Roberto Baggio, numero 10 simbolo del calcio italiano oramai “in pensione” dal calcio giocato e attuale Presidente del settore Tecnico della Federcalcio, non le ha mandate certo a dire, e a margine di un evento ufficiale come la cerimonia di benvenuto alla federazione danese tenutasi a Milano in occasione del match di qualificazione per i mondiali con la Danimarca, ha apertamente manifestato il proprio disappunto nei confronti della stessa FIGC, che a detta del “Divin Codino” lo terrebbe in stand-by da addirittura 10 mesi relativamente al progetto da lui portato avanti in seno alla Federazione stessa.
Roberto Baggio infatti, membro della Figc impegnato nei lavori di riqualifica interni alla Federazione stessa, ha lamentato infatti la scarsa considerazione mostrata dai vertici nei confronti del proprio progetto sulla formazione dei formatori, a detta dell’ex numero dieci una fase fondamentale del sistema calcio da cui non si può prescindere per giungere all’obiettivo finale della formazione dei calciatori del futuro: fase questa che necessita di un’importante adeguamento ai tempi ed innovazione.
Baggio non ha nascosto la delusione per i silenzi ricevuti, non risparmiando né Abete, né Galliani e tantomeno Demetrio Albertini, tra l’altro ex compagno di Milan e di Nazionale; a detta di Baggio infatti i fondi, sebbene stanziati, sarebbero confluiti fino ad oggi solo in un’iniziativa gratuita tenutasi in Toscana cui hanno aderito varie società calcistiche, ma oltre a ciò non ci sarebbe stato nessun altro movimento concreto. A chi ha ipotizzati degli ostacoli di natura politica Baggio non ha voluto rispondere nulla, obiettando solo che non è certo colpa dei club la fase di stallo del progetto. Da parte sua, l’ex bianconero simbolo del calcio italiano è stato tacciato dalla federazione di scarso impegno e scarso apporto fornito da lui direttamente ad alcuni suoi appuntamenti istituzionali, controbattendo così alle sue parole.
Quel che è certo è che la formazione citata nel progetto in esame, intesa in ambito calcistico ma soprattutto umana, ha sicuramente una carica innovativa che necessita di grande appoggio a tutti i livelli, politici e non solo, e pertanto un piena adesione ai principi del programma proposto è difficile che maturi istantaneamente, ma probabilmente ha bisogno di tempo.
Suona come una bomba di mercato di quelle che squarciano un’estate di voci e trattative, ma siamo già ad ottobre inoltrato e non può non sembrare a prima vista una follia l’indiscrezione di Tuttosport che vuole la Juventus piombata su Drogba, magari già da gennaio.
Non è una novità l’interessamento bianconero per l’ivoriano: già in estate la Juve aveva sondato il terreno per portare a Torino il giocatore, avanti con gli anni, ovvio, ma con quelle doti di qualità ed esperienza internazionale necessarie al reparto avanzato juventino probabilmente per giocarsela contro tutti in Europa come in Italia. Drogba optò poi per lo Shanghai e per la sua impareggiabile offerta economica di oltre dieci milioni di euro all’anno. Ad oggi però filtra l’indiscrezione dell’assenso del giocatore ad abbandonare la Cina per accasarsi alla Juve, che non sarebbe disposto però a perderci sull’ingaggio nel trasferimento a Torino il quale vorrebbe che gli sia garantito l’ingaggio che dovrebbe attualmente percepire nel paese del dragone: pare infatti che dissidi interni alla dirigenza del club cinese abbiano causato un ritardo nella liquidazione degli stipendi, alimentando così malumori e aprendo le porte a nuovi scenari.
Il tutto va preso ovviamente con le pinze, essendo poco più di una voce, ma ciò che non convince sono probabilmente le cifre dell’operazione: sborsare 10 milioni di euro all’anno per un campione di 34 anni sembrerebbe davvero troppo, anche per i “paperoni” del PSG; la Juventus sarebbe verosimilmente disposta a concludere, ma a cifre molto inferiori, pur acquisendo un elemento in grado di consentirgli un salto di qualità notevole, specialmente in ottica europea. Una sterzata simile poi genererebbe forse delle turbolenze a livello di spogliatoio, senza contare che come centroavanti puro la Juventus ha acquistato per ultimo il danese Bendtner, coprendosi di fatto in quel ruolo.
A complicare il tutto poi sembra ” incombere” sul giocatore anche l’interessamento del Guangzhou di Marcello Lippi, che non disdegnerebbe acquisire Drogba qualora ci fossero i presupposti. Alla resa dei conti l’ipotesi bianconera appare come una suggestione figlia delle circostanze, ma se è vero che sognare non costa nulla, i tifosi juventini possono seguire speranzosi l’evolversi della vicenda e confidare in qualche buona nuova dall’Oriente.
Si decideranno questa settimana le sorti di Stefano Mauri, indagato per riciclaggio in Svizzera e nell’ambito dell’inchiesta calcioscommesse.
Martedì mattina il giocatore laziale sarà infatti a Berna, in Svizzera, accompagnato dalla madre per essere ascoltato come testimone e chiarire la propria posizione alle autorità elvetiche; venerdì invece sarà la volta del consulto Di Martino-Palazzi, relativamente all’inchiesta di Cremona.
In primis il giocatore dovrà spiegare alle autorità elvetiche le motivazioni del conto aperto in una banca svizzera e soprattutto da dove siano provenuti i soldi fatti transitare e ivi depositati: ascoltato come testimone, Mauri dovrà sostenere un interrogatorio orale e svolgere un test scritto, in cui dovrà emergere in pratica la propria versione dei fatti relativamente alla vicenda del presunto riciclaggio, e fornire argomentazioni sufficienti a fugare ogni dubbio circa un suo coinvolgimento in eventuali traffici.
Berna infatti ha avuto accesso agli atti della Procura di Cremona, mettendo inizialmente in relazione la vicenda del conto corrente bancario con la pista italiana del calcioscommesse, pur arenandosi su delle incongruenze di tipo temporale (le partite della Lazio finite sotto l’osservatorio degli inquirenti sono successive alla data dell’ultimo accredito di denaro sul conto svizzero in questione): i riferimenti sono oramai gli “storici “ match Lazio – Genoa e Lecce – Lazio, giocatesi nel maggio del 2011 , mentre l’ultimo deposito sul conto risalirebbe addirittura all’anno precedente, il 2010.
E’ al vaglio degli inquirenti svizzeri quindi un’altra possibilità, vale a dire che il conto bancario in questione possa fungere da “polmone” di raccolta di capitali in “nero”, operando di fatto come un centro di riciclaggio.
Venerdì sarà invece la volta dell’inchiesta calcioscommesse: il pm Di Martino riceverà il procuratore Figc Palazzi per ricevere il materiale raccolto in sede penale: possibile il deferimento per Stefano Mauri, che a riguardo dell’inchiesta “italiana” ha da sempre dichiarato e sostenuto la propria estraneità ai fatti.
Se sia solo una suggestione di mercato o una concreta possibilità sarà il tempo a dirlo, ma vi immaginate riunire sotto la stessa maglia due dei più noti numeri 10 del calcio italiano recente? Quello che non è mai successo in Italia, per ovvi motivi di campanilismo sportivo, potrebbe avverarsi in un futuro non troppo lontano in terra d’Australia, nuova casa già di Alessandro Del Piero.
Tony Pignata, amministratore delegato del Sydney, intervistato da un noto periodico italiano non ha nascosto la sua ammirazione per un altro numero 10 nostrano, Francesco Totti: anche se simbolo e tutt’ora giocatore a tutti gli effetti della Roma, un domani non dispiacerebbe al numero uno del Sydney portarlo in Australia alla sua corte.
L’ambizione e l’eccezionalità di sicuro non mancano a Pignata, italo-australiano innamorato del calcio che dopo un passato nel mondo della finanza si è tuffato nel mondo che lo ha sempre appassionato, giungendo all’attuale carica del club australiano, ma con un occhio sempre rivolto all’Italia e ai suoi miti. Dopo aver strappato Del Piero alla concorrenza di più prestigiosi club europei, la via sembra tracciata, e ora nel mirino sembra esserci Francesco Totti, altro prodotto eccellente del nostro calcio.
Esportare talenti italiani più o meno avanti con gli anni è via via diventata una consuetudine del calcio italiano, che sembra essersi impoverito tanto a livello economico, quanto a livello tecnico: non mancano nel passato gli esempi di Totò Schillaci, Gianluca Vialli e Gianfranco Zola, o quelli ancora più recenti di Alessandro Nesta e Marco Di Vaio, entrambi in Canada.
Di sicuro arruolare “oltreoceano” Del Piero, bandiera bianconera, è stato probabilmente un colpaccio difficilmente replicabile se non affiancandogli Totti per l’appunto, bandiera giallorossa di una Roma in fase di restaurazione.
Come già detto siamo nel campo delle ipotesi, ma l’intenzione del Sydney sembra proprio quella di fare incetta di leggende nostrane, decise magari ad abbandonare lo stress del calcio europeo e desiderose di concludere la carriera in un altro continente, magari riscoprendo il gusto del divertimento, abbinando all’esperienza sportiva un’attraente esperienza di vita extracalcistica.
Quanto al “romanissimo” Totti, si fatica a vederlo con un’altra maglia e soprattutto al di fuori del contesto capitolino, ma mai dire mai, anche se forse la difficoltà principale non sarebbe né la lingua, ne la maglia, ma più banalmente: a chi toccherebbe il numero dieci tra lui e Del Piero? E in campo poi entrambi dal primo minuto o una staffetta che non scontenti nessuno? Sorge spontaneo allora il dubbio se converrà agli australiani importare anche i dualismi calcistici, tanto cari alla cronaca sportiva nostrana.
Tanto per cambiare ancora loro, sempre e solo loro due; il “Clasico” di Spagna non difetterebbe certo di campioni neanche nel peggior momento di emergenza, ma questa volta Leo Messi e Cristiano Ronaldo hanno voluto strafare, monopolizzando anche il tabellino dei marcatori e firmando esclusivamente il 2-2 finale di domenica sera.
“Griffare” i big matches non è mai stato un problema, e il loro nome è spesso comparso tra quelli dei rispettivi compagni di reparto e di squadra che hanno segnato in questo oramai “epico“ match, simbolo della Liga, e spesso replicato in Coppa del Re e in Champions League; tuttavia il “monopolio” del gol instaurato dai due assi nel match di ieri fa di loro ancora una volta e forse definitivamente i simboli odierni di Barcellona e Real Madrid e i protagonisti di questo esaltante dualismo, che non mancherà di riproporsi in chiave Pallone d’ Oro.
Ala col vizio del goal il portoghese, numero dieci prestato ai fasti e allo score da centravanti l’argentino, anche se nati calcisticamente non propriamente “sotto” la porta avversaria, sarebbe davvero un delitto schierarli troppo lontano dai pali avversari perché come finalizzano loro non finalizza nessuno.
Ronaldo ha aperto le danze trafiggendo sul suo palo il non incolpevole portiere avversario con una rasoiata mancina; è toccato a Messi pareggiare di rapina approfittando dell’indecisione della difesa dei blancos, e bucare ancora Casillas su calcio di punizione; ha chiuso i conti poi il portoghese entrando in area e trafiggendo Valdes su splendido invito di Ozil.
E pazienza se grazie al pareggio finale l’Atletico Madrid si appaia al Barcellona capolista: per una volta ancora l’attenzione è calamitata dai protagonisti e non dalla trama della partita.
Difficile immaginare le due grandi di Spagna senza di loro, difficile privarsi di entrambi anche in presenza di proposte di mercato indecenti, a testimonianza che in campo ci vanno sempre e comunque i calciatori e che forse la tattica e tutto il resto non sono poi determinanti come i loro interpreti, soprattutto se trattasi di campioni di questo calibro. Difficile è domandarsi chi è il migliore, sbagliato decidere per quale dei due tifare, forse inutile…meglio vederli entrambi in campo e godersi lo spettacolo.
Facile, molto facile allenare quando in squadra si ha chi la partita te la risolve in un attimo.
Interessante, molto interessante sarebbe vederli entrambi all’opera in un campionato maggiormente tattico e con le difese un po’ meno allegre, giusto per togliersi lo sfizio, e magari fare ammenda subito dopo per “lesa maestà”.
Tornando a loro, Cristiano e Leo, è giusto probabilmente augurargli una consacrazione anche a livello di Nazionale, più difficile soprattutto per il portoghese, perché permetterebbe all’argentino di eguagliare e magari di superare il mitico Maradona, mentre a Cristiano Ronaldo di divenire il giocatore portoghese più rappresentativo di tutti i tempi.
In ogni caso, e comunque vada a finire, noi appassionati non ci perderemo neanche una virgola dei prossimi episodi di questa splendida storia calcistica…
Mentre in Italia la domenica del sei ottobre 2012 vedrà alla ribalta il derby di Milano, stracittadina dalle belle speranze scudettate, in Spagna, sarà la giornata del “Clasico”, col Real Madrid ospite della capolista Barcellona. Si gioca l’edizione numero 165 del match dei match iberici e l’attesa è come sempre spasmodica: impazzano i pronostici e il totomarcatori in città e in tutto il paese; si va in campo per la vittoria sportiva e non solo.
Fa specie però che alla settima giornata di andata della Liga spagnola questo match possa rappresentare l’ultima spiaggia per i blancos, se non meno, ma otto punti di distacco dal Barcellona a poco più di un mese dall’inizio della stagione sono davvero tanti per gli uomini di Mourinho. Al Camp Nou i padroni di casa potrebbero sulla carta avere due risultati a disposizione, qualora non volessero spingere troppo sull’acceleratore e accontentarsi di un pareggio: mantenere infatti lo stesso distacco dagli storici rivali andrebbe forse ugualmente bene: neanche i più ottimisti blaugrana ad oggi avrebbero sperato in questo vantaggio sul Real, così come di avere già un match-point a questo punto della stagione.
Mourinho, da buono psicologo prima che da allenatore esperto, è ben conscio della situazione e sa che l’avvio stentato dei suoi in campionato rende inutile caricare di ulteriori tensioni la vigilia. Nella sua conferenza stampa, insolitamente rilassata, il portoghese ha parlato del match col Barcellona come di uno scontro speciale, ma che vale sempre tre punti (peccato che pesino come un macigno sulle spalle del Real, già pesantemente lontano dal vertice); da contraltare, a detta del tecnico, la rinnovata mentalità e concentrazione ritrovata dai suoi dopo gli svarioni iniziali, e indiscutibilmente un Cristiano Ronaldo reduce da due triplette che fa sempre paura. Un po’ di sana pretattica per nascondere sino all’ultimo i propositi di formazione ci permettono comunque di ipotizzare il solito Real con tre mezzepunte alle spalle di un centravanti (Higuain o Benzema?…il dubbio vero forse è proprio questo).
In casa Barcellona, dato per buono il vantaggio psicologico con cui gli uomini di Vilanova potranno approcciarsi al match, tiene banco la possibile indisponibilità di Piquè al centro della difesa; eventualità questa, che sommata alla certa assenza di Puyol, fuori uso dopo il rovinoso infortunio rimediato in Champions, potrebbe dare più di qualche grattacapo ai blaugrana in fase di contenimento. L’ipotesi di schierare come coppia centrale di difesa Mascherano e Song, di fatto dei centrocampisti con in più poco minutaggio contemporaneo all’attivo è il punto interrogativo principale che affligge i padroni di casa, fermo restando che il Barça, almeno con Guardiola, ci ha abituati a tutto, anche a vari ribaltoni di ruolo, senza perdere mai colpi. In ogni caso centrocampo e attacco sono sempre tra i migliori d’Europa, e basterebbero il proverbiale palleggio e i colpi dei fuoriclasse là davanti a schiacciare qualsiasi avversario e a ricacciarlo nella sua metà campo.
Sarà ancora una volta scontro tra giocolieri come Ronaldo e Messi, contendenti a singolar tenzone anche per la classifica cannonieri e per il Pallone d’Oro; saranno ancora minacce e promesse di manite sbeffeggianti; sarà ancora una “corrida” con colpi di fioretto e …dita negli occhi del rivale? (Vilanova è avvisato); sarà la bolgia del Camp Nou pronta a inebriare i propri beniamini e a stordire gli ospiti; sarà ancora una volta l’orgoglio della Catalunya contro la Spagna; sarà come sempre ”El Clasico”. Ovviamente da non perdere.
Exor, azionista di maggioranza della Juventus, in vista della prossima assemblea degli azionisti della squadra bianconera che si terrà il 26 ottobre, ha depositato la lista dei candidati del nuovo cda. Ai nomi già noti del consiglio attuale (Andrea Agnelli, Giuseppe Marotta, Pavel Nedved, Aldo Mazzia e Camillo Vanesio) si sono aggiunti quelli nuovi del giornalista Paolo Garimberti, Giulia Bongiorno, il manager della Philip Morris Maurizio Arrivabene, Assia Grazioli-Venier ed Enrico Vellano, responsabile finanziario Exor. Come sindaci effettivi sono stati nominati Paolo Piccatti, Silvia Lirici e Roberto Longo e come supplenti Roberto Petrignani e Nicoletta Paracchini.
Spiccano quindi le quote rosa rappresentate dalla Bongiorno, legale dell’allenatore bianconero Conte nella vicenda calcioscommesse, nonché parlamentare, e dalla Grazioli-Venier, proveniente dal mondo del management musicale e dei media digitali. La Bongiorno arriva così alle soglie dell’amministrazione di una società sportiva prestigiosa come la Juventus, avendo probabilmente ben impressionato nella vicenda Conte (anche se ancora da definire) l’azionariato bianconero. Fermo restando ciò un consigliere di estrazione legale sembra essere necessario all’interno del c.d.a della Juventus, soprattutto per la funzione di supporto che potrebbe rivestire nei confronti di figure di estrazione differente, ma molto importanti, come quelle di Nedved e Marotta.
L’ex centrocampista ceco, così come Marotta, sono figure già presenti all’interno dell’attuale consiglio che sono state ricandidate per la loro importanza e per le relative esperienze professionali. Nedved infatti è un uomo di campo, più vicino alle questioni tecniche e di squadra che la Juventus non ha voluto farsi scappare una volta appesi gli scarpini al chiodo, riconoscendogli doti di impegno e abnegazione che lo hanno reso unico nel suo passato da giocatore e ne hanno spianato la strada a livello dirigenziale.
Quanto a Marotta, figura chiave del mercato bianconero, la sua riuscita soprattutto nelle ultime sessioni di calciomercato l’hanno reso più che mai prezioso alla causa bianconera anche al di fuori del ruolo di direttore sportivo: il ruolo di amministratore delegato bianconero ha sicuramente portato bene alla causa bianconera, e tutto ciò è alla base della sua ricandidatura da parte di Exor.
L’amministrazione bianconera nel suo complesso potrà sicuramente trarre giovamento dall’ingresso delle nuove figure proposte come candidati: figure queste scelte con ogni probabilità per affiancare il nucleo forte costituito da Andrea Agnelli (esponente della proprietà) e dai già citati Giuseppe Marotta e Pavel Nedved. La realtà odierna del quadro amministrativo bianconero potrebbe divenire questa; poco “romanticismo” (tra gli ex-eroi del campo figura il solo Nedved) e molta concretezza/professionalità. Un domani poi i tifosi più nostalgici probabilmente non disdegnerebbero vedere dietro la scrivania della sala ovale juventina un ex numero dieci recentemente emigrato oltreoceano per continuare a sognare e a divertirsi ma che difficilmente andrà via dai loro cuori e dai loro pensieri, Alessandro Del Piero.
Rinnovata la squadra e messi a posto i conti, è l’ora di cambiare anche la dirigenza? Sembra essere questa la prossima mossa attesa dal Milan: tutto porta quindi a ipotizzare un restyling generale e non solo del parco giocatori e delle effettive ambizioni sportive in casa rossonera.
Nello specifico, l’indiscrezione di mercato riguarda direttamente l’amministratore delegato Adriano Galliani, figura sino ad ora imprescindibile del Milan di Berlusconi e sua vera icona alla pari del del presidente così come di quella del più rappresentativo dei suoi calciatori. Sostituire l’amministratore a cui sono legati tanti successi: perché e soprattutto con chi? I motivi del cambiamento, a meno che dovuti alla volontà dello stesso a.d (indizi a riguardo potrebbero essere lo “scomodo” ingresso di Barbara Berlusconi in società, così come i rapporti ormai ai ferri corti tra Galliani e le frange più estreme del tifo rossonero) , risultano difficili da individuare se non nel voler svoltare definitivamente e dare un volto nuovo al management rossonero.
Il primo rappresenta una soluzione di continuità di competenze calcistico-professionali, essendo Fenucci l’attuale amministratore delegato della Roma calcio, con un passato dirigenziale nell’US Lecce: il suo è un profilo di competenza, e sicuramente meno “scomodo” di quello di Galliani, sempre in ottica di rinnovamento societario, che sembra godere dell’apprezzamento di Berlusconi. Biesuz invece è un nome nuovo per quanto riguarda l’affinità calcistica, se non per il suo dichiarato tifo per i rossoneri: egli infatti è un alto dirigente svizzero proveniente dalla Bialetti e dalla Richard Ginori e attualmente a capo della gestione del trasporto ferroviario in Lombardia. La sua candidatura certo evoca grande managerialità, ma il background non calcistico lascia un po’ a desiderare i più scettici.
Sempre in ottica di cambiamento generale, la sostituzione dell’amministratore delegato potrebbe poi essere il preludio al ritorno in auge in casa rossonera di figure storiche del recente passato milanista (una su tutti Paolo Maldini) temporaneamente e non senza fatica accantonate dai piani societari, ma rivendicate un po’ a furor di popolo, e non solo per una questione di riconoscenza.
Un’ultima suggestiva e ambiziosa ipotesi vede nell’allontanamento di Galliani, sino a non molti anni fa fiero sostenitore dei giocatori d’esperienza acquisiti sul mercato per puntare ai trionfi europei, la volontà di plasmare un Milan stile Barcellona, che si costruisce i campioni in casa, quindi a basso costo, in cui il ruolo di rilievo, anche in termini di sforzo economico per acquisirlo, spetta all’allenatore (in questo senso vanno le voci che vorrebbero Guardiola in rossonero).
La sconfitta per 4-1 allo Juventus Stadium ha stroncato definitivamente, almeno in questo avvio di campionato, le velleità della Roma di Zeman. La “caccia” ai responsabili, o peggio ancora ai colpevoli del tracollo è ufficialmente aperta: sul banco degli imputati figurano il tecnico boemo, la società e i giocatori , ma in che misura si ripartiscono gli oneri e le responsabilità?
Forse è importante premettere che incensare i successi e criticare aspramente alle prime difficoltà sono entrambi peccati di presunzione in cui spesso incorre facilmente lo sportivo così come il tifoso; detto ciò, nello specifico caso dei giallorossi lo scintillante successo riportato qualche settimana fa a S.Siro con l’Inter è stato l’unico acuto di una squadra che ha obbiettivamente stentato nelle altre sfide di campionato, mostrando probabilmente in queste partite il vero volto di una realtà ancora in costruzione e tutta da verificare sul piano della continuità e dell’affidabilità…un po’ come dire che una rondine non fa primavera!
Relativamente alla rosa giallorossa, come detto prima il mix tra gioventù ed esperienza non è ancora equilibrato e in campo si sente: gli alti e i bassi di gioco espresso e di concentrazione esibita in campo dalla Roma sono il frutto dell’ inesperienza di tanti dei suoi interpreti, e ad oggi le cose buone mostrate dalla Roma sono inferiori alle lacune esibite, e non solo nella serataccia di Torino. Quanto alla dirigenza, e forse anche alla proprietà, avere costruito una squadra giovane già a partire dallo scorso anno, muovendosi così in un’ottica di lungo periodo, è sicuramente uno nota di merito, ma illudersi e illudere la piazza addirittura con pretese e mezzi proclami di tricolore è chiedere obiettivamente troppo. Analogamente parlare di acquisti forse non totalmente all’altezza dopo la sconfitta di Torino è come sconfessare malamente il progetto Zeman, che avrà pur dato un’ impronta importante alla campagna acquisti, ma che non difetta certo per coerenza e intransigenza: affidargli una panchina equivale a sapere a cosa si andrà incontro, nel bene e nel male, e forse tra i vantaggi di avere Zeman in panca c’è quello di avere un “parafulmine” che in caso di “temporale” regge bene gli urti, tutelando la squadra e mettendola al riparo dall’occhio del ciclone, permettendole di crescere con relativa tranquillità.
Non è un caso che sabato si sia presentato in conferenza stampa proprio De Rossi, non più un giovane di belle speranze, a smorzare ufficialmente a nome della squadra e forse di tutto l’ambiente gli entusiasmi e a predicare umiltà e impegno per il futuro. Riepilogando quindi, uno sbilanciamento delle responsabilità nel contesto giallorosso spetta forse alla società, nella persona dei dirigenti piuttosto che della proprietà stessa, perché affidare una panchina al dogmatico Zeman e costruire una rosa secondo le sue aspettative, a meno che il boemo abbia cambiato visione del calcio (non ci risulta francamente!) tutto può regalare tranne che sorprese, nel bene e nel male; le “oscillazioni” d’umore della piazza giallorossa, quantomai instabile e poco rasserenante, sono poi un dato ormai di fatto che probabilmente nel complesso penalizzano più che sostenere la squadra e i risultati: infatti l’ultimo scudetto capitolino, competizione dove la continuità e la stabilità di squadra sono tutto, è giunto sotto la guida di Fabio Capello, il meno “romano “ di tutti gli allenatori. Non sarà stato un caso….
Operazione aggancio compiuta: il Napoli di Cavani con la vittoria di ieri sulla Lazio raggiunge i bianconeri in vetta alla classifica. La vittoria sulla Lazio di ieri sa molto di esame di maturità superato a pieni voti, ma probabilmente la “patente” di grande squadra è stata conseguita da tempo dai partenopei, che conquistando il primato e appaiandosi in graduatoria alla Juventus hanno spazzato via i dubbi degli ultimi scettici rimasti in circolazione.
La complicità delle lacune di avvio stagione palesate da Milan, Inter e Roma sicuramente hanno dato indirettamente lustro alle prestazioni degli azzurri di Mazzarri, ma i valori assoluti del Napoli sono ormai indiscutibili.
Un allenatore preparato e ambizioso, una squadra ordinata e compatta in campo, un bomber che la butta sempre dentro e una serie di giocatori di ottimo valore che girano a pieno ritmo, una società seria e che ha programmato con saggezza, un palcoscenico come Napoli che per entusiasmo non è secondo a nessuno sono gli ingredienti di questa realtà calcistica che forse ha mancato sino ad ora solo di una piena convinzione nei propri mezzi e di una mentalità da “grande” del campionato.
Ma gli alibi e la falsa modestia sembrano ormai aver lasciato il passo alla consapevolezza della propria forza e al ruolo di aspirante “di diritto” allo scudetto: l’investitura del Napoli ad anti-Juve è stata probabilmente avanzata in tempi non sospetti già nel precampionato da parte degli addetti ai lavori più attenti e meno tradizionalisti nel sentenziare pronostici scontati.
Il Milan e l’Inter hanno infatti cambiato tanto, e ipotizzare quantomeno un loro inizio a rilento non sarebbe risultato sicuramente un azzardo; la Roma di Zeman, come tutte le squadre del boemo, non ha mai convinto a pieno per il discorso scudetto, a causa della filosofia di calcio stessa del tecnico, poco improntata al pragmatismo e al risultato; al contrario il Napoli è in costante ascesa da anni, fortificato dall’esperienza in Champions dello scorso anno, e appare come una squadra che è cresciuta organicamente e senza stravolgimenti tecnico-tattici.
Anche con un Lavezzi in meno, ma con un anno di esperienza in più, il Napoli ha saputo tenere testa alla Juventus già nello scontro diretto di Supercoppa Italiana, uscendo sconfitto solo dopo un match contestatissimo e palesemente viziato dagli errori arbitrali. Che sia l’anno buono per lo scudetto, o che possa esserlo, sono ormai non solo i napoletani più ottimisti a scommetterci: al campo la sentenza!