Autore: Domenico Maione

  • Vi presento Boateng, aspettando Ibra…

    Vi presento Boateng, aspettando Ibra…

    L’operazione era nell’aria da giorni, ma solo oggi è stata ufficializzata da un comunicato apparso sul portale rossonero:

    “L’ A.C. MILAN comunica di aver acquisito, dal Genoa Cfc, con la formula del prestito con diritto di riscatto dell’intera proprietà, le prestazioni del calciatore Kevin Prince Boateng

    Il ghanese nato in Germania ha militato la scorsa stagione nel Porthsmouth impreziosendo le sue 27 presenze con ben 5 marcature. Grande impressione hanno destato le sue prove offerte nella recente rassegna mondiale dove ha trascinato il suo Ghana segnando, tra l’altro, un gol contro gli Stati Uniti. Genoa e Lazio si sono dunque fiondate sul ventitreenne, e a spuntarla è stato il grifone di Preziosi che in ossequio alla “Santa Alleanza” stabilita con Galliani lo ha girato al Milan. In una recente intervista Preziosi ha inoltre dichiarato che preferirebbe che Boateng non giocasse mai con la maglia del Genoa, così da intascare una cospicua plusvalenza.

    Il super tatuato africano rispecchia in pieno il canone di mezz’ala che il tecnico Allegri aveva richiesto alla dirigenza rossonera. Infatti, le sue grandi doti di dinamismo, combinate alla grinta e i polmoni utili nel pressing, ne fanno un tutto-fare di centrocampo, capace sia di coprire sia di andare a segno mediante gli inserimenti. Gli unici difetti da levigare sono la disciplina e l’immaturità tattica, entrambi frutto della frenesia che lo caratterizza fuori e dentro il campo.

    Classico prototipo di genio e sregolatezza, Kevin-Prince Boateng, in una mattinata tedesca di 6 anni or sono, durante la finale Allievi Nazionali tra Borussia Dortmund ed Herta Berlino, mise a segno tre gol e ne sfiorò altri due. Nella sua seconda patria erano convinti: è nata una nuova stella. Le apparizioni in prima squadra, ornate da esaltanti performance, confermarono quanto di buono era stato vaticinato dagli addetti ai lavori. Fuori dal campo non si può però dire altrettanto: nato in un sobborgo di Berlino riceve varie denunce per le sue bravate notturne. Decide dunque di emigrare in Inghilterra, per poi tornare in prestito al Dortumund dove in 10 presenze rimedia tre cartellini rossi. In Germania viene deprecata la sua condotta, e dunque, a differenza del fratello che gioca nella nazionale tedesca, lui decide di vestire la casacca del Ghana congedandosi dalla nazione natia con le seguenti parole: “Si pentiranno per come mi hanno trattato”. L’anno dopo, nella finale di FA Cup contro il Chelsea, con un’entrata pregiudica la partecipazione al mondiale di Ballack, che, guarda caso, avrebbe dovuto indossare la fascia da capitano nella nazionale tedesca.

    Definito l’approdo del ghanese, in casa Milan si lavora già per il prossimo colpo. In pochi ci hanno fatto caso ma il budget milanista è rimasto ancora intatto. L’ultima indiscrezione proviene dalla Spagna e riguarda il solito Zlatan Ibrahimovic. La stampa iberica scrive di una seconda richiesta di Allegri alla dirigenza al fine di potenziare il parco attaccanti (ci si chiede come facciano a saperlo loro in Spagna, mentre nel Bel Paese ne eravamo allo scuro). L’onniscenza spagnola riprende le dichiarazioni del patron Berlusconi alla cena con gli sponsor dove promise il grande colpo. Inoltre, a cagione e in concomitanza dell’eccedenza numerica di attaccanti nel Barca, potrebbero crearsi le condizioni per il passaggio di Ibra in rossonero. Dalla Catalogna fanno sapere che si accollerebbero volentieri il 60% dell’ingaggio dello svedese pur di liberarsene. La trattativa potrebbe prendere piede in occasione del trofeo Gumper, che vedrà sfidarsi Milan e Barca. Il tempo dirà se si tratta della solita bufala spagnola, come disse Raiola: “Io i giornali spagnoli li uso per pulire i vetri”. Intanto, prendiamo atto dell’insofferenza di Helena, lady Ibra, che proprio non ne può più del mare, il sole e il clima di Barcellona. Poveretta, ti comprendiamo. A parte le battute, il caso Sheva dimostrò già una volta che, non sempre, in casa sono gli uomini a portare i pantaloni. Buon per il Milan. Si sa, non c’è soddisfazione più grande che andare a letto con la moglie del nemico e fregiarsi di Ibra nel prossimo derby potrebbe suscitare la medesima sensazione.

  • Intervista esclusiva: Simone Colombi, l’erede di Buffon

    Profilo

    E’ il portiere del momento. Purtroppo. Eh già, avete presente il video che ultimamente impazza su Youtube? Naturalmente parlo del rigore calciato da Ezequiel Calvente, giovane stella della nazionale spagnola under-19, con quello che, se non fosse per la magistrale finta, sarebbe stato battezzato come lo “strumentale” piede d’appoggio. Si tratta di un moderno ramake del penalty messo a segno da Reynoso con la maglia del Boca nel 91’(anno di nascita del baby iberico, che evidentemente ha studiato). Nella sua opera “Saggi sulla letteratura e sull’arte” Pasolini avrebbe apostrofato entrambi i gesti tecnici sotto il nome di poesia estetizzante. Al diciannovenne Simone Colombi (186 cm X 78 kg), malcapitato portiere di turno, sarebbe spettata la palma di prosatore sovente avvezzo all’epiteto, come è possibile constatare quando, appena battuto, rivolge “affettuosi complimenti” all’avversario. Parafrasando De Gregori potremmo dire “Simone non ti arrabbiare per non aver parato un calcio di rigore, non è da questi particolari che si giudica un giocatore”.

    Video
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    Intervista

    Prima di cominciare, giuri di rimettere tutti i tuoi peccati comprese le parolacce che indirizzi allo spagnolo dopo il rigore?

    (N.d.R.) Ride.

    Partiamo proprio da quel rigore. Cosa si prova ad essere spettatore del destino di qualcun altro? Essere su un palcoscenico ma con i riflettori puntati da tutt’altra parte, così da essere sotto gli occhi di tutti e nel contempo rimanere comunque anonimo. Insomma, che vento tira dall’altra parte della gloria?

    E’ un vento tranquillo e pacato. Bisogna prenderla con filosofia; se il portiere subisce il gol è merito dell’avversario, mentre se lo para fa il miracolo.

    Non vorrei infierire, ma fatalmente quel penalty sancisce la fine delle velleità azzurre ad un europeo U-19 che onestamente ha lesinato soddisfazioni per l’Italia. Si tratta sicuramente di un brutto colpo sintomatico del fatto che il rinnovamento, tanto vaticinato e decantato, stenta a decollare. Cosa ci è mancato in Francia? E soprattutto la nuova leva è capace, a tuo avviso, di regalare un futuro più radioso del deprimente presente?

    Il fallimento della spedizione azzurra si spiega con una semplice quanto veritiera analisi: la rosa spagnola annoverava tra le sue fila calciatori che hanno collezionato complessivamente 84 presenze in Liga, mentre noi solo 8 in Serie A. Inoltre in Spagna le formazioni giovanili si schierano in campo con la medesima intelaiatura tecnico-tattica della prima squadra, il che agevola il loro inserimento nel progetto dell’allenatore. Tutto questo a 19 anni conta tantissimo: contro di noi sembrava che stessero giocando contro dei bambini. Tuttavia, in Italia ci sono grandi promesse, ma tocca ai club puntare su di loro lanciandoli senza timore alcuno.

    Quali prospetti di quest’under-19 potrebbero calarsi subito nel contesto under-21 cercando, con la qualificazione a Euro 2011, di risollevare le sorti del calcio nostrano?

    Borini, Destro, D’Alessandro e Caldirola hanno grandi qualità e un sicuro avvenire. Tutti e quattro giocano già ad alti livelli: Borini (attaccante) gioca nel Chelsea, Destro (attaccante) nel Genoa, Caldirola (difensore) nel Vitesse e infine D’Alessandro (attaccante) nel Bari dopo aver raccolto 30 presenze in serie B la scorsa stagione.

    A fronte della pessima figura rimediata dai ragazzi di Lippi in Sudafrica si parla tanto di rinnovamento e valorizzazione dei vivai. Secondo te, un giovane necessita di attrezzature, strutture sportive e quindi investimenti o solo di una società che lanci, indipendentemente dall’età, un giocatore se si dimostra meritevole?

    Più che investire sui giovani occorrerebbe scommettere su di loro lanciandoli il più presto possibile in prima squadra. Tante sono le presenze, tanta è l’esperienza cumulata che permette a un giovane di maturare.

    Qual è la tua top 5 dei portieri?

    In ordine ammiro Buffon, J.Cesar, Casillas, Cech e Frey. Mi piacciono anche i giovani titolari di Francia e Germania, rispettivamente Lloris e Neuer.

    Dopo l’esperienza al Pergocrema, 18 presenze condite da 25 reti subite, ritorni all’Atalanta. Credi che la società bergamasca ti offrirà la chance di continuare il tuo apprendistato altrove, o ti terrà in rosa? Infine, ritieni che il prestito in compagini calcistiche minori che offrono la possibilità di giocare con continuità possa effettivamente migliorare il livello di un giovane come te?

    Sinceramente è stata un’esperienza che mi è servita tanto, perché mi sono confrontato in un campionato difficilissimo. Fino a Febbraio sono stato titolare, per poi tornare nel ritorno dei playout. Per quanto concerne il capitolo Atalanta, credo che mi toccherà partire visto che in rosa sono al completo con Consigli e Frezzolini. La meta, tuttora, è ancora un mistero.

    Prova di maturità: secondo te sono i calciatori che guadagnano troppo o gli operai che guadagnano troppo poco?

    Questa è una domanda difficile. Io non so perché le cose vadano in questo modo, ma quello che so è che se ci sono dei meriti a questo mondo vanno riconosciuti a quelle persone che lavorano 10 ore al giorno per 1500 euro al mese.

    Quali sono i tuoi punti di forza, e cosa invece devi migliorare nelle tue performance tra i pali per arrivare ai vertici?

    Sui punti di forza lascio giudicare gli altri. (Stefano Buonaccorso, responsabile dell’ attività di base per l’Atalanta:”Colombi ha già molto per fare il portiere, ha una struttura fisica ragguardevole ed è ancora in crescita. Tecnicamente può migliorare, ma ha attitudini interessanti, deve lavorare sulla lettura delle situazioni di gioco e nelle uscite. Il merito della sua crescita è soprattutto del preparatore dei portieri Massimo Biffi”). Posso solo dire di essere in grado migliorare molto visto che ho 19 anni.

    C’è un dubbio metodico che mi attanaglia: quando Buffon appenderà le scarpette al chiodo come la mettiamo? Insomma, la fortuna di aver potuto contare sul miglior portiere della storia prescrive due future opzioni: o giochiamo col portiere volante o bisogna trovare qualcuno in grado di rilevarne onori e oneri. Probabilmente qualcuno prenderà il suo posto, ma nessuno sarà forse in grado di sostituirlo. Comunque io un idea ce l’avrei, tu?

    Io penso che ci sono portieri in grado di sostituirlo, uno su tutti Sirigu. Ma qual è la tua idea?

    Simone Colombi, lo conosci?

  • Il padre di Ozil: “Mio figlio ha detto no all’Inter”

    Il padre di Ozil: “Mio figlio ha detto no all’Inter”


    Balzato alle cronache sportive per le eccellenti prove offerte in terra sudafricana, Mesut Ozil, ventunenne trequartista tedesco di sicuro avvenire, è l’ultimo colpo del Real targato Perez.

    Il suo approdo nella Liga è stato anticipato per sopperire all’assenza di Kakà, che dovrà osservare un lungo periodo di convalescenza al seguito dell’operazione portata a termine dalla troupe del dottor Martens. Proprio a detta di quest’ultimo, il brasiliano avrebbe rischiato di mettere in serio pericolo la propria carriera qualora avesse rimandato l’intervento. I Galacticos hanno dunque preferito velocizzare le pratiche per tesserare il grande prospetto teutonico in maniera da cautelarsi per tempo. Al Werder verrà corrisposto un conguaglio di 15 milioni di euro, cifra relativamente bassa per il potenziale del calciatore che era comunque in scadenza di contratto.

    Secondo alcuni rumors, i dirigenti madridisti in collaborazione con l’entourage della giovane promessa, avrebbero minacciato il club tedesco di procrastinare il passaggio in blancos all’anno successivo prelevando, così, il fantasista a parametro zero.

    All’esito della trattativa ha contribuito soprattutto la volontà del giocatore, che secondo una confessione del padre aveva già firmato il contratto, tempo addietro, negli uffici di Florentino Perez. Sempre dall’outing paterno emerge un altro interessante retroscena: “Metus ha rifiutato l’Inter”. Si dice che il patron Moratti sia rimasto stregato dai numeri di Ozil tanto che avesse deciso di mandare Branca in Germania al fine di intavolare una trattativa d’acquisizione. Purtroppo non è bastato l’appeal del triplete poiché l’esito dell’operazione è stato negativo. Ebbene sì, anche i campioni d’Europa talvolta vengono snobbati. Farà sorridere a dirsi, ma di certo non hanno sorriso i dirigenti del Werder, costretti a piegarsi per raccogliere i 15 milioni del Real quando sul tavolo c’erano i 30 dell’Inter. D’altronde al Real non si può dire di no. Per la storia, il pubblico e soprattutto per il ricco ingaggio. Per informazioni chiedere a Mourinho che non ha esitato a calarsi le braghe.

  • Ti lascio perché ti amo troppo…

    Questa mattina è arrivato per primo a Milanello, con la celerità che in campo, per effetto degli anni, talvolta tradisce. Pronto a sottoporsi alle estenuanti sedute d’allenamento di Massimiliano Allegri, nonostante, proprio quest’ultimo, l’abbia messo ai margini della rosa. Prima di indossare pantaloncini e scarpette, trova però il tempo per chiarire la propria situazione:

    Voglio restare al Milan, sto bene qui. Sono consapevole delle scelte dell’allenatore, ma ho un contratto e la Società deve rispettare la mia scelta

    Versi di Marek Jankulovski. Più che calciatore del Milan potremmo definirlo tesserato del Milan. Già, perché nei piani della società il suo apporto è funzionale a un livello tale che può definirsi “disturbo”. Infatti, le prossime azioni in rossonero sotto la guida del nuovo tecnico Livornese, che l’ha snobbato più di una volta, (in ordine cronologico:  Emirates Cup, tournée negli U.S.A. e trofeo TIM), potrebbero limitarsi ad intascare l’esoso ingaggio e a pensare a come spenderlo. Dal suo canto il Milan ha cercato in tutti i modi di trovargli una sistemazione altrove, ma il testardo ostracismo del giocatore ceco ha vanificato ogni tentativo: a gennaio si registrò il rifiuto di indossare la casacca nerazzurra degli odiati rivali, mentre a poche settimane fa risale il “no” secco rifilato al Genoa che, tra l’altro, mise sul piatto il cartellino di Bocchetti. Oltre a gravare sul già esangue bilancio rossonero, la permanenza di Marek implica, per effetto del diktat presidenziale “si viene e si va”, ovvero una cessione per ogni acquisto, l’impossibilità di porre rimedio al vero tallone d’Achille della società di via Turati: le corsie esterne. E’stato lapalissiano lo scorso anno come il Milan abbia sofferto in quella zona di campo dove la prossima stagione potrà contare sull’apporto aggiunto di Sokratis, un esterno per difese schierate a tre uomini, e dunque da impiegare centralmente nel modulo di Allegri. Nonostante le difficoltà palesate, dunque,  pare che i rossoneri non correranno ai ripari in maniera risolutiva sotto questo aspetto. L’unico movimento potrebbe riguardare gli epurati Kaladze e Grosso, presunti protagonisti di uno scambio sull’asse Milano-Torino. Il problema è che se due amici si scambiano la 500, nessuno dei due avrà mai una Ferrari. Tuttavia, al Milan serve un terzino e alla Juve un centrale, per la serie “se non puoi avere il meglio cerca almeno il peggio adatto a te”.

    C’era una volta Rijkaard che dopo aver conquistato Champions e campionati da protagonista decideva di lasciare il Milan perché aveva perso le motivazioni e non voleva far assistere i tifosi al suo declino: “non se lo meritavano”. Come a dire: l’amore significa talvolta farsi da parte. Questo, invece, è il tempo delle società ostaggio di pensionati (anticipati) con l’abbonamento gratuito alla palestra, che spacciano per squadra del cuore.


  • Ufficiale: Rossi lascia “l’amata” Yamaha

    Ufficiale: Rossi lascia “l’amata” Yamaha

    Dopo sette anni Valentino Rossi scende dalla sua amata M1. Oggi è arrivata l’ufficialità del divorzio, che conferma i rumors delle ultime settimane. Sul sito della casa giapponese Lin Jarvis, direttore generale della Yamaha Motor Racing, non lesina ringraziamenti al pilota italiano:

    A nome della Yamana, voglio esprimere la nostra sincera gratitudine per i meravigliosi 7 anni che abbiamo passato insieme. Valentino si è unito alla Yamaha nel 2004 in un momento in cui Yamaha stava lottando nelle corse dopo 11 anni senza una vittoria nel campionato del mondo. La vittoria di Valentino nel suo primo Gran Premio con Yamaha in Sudafrica nel 2004 è stata un momento incredibile ed è stata solo la prima di tante altre gare vinte che hanno emozionato i fans della MotoGP e quelli della Yamaha in tutto il mondo. La sua impareggiabile classe come pilota e come sviluppatore gli ha permesso di vincere quattro titolo MotoGp con noi e ha aiutato la Yamaha a fare diventare la YZR-M1 il punto di riferimento della MotoGp

    Il motociclista, cresciuto a Tavullia a pane e frizione, esterna in una lettera l’intento di intraprendere nuove sfide e saluta affettuosamente, come solo un vero amante saprebbe fare, la sua M1:

    Adesso però è arrivato il momento di trovare nuove sfide, il mio lavoro qua è finito. Purtroppo anche le più belle storie d’amore finiscono, ma ti lasciano un sacco di bei ricordi, tanti momenti paragonabili a quel bacio che ci siamo dati sull’erba di Welkom dove lei mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha detto “ti amo”

    Il dottore ha già firmato il contratto con la Ducati, con la quale convolerà a nozze la prossima stagione dando adito ad un binomio, moto-pilota, 100% italiano. Un’altra sdolcinata unione verrà dunque a consumarsi tra Valentino e la scorbutica moto di Borgo Panigale. Ecco il titolo della nuova love-story: Il campione e la sua bella tinta di rosso. D’altronde, che ci vuoi fare? Il rosso, è  il colore dell’amore…

  • La rivoluzione italiana:Abete…ma lascia stare!!!

    Giancarlo Abete, romano annata 1950. Svolge in ordine cronologico le mansioni di imprenditore, politico e dirigente sportivo. Democristiano per devozione, copre tre legislature in qualità di deputato. I riflettori della notorietà si accendono quando prende parte alla vittoriosa spedizione azzurra del 2006 nelle vesti di capo-delegazione. Sull’onda della popolarità viene eletto presidente della FIGC. Mission: “moralizzare il calcio italiano, utilizzando i successi della Coppa del Mondo e delle competizioni per club come stimolo ed esempio”. Ovvero: ricordati chi siamo e facci rimanere così. Ergo, non toccare niente!

    E per tutta risposta Abete chiosò, con fare da protagonista,“dis-obbedisco”. Difatti, nel 2008 detronizzò Donadoni restituendo a Lippi una panchina azzurra che sembrava gli spettasse come fosse un diritto inalienabile. Nel più classico dei: “era uscito a comprare le sigarette ma la poltrona è sua ”. Sappiamo tutti come è andata a finire, ma siccome è semplice parlare col senno di poi è bene citare un dato interessante. All’indomani dell’eliminazione agli ottavi per mano dei futuri campioni spagnoli, una ragguardevole maggioranza degli spettatori del TG1 perorò in un sondaggio la continuazione del ciclo Donadoni . La nomina di Lippi vale quanto l’esclusione di Cassano perché ne è conseguenza, eppure le rimostranze per gli errori non hanno lo stesso appeal mediatico. E fu così che nel presepe dell’opinione pubblica Lippi venne messo in croce, mentre Abete recitò il ruolo di “Barabba”.

    Ok, non sarà un granché come designatore di commissari tecnici, ma la trafila politica implica una miglior inclinazione alle negoziazioni, e diciamolo pure, agli “inciuci” sottobanco, vero? Ehm…no! Per l’appunto il buon Giancarlo riesce nell’ardua quando paradossale impresa di farsi soffiare Euro 2016 dalla Francia, ed Euro 2012 nientemeno che dall’impareggiabile candidatura del tandem Polacco-Ucraino. Le conseguenze di questa debacle dirigenziale non sono da sottovalutare giacché, grazie ai fondi Uefa investi nei suddetti eventi, avremmo potuto rimodernare gli stadi aspirando ai floridi standard anglo-spagnoli. Limitandoci, dunque, a concupire le strutture straniere continuando a chiederci a cosa sia dovuta la retrocessione del calcio italiota: “Chi ha mangiato il gelato?” disse colui che impugnava il cucchiaio sporco di gianduia. Anche in questo frangente stendiamo un velo pietoso.. amen!

    E non è finita qui. L’ultima marachella ha urtato non poco la suscettibilità dei Presidenti di Lega, che è confluita addirittura nella diserzione del Consiglio federale del 16 luglio. Mi riferisco ovviamente “all’embargo extracomunitari”, regola secondo la quale ogni team può tesserare “un solo” giocatore facente parte di una comunità esterna a quella europea. Diversamente, prima erano possibili due tesseramenti di questo tipo. Il provvedimento filo-leghista, come detto, ha scatenato le invettive dei club in quanto ha scombussolato (in corsa) l’intero calciomercato delle società italiane. Il motivo snocciolato a supporto della norma è la tutela e la valorizzazione del patrimonio calcistico italiano, il che mi spinge a tirare le seguenti conclusioni:

    1)      Se non è extracomunitario non vuol dire che non sia straniero

    2)       Se una società dovesse puntare su un singolo calciatore extracomunitario, a causa della norma che nega un doppio tesseramento, scommetterebbe su un papabile titolare, o sbaglio?

    Il sillogismo fila, e la norma si rivela controproducente. Non sarebbe stato meglio imporre alle formazioni italiane di corrispondere un minutaggio stagionale da parte di giocatori italiani? Magari il minutaggio sarebbe potuto partire da una base non considerevole per poi accrescere negli anni, così da non sconvolgere gli equilibri e impedire alcuni club come l’Inter. In questa maniera ci sarebbe la garanzia comprovata di vedere più italiani in campo, con un provvedimento forzato ma non forzante perché dà tempo a tutti di mettersi in riga. Per pensare una cosa del genere, che non cozza contro gli interessi di nessuno e aderisce a un fine condivisibile, occorre solo un po’ di fantasia. Materiale che forse mancherà al reduce di una classe dirigente che si è estinta per effetto della propria inefficienza.

    Giancarlo Abete è “il Principe”. Quello di Machiavelli però. “Un po’ golpe un po’ lione”. Capace di tirare fuori lo specchio quando si vince, e di schivare le sconfitte con suoi “mi dispiace di circostanza” che occultano la propria compartecipazione negli errori. Infine, un’altra deprecabile arte fa sì che si rispecchi nel profilo machiavellico: la demagogia. Baggio, Rivera e Sacchi che si vanno ad aggiungere a Riva ed Albertini. Insomma una squadra di pallone con tanto di allenatore pronta a riaccendere il tizzone dell’entusiasmo. Parliamoci chiaramente: Baggio, al quale vanno i più sinceri auguri, ce lo ricordiamo per come riusciva ad evadere dal possibile con la palla tra i piedi. In tutta franchezza, fare il presidente del settore tecnico alias “la ragazza immagine” mi sembra un insulto. Lo stesso vale per Rivera, uomo dei quattro a tre nelle semifinali e non in qualità di “responsabile scolastico”. In ultimo c’è il sedicente erudito Sacchi. Fanno specie già le dichiarazioni al debutto:

    “Questo non è un paese per giovani”

    Infatti, chiamano un sessantaquattrenne per cambiare le cose. E quando gli chiedono lumi sulle cifre che percepirà:

    “La federazione non diventerà povera con il mio contratto…”

    A parte che ricorrere a un eufemismo sul tema ci suggerisce che non prenda poi due spicci, comunque per quello che ha avuto dal calcio italiano magari poteva pure accettare uno stipendio simbolico. Sono sicuro che con i suoi introiti possa aprire più di una scuola calcio, e questo è un controsenso per uno che fa il coordinatore delle nazionali giovanili. Or dunque veniamo alle competenze. E’ scellerato pensare che ci sia qualcuno più preparato di lui in materia? I trascorsi a Parma e Madrid come consulente non hanno lasciato traccia. Come allenatore vanta un palmares eccezionale, ma ha allenato pur sempre squadre di grande caratura. Si dice sia un grande tattico e un geniale innovatore, quando poi ha scopiazzato il calcio totale degli olandesi. Si dice che le sue squadre vincessero grazie ai suoi schemi:  io già lo immagino in allenamento che fa provare le rovesciate a Van Basten. Sta di fatto che molti suoi calciatori sono poi diventati allenatori. Perché? Lui era un gran maestro, o loro avevano una grande intelligenza tale da poter fare a meno del più grande allenatore italiano di sempre (secondo il Times)? Insomma, è nato prima l’uovo o la gallina?. Come dicevano i latini la virtù sta nel mezzo: Sacchi è stato un bravo allenatore al pari di altri che hanno avuto meno fortuna. Comunque sia, le sue competenze non sono consone al ruolo che andrà a ricoprire.

    L’ultimo soldatino che andrà in guerra per Abete, pardon per l’Italia, sarà Cesare Prandelli. L’uomo della rivoluzione: ha aperto le porte a Cassano, Amauri e Balotelli. Il perfetto ossimoro vivente di Lippi, e questo già la dice lunga sulla coerenza logica di Abete che difende le scelte di Lippi salvo poi aderire a una politica antitetica. Nella lista di convocati non figura Pazzini. Strano dato che con Cassano l’intesa è già affinata, e il suo stato di forma dovrebbe essere dei migliori visto che la sua Samp a breve affronterà i preliminari di Champions. Una leggenda narra che dopo il gol alla Fiorentina, Pazzini abbia sussurrato parole poco mielate al neo cittì azzurro, reo di averlo confinato in panchina durante la permanenza in maglia viola. Tuttavia, è solo una voce; come quella che il figlio di Lippi le aveva prese da Cassano. Non resta che appellarci al buon grado di Cesare.

    Arriva il momento del congedo: ho analizzato per filo e per segno la nuova classe dirigente che prenderà in custodia il calcio nostrano. Mi sono reso conto che quella intrapresa non è una vera rivoluzione, perché le rivoluzioni sono quelle dove cade la testa del tiranno. E allora…Abete fatti da parte, perché come disse Garibaldi: “l’Italia o si fa o si muore!

    a cura di Domenico Maione

  • Intervista esclusiva: Daniele Grandi, il nuovo Inzaghi

    Intervista esclusiva: Daniele Grandi, il nuovo Inzaghi

    “Oh mio Dio, hanno clonato Inzaghi!”. Questo è quello che penserete vedendolo giocare la prima volta. Sia chiaro che in quanto ad ereditarietà non mi riferisco, come il buon Mendel, esclusivamente ai tratti somatici: la rapidità, i movimenti, il senso della posizione, l’abilità nel gioco aereo, persino gli stessi occhi da tigre del bengala. E frattanto che l’illustre collega conquisti la sua prima Champions League, Daniele Grandi, enfant prodige classe ’93, comincia a sbucciare le ginocchia nell’oratorio Albino Calcio, in quel di Bergamo. Il promettente attaccante mancino non sfuggì all’onniscienza degli osservatori atalantini, che alla tenera età di 10 anni lo condussero alla corte della “Dea”. Nel medesimo vivaio che ha svezzato due tra i più fulgidi talenti nostrani coevi: Pazzini e Montolivo. L’ultima stagione, trascorsa tra le fila degli Allievi Nazionali, è stata pressocché eccezionale nonché ornata da media gol stratosferica. Pensate: 0,88 gol a partita. Un dato che testimonia le tangibili potenzialità del giovane bergamasco e lo consacra capocannoniere dello scorso torneo. Insomma, un bomber di razza. Uno degli eletti investito del prezioso dono che gli invidiosi chiamano fortuna mentre i fatalisti, al fine di denominarlo, scomodano addirittura il destino. Parlo dell’innata capacità di essere sempre al posto giusto nel momento giusto. Una qualità letale: con le donne in amore, e per i difensori sul campo da gioco. E’ per tal motivo che, come in passato fece il grande Gianni Brera con Riva e Rivera, qui soprannomino Daniele Grandi. “Carpe diem”. “Cogli l’attimo” per gli sprezzanti del latino. Spero solo di avere il benestare del futuro, e soprattutto di Orazio… (si dispensa da eventuali accuse di plagio da parte di autori latini dell’età augustea).

    Il calcio. Citando Ligabue, cosa ti ha portato a pensare: “Questa è la mia vita”?
    Ho iniziato a giocare a calcio all’età di 5 anni nell’oratorio del mio paese, ma i primi calci al pallone li davo già da qualche anno nel cortile di casa. Si può dire che “sono nato con il pallone”. Dopo la scuola calcio ho disputato 2 campionati sempre con la squadra dell’oratorio Albino calcio giocando con i più grandi. All’età di 10 anni sono stato notato dagli osservatori dell’Atalanta e dopo una serie di provini sono stato scelto. E’ l’ottavo anno che trascorro in questa società, all’inizio non riuscivo a vedere il calcio come professione anche se è stato sempre il mio sogno; negli ultimi tempi, invece, a fronte delle ottime stagioni disputate ho iniziato a capire che questo può essere il mio futuro, il mio lavoro. C’è ancora molta strada da fare e tanto da migliorare, pertanto coltivo il mio sogno giorno per giorno.

    Di solito a un giovane calciatore si è soliti domandare l’identità della “Musa”, ovvero a chi si ispira. Tu perpetri, secondo gli addetti ai lavori, il mito “inzaghiano”. Cosa ne pensi dell’illustre accostamento?

    Per me è un onore essere paragonato ad un grande campione come Inzaghi e penso sia il sogno di tutti gli attaccanti intraprendere una carriera come la sua. Per caratteristiche posso assomigliare a questo tipo di giocatore, abile soprattutto in area di rigore. Inzaghi è un giocatore unico e insieme a lui l’altro grande giocatore a cui mi ispiro è Milito. Sono consapevole di dover migliorare tantissimo e per questo devo lavorare ogni giorno sul campo dando sempre il massimo. Tuttavia, il lavoro e i sacrifici non mi fanno paura; li faccio volentieri perché l’obiettivo da raggiungere è molto importante per me. La realizzazione di un sogno vale tutti i sacrifici fatti.

    Continuando il discorso precedente: preferiresti essere un piccolo Filippo Inzaghi o un grande Daniele Grandi?
    Come ho detto prima Inzaghi è un giocatore unico, cerco di apprendere tutti i suoi segreti guardandolo in televisione. In futuro mi piacerebbe essere un grande Daniele Grandi, anche se adesso non mi dispiace essere etichettato come un piccolo Filippo Inzaghi.

    Non credi che l’Atalanta possa riuscire nel tentativo di “evadere”dalla serie cadetta al primo tentativo? D’altronde, lì in avanti sono messi bene con Tiribocchi e Ardemagni. Due soggetti che fossi in te studierei a fondo, non trovi?
    L’ anno scorso l’Atalanta è stata sfortunata e purtroppo è retrocessa, ma in questo mercato la nuova dirigenza ha portato grandi giocatori che sicuramente saranno fondamentali per la risalita in serie A. Ardemagni, ad esempio, che insieme a Tiribocchi forma uno degli attacchi più forti del campionato, a mio avviso; sono due bomber e sicuramente quest’anno avrò la fortuna di vederli allenare a Zingonia. Entrambi mi incuriosiscono molto, e dunque li osserverò per cercare di “rubare” loro qualche segreto. Sono fiducioso per quest’Atalanta. Sta andando tutto benissimo, faranno un gran campionato.

    Domani: una paura, una speranza e un sogno.
    Le paure sono tante. Il domani ha sempre un punto di domanda e le risposte le trovi vivendo giorno per giorno. Chissà se tutto andrà come deve andare? Se avrò la salute, la fortuna, l’occasione giusta e se saprò cogliere l’attimo? Le speranze sono che tutte queste mie “paure” si risolvano positivamente, per arrivare a raggiungere e a realizzare il sogno che ho nel cassetto da sempre (ormai avete capito qual è).

    Uno spezzone di erba spelacchiata e un pallone. Questo lo so fare solo io…:
    Bella domanda. Non sono un giocatore che fa “i numeri” alla Cristiano Ronaldo o Messi. Se penso ad una cosa che mi riesce bene è sicuramente la scelta del tempo nel colpo di testa. Mi piace segnare in questo modo, quest’anno ho fatto 9 gol così. Essendo mancino ho segnato la maggior parte dei gol di sinistro in area di rigore, oppure tirando da fuori. Comunque per un attaccante l’importante è fare gol, il come è relativo.

    Da giovani si gioca a calcio per mero divertimento. Testa leggera, portafogli pure, e tantissimi sogni. Perché cambiare?
    Esatto. Nei settori giovanili si gioca per il puro divertimento, per la passione e per la voglia di arrivare. So benissimo che si parla di certe cifre nel mondo del calcio, forse non sono la persona più indicata per dire se sono giuste o sbagliate, ormai tutto si è ingrandito. Ora si sta cominciando a remunerare anche qualche giocatore del settore giovanile, in genere quelli più bravi perché le società si vogliono tutelare da eventuali “scippi” da parte di qualche concorrente; secondo me a volte si esagera rischiando di rovinare qualche talento montandogli la testa. Si vedono già ragazzi di 16 anni a cui vengono fatti contratti da professionisti e si rischia di illuderli. Magari sentendosi già arrivati “mollano” e non migliorano, facendo passare l’obiettivo di esordire in prima squadra in secondo piano. Questa è la mia vera meta. La trafila è stata lunga, ma ormai manca poco e voglio salire questo gradino il prima possibile.

    Daniele Grandi e la sua generazione possono arginare l’inesorabile colata a picco che vede protagonista il calcio nostrano, permettendo agli appassionati di abbandonarsi ad allettanti “voli pindarici”?
    Il calcio italiano andrà sempre peggio finché non si deciderà di puntare forte sui giovani talenti italiani dei settori giovanili; bisogna cominciare a lanciare i giovani dandogli fiducia e mettendoli in condizione di non “perdersi” o di emigrare dove sono più richiesti e hanno maggiori possibilità per mettersi in mostra (come ad esempio in Spagna ed Inghilterra). In questa mia generazione ci sono dei giocatori che possono essere il futuro della serie A e anche della nazionale italiana. Tuttavia, spesso e volentieri le società non reputano i giovani emergenti maturi , di conseguenza li spediscono nelle serie minori per crescere rimpinzando di stranieri le rose della prima squadra. In questo modo alcuni giocatori di talento si perdono. Un giorno vorrei che io e la mia generazione rappresentassimo il calcio italiano come simbolo di bel gioco e qualità, come eravamo abituati prima di questi ultimi anni.

    Porgendo la domanda come fosse un di gioco di parole: quand’è che vedremo Daniele Grandi debuttare tra i “grandi”? “Are you ready”, come direbbero gli inglesi?
    C’è sempre da migliorare e da lavorare, ma penso che oggi la voglia, la grinta e l’ambizione siano tali da farmi sentire pronto al grande salto. E’ giunto il momento di vivere il mio sogno.
    Video
    “Un saluto a tutti, ringrazio il pallonaro.com per l’intervista”
  • Coutinho è già un fenomeno. Su Youtube…

    Philippe Coutinho Correia, per gli appassionati semplicemente Coutinho e per lo specchio semplicemente un Pato con l’acne più accentuato, è già un cult di “Youtube”. Numerosi sono i contatti raggiunti dai video che ritraggono le gesta del “craque” brasiliano, recentemente approdato sulla sponda nerazzurra del Naviglio.

    Nel contempo fioccano gli attestati di fiducia: “molta qualità, un calciatore che potrà rappresentare il futuro dell’Inter e che ci aspettiamo faccia molto per noi”. Questo il verbo di Benitez durante la sua presentazione. “Coutinho? E’ davvero bravo…”. Parole e musica di Alexandre Pato, suo alter ego per storia, tratti somatici e talento. Ai vaticini di un roseo futuro si aggiungono le più che confortanti prove registrate rispettivamente contro Manchester City e Panathinaikos, durante le prime uscite stagionali. Proprio contro il team greco è arrivato il primo gol da interista nella tournée negli States.

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    Infine provvediamo a postare il numero da prestigiatore che impazza ultimamente sul web, e risale al match contro i Citizen. Trattasi del nemico numero uno dei difensori: il classico “palla c’è, palla non c’è”. Una giocata rapidissima, subitanea, illusoria. In un’unica parola: magica. E allora ecco a voi Coutinho in arte “il mago” . Un classe ’92, che di classe ne ha da vendere.

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