Una partita come tante, una festa per tanti trasformata in tragedia. Per chi, come me era allo stadio Adriatico di Pescara per lavorare e raccontare le gesta sul rettangolo verde, come ‘ogni maledetta domenica’ verrebbe da dire citando un noto fil sullo sport, sarà difficile dimenticare. Un giovane di nemmeno 26 anni, che stava facendo ciò che sin da bambino ha amato, giocare a calcio, ci lascia. Dicono che “la morte più bella sia quella che ti coglie mentre fai ciò che ami di più”, ma non esiste una morte che non lasci dietro di sé dolore né può esistere un’esistenza che si spegne e possa essere definita migliore di altre.
Era trascorsa appena mezz’ora dall’inizio del match e la sua squadra, il Livorno, era in vantaggio, a sorpresa, per due reti contro i padroni di casa del Pescara: Piermario Morisini improvvisamente si accascia al suolo. Piermario ha barcollato, tentennato, poi è caduto a faccia in giù. Resta scolpita nella mente l’immagine di quel momento, incancellabile. Attimi interminabili, secondi che sembrano celare dentro sé l’eternità. Dalla panchina del Pescara massaggiatore e medico, che erano i più vicini, sono schizzati in campo senza neanche attendere l’arbitro: massaggio cardiaco, respirazione artificiale, qualche segnale di ripresa. L’ambulanza tarda ad arrivare, i calciatori in campo si disperano, tanto i biancazzurri quanto gli amaranto, mentre qualcuno di loro, Verratti prima e Zanon con altri poi, istintivamente cercano una barella. L’ambulanza è stata bloccata all’ingresso da una macchina dei vigili urbani posizionata male. Sono minuti interminabili. La corsa all’Ospedale di Pescara. Per un’ora e mezza i medici in ospedale hanno poi provato a rianimare Morosini: tutto inutile, persino un pacemaker via endovena non è servito a far ripartire quel cuore. Piermario ci lascia.
Una morte assurda, che segue di appena due settimane un’altra morte, quella di Franco Mancini, preparatore dei portieri del Pescara, stroncato da un infarto all’improvviso. “Quando sono sceso in campo Morosini era in arresto cardiaco e respiratorio, abbiamo praticato il massaggio cardiaco per un’ora e mezza prima solo manualmente e poi con diversi strumenti, ma non c’é stato nulla da fare. Non si può dire se la causa sia cerebrale o cardiaca, questo può stabilirlo solo una eventuale autopsia“. Lo ha affermato all’Ansa il dott. Paloscia, responsabile dell’Unità Coronarica dell’Ospedale di Pescara, che era allo stadio come tifoso e che per primo ha tentato di rianimare il giocatore.
All’esterno dell’Ospedale commozione e disperazione di calciatori, dirigenti e tifosi si unisce creando un vortice di emozioni violente ed indescrivibili.
Ora è solo il tempo del silenzio e del cordoglio, il tempo di fermarsi a riflettere e ricordare un ragazzo che ci ha lasciato. E’ il tempo del rispetto. Il dramma consumatosi allo stadio Adriatico con il malore ed il successivo decesso di Piermario Morosini ha comportato il doveroso ed opportuno stop al calcio: non si gioca in questo weekend. Non c’è bisogno di sottolineare che è giusto così.
La discussione sui controlli medici, sulla celerità dei soccorsi, sull’accertamento di eventuali responsabilità con il pm della Procura pescarese Valentina D’Agostino che ha disposto l’autopsia, già affidata all’anatomopatologo di Pescara Cristian D’Ovidio, avrà uno spazio nei giorni successivi.
“Pensavo che la vita l’avesse già provato fin troppo e invece è arrivata anche quest’ultima tragedia“: Mino Favini, responsabile del settore giovanile dell’Atalanta, ricorda così Piermario Morosini all’Ansa. “Aveva perso la mamma che era un bambino e poi il papà, poi il fratello handicappato si è suicidato e gli era rimasta la sorella, anche lei con handicap. Era triste, ma dolcissimo e disponibile“. La dolcezza è il ricordo che Piermario lascia: tanti amici e tanti colleghi hanno esperesso il proprio cordoglio ed inviato messaggi. ”Sembrava sorridesse, era bellissimo”, ha detto la fidanzata Anna dopo averlo visto in Ospedale. Un altro Angelo è volato in cielo, troppo presto, lasciando questa vita terrena di sofferenze.
Ciao Piermario…
Cosa posso dire?! La morte di un giovane ci coglie sempre impreparati e si soffre molto! Lasciandoci il dubbio se si poteva fare o no qualcosa di più. Certo provvedimenti devono essere presi a livello federale e qualche accorgimento in più deve esse fatto soprattutto nei centri sportivi e negli stadi. Io, con tutta modestia, direi di concentrare l’attenzione anche nelle scuole e in centri di attività pubbliche e formare personale per l’utilizzo di un defibrillatore!