Joe Frazier è morto, addio “Smokin Joe”

    Boxe, Joe Frazier è morto, addio “Smokin Joe”

    Uno dei pugili più grandi della storia della nobile arte ci ha lasciati per sempre, Joe Frazier è morto all’età di 67 anni per un cancro al fegato uno dei pochi avversari che è riuscito a metterlo ko, purtroppo per sempre. Indimenticabile pugile degli anni 60’ e 70’ quando ancora la boxe conservava saldi i suoi principi di sport duro e nobile prima di lasciarsi travolgere dallo show business americano, vera causa del suo declino odierno.

    Joe Frazier ©Brad Barket/Getty Images
    Il suo soprannome, “Smokin Joe” nacque dal suo tecnico che prima di ogni incontro invitava Frazier a far “fumare” i guantoni contro il suo avversario. Uno degli ultimi pugili c.d. Normali non dotato di un grande fisico ma che faceva comunque della potenza dei colpi, la sua arma più devastante. A piangere il grande Joe è proprio uno, se non il suo rivale più ostico, quel Muhammad Ali con cui Frazier scrisse pagine epiche della storia della boxe. Fu proprio Frazier il primo a battere Ali ai punti nel 1971 al Madison Squadre Garden di New York, per decisione unanime dopo 15 round leggendari, in quello che allora fu definito il “match del secolo”. Ali si prese la rivincita tre anni dopo, sempre ai punti ma dopo 12 round, prima di aggiudicarsi anche la “bella” a Manila nelle Filippine al termine del 14° round, in un altro match mondiale ormai entrato nella storia della boxe. Da professionista “Smokin Joe” ha sostenuto 37 incontri, vincendone 32 (27 prima del limite), perdendone 4 e pareggiandone uno. Per tre anni (1967, 1970 e 1971) è stato proclamato “pugile dell’anno” dalla rivista americana Ring Magazine. Lascia 11 figli, tre dei quali, due maschi e una femmina, hanno cercato di ripercorrere le sue orme sul ring con risultati, ovviamente, nemmeno paragonabili all’illustre padre.

  • Boxe, Klitschko conferma ed aggiunge, sua anche la cintura Wba

    Boxe, Klitschko conferma ed aggiunge, sua anche la cintura Wba

    Vladimir Klitschko batte ai punti il britannico Haye unificando le sigle dei massimi, infatti alle cinture Wbf ed Ibf possedute dall’ucraino, si aggiunge anche quella Wba strappata proprio al britannico. Match praticamente senza storia con l’ucraino superiore in tutto e che ha rischiato qualcosa solamente nel quarto round, ma troppo poco per il britannico che aveva propositi ben più bellicosi alla vigilia e che ha sicuramente deluso combattendo sempre sotto ritmo e non riuscendo mai a mettere in difficoltà il suo avversario.

    Wladimir Klitschko | ©Scott Heavey/Getty Images
    Il punteggio nei cartellini (Christodolou 116-110, Bird 117-109, Pernick 118-108) non lascia molto spazio all’immaginazione: Wladimir ha vinto nettamente, a modo suo, tenendo costantemente acceso il jab sinistro per non far avvicinare il suo avversario, doppiando sporadicamente con il potentissimo diretto destro. Adesso la famiglia Klitschko detiene ora tutti i più importanti titoli di sigla della categoria (la cintura Wbc è stretta alla vita di Vitali, che affronterà il polacco Tomasz Adamek, salito come Haye dai massimi-leggeri), peccato che la riunificazione di tutte le sigle non potrà mai avvenire in quanto per contratto, i due fratelli non potranno mai sfidarsi tra loro.