E’ un periodo di ricordi e di riflessioni per Gianfelice Facchetti, figlio dello scomparso Giacinto, capitano dell’Inter e della Nazionale. Ricordi dolci, che lo hanno ispirato nella stesura del suo libro, “Se no che gente saremmo”, presentato allo spazio Oberdan di Milano, e dedicato proprio allo scomparso papà, dove racconta “le storie che valeva la pena raccontare, salvandone il sale e mettendolo alla luce perchè brillasse”, come lui stesso scrive.
La storia di un lottatore, in campo e nella vita, ma sempre generoso ed altruista che, anche venti giorni prima di arrendersi al male, rispondeva di non voler mollare, “Sono un lottatore, mi dò da fare”.
Tutto ciò, dunque, per restituire alla memoria del campione scomparso una dimensione diversa, la giusta considerazione ed il giusto rispetto, sottraendo la sua figura alla gogna mediatica scatenatasi nel post- calciopoli, proteggendolo sì, ma evitando di provare a controllare qualsiasi dettaglio che potesse scalfire il suo ricordo, con la consapevolezza che il mito di Facchetti è, comunque, già al sicuro.
Nonostante ciò, però, il figlio di Giacinto non si sottrae ad un commento piccato nei confronti di coloro che, nei confronti del padre, hanno costruito solo “falsità e calunnie, provando a montargli addosso una bicicletta ma senza catene e con le ruote sgonfie“.
La sua corsa, infatti, riferendosi ai suoi anni da dirigente dell’Inter che coincidono con le stagioni immediatamente precedenti allo scoppio dello scandalo di Calciopoli, secondo Giuanfelice Facchetti, è stata sempre “leale e coragggiosa”.
Alle dichiarazioni di Gianfelice, inoltre, nel corso della presentazione, si sono associati i presenti, quali il presidente Massimo Moratti, il giornalista di fede interista Beppe Severgnini, Marco Tronchetti Provera e Roberto Boninsegna, ex compagno di squadra e, soprattutto, amico che è rimasto vicino a Giacinto Facchetti anche nella sua ultima estate, come rivela il Gianfelice, portandogli spesso in dono, da Mantova, Lambrusco e salame.