La conclusione del calciomercato ha consegnato ad Antonio Conte una Juve extralarge per via della mancate cessione e forse con qualche buco in difesa ma l’ex capitano e neo mister pur riconoscendo l’inferiorità attuale rispetto alle rivali in Italia e in Europa si dice pronto a lottare e a dare il massimo per la società che senta sua. Conte ha la pelle bianconera e lo si capisce da come interagisce con la stampa, dalla sintonia assoluta con i tifosi e da come interegisce ottendo fiducia e stima dallo spogliatoio. In una bella intervista concessa a Tuttosport e in edicola questa mattina il mister non si tira indietro non dando voti alla campagna acquisti ma promettendo impegno, idee, sudore e risultati. La JUve di Conte prima di diventare una perfetta macchina da guerra sopperiva al gap delle rivali proprio grazie a doti caratteriali fuori dal normale ed una grinta che incuoteva timore agli avversari. Di seguito vi proponiamo qualche stralcio dell’intervista tratta da Tuttosport. Antonio Conte, la critica ha promosso il mercato della Juventus e anche i tifosi, seppure con qualche riserva, hanno dato la sufficienza. Lei che voto dà? «L’unico voto che conta è quello che darà il campo. Inutile che commenti adesso: non servono altre parole, contano i gol». Beh, ma sarà soddisfatto o insoddisfatto? «Quello che si può dire è che è stato un mercato difficile per tutti, fotografia di un momento critico del calcio italiano: i campioni vanno via e non si riesce a ricomprarli. Questo vale per tutti, non solo per la Juventus. Nessuno può permettersi di spendere 30/40 milioni: non sono arrivati Ibrahimovic, non sono arrivati Messi… Anzi, sono andati via Eto’o e altri giocatori importanti». La Juventus però ha investito molto e comprato, numericamente, tanto. «Abbiamo operato nel modo in cui era giusto operare per la Juventus, che significa costruire il presente guardando al futuro. Per esempio abbiamo chiuso operazioni con giocatori giovani ma nazionali, come Elia che ha 24 anni e costa il giusto, anche sotto il profilo dell’ingaggio. Abbiamo puntato tutto sulla voglia di ragazzi come Giaccherini o come Estigarribia che hanno tanta fame, non hanno mai calcato palcoscenici importanti e da questo punto di vista sono una sicurezza perché ci metteranno sempre l’anima». Una filosofia molto “Juve di Lippi”. «È la filosofia dell’umiltà. Lo dico sempre ai ragazzi, ci vuole l’umiltà di una provinciale, quella cattiveria, quella corsa, quella bava alla bocca». I maligni direbbero che anche la rosa è da provinciale… «In questo momento una società italiana non può permettersi di comprare un giocatore da 40 milioni. A livello economico non abbiamo la forza di offrire soldi ai club e ai campioni. I giocatori ce li comprano, non li compriamo…». Come se ne esce? «Con un bagno di umiltà che coinvolga tutti quanti e provando a percorrere altre strade. Non dobbiamo pensare di essere ancora i più bravi, perché Inghilterra e Spagna sono più avanti, inutile nasconderselo. E con lo scoprire valori trascurati, come la cultura del lavoro e di trovare il risultato attraverso il gioco. Perché la cultura del solo risultato non basta più: dobbiamo iniziare a pensare al cambiamento per inseguire gli altri. Guardate le prime uscite di coppa… Anche i tifosi devono capirlo». Cosa? «Che è meglio avere una squadra che gioca a calcio e il risultato sarà una conseguenza. Perché viceversa, pensando solo al risultato, ti può andare bene una volta, due, tre, ma alla fine il trucco non funziona se non ci sono impianto di gioco e collettivo». Che definizione si dà come allenatore? «Un grande lavoratore di campo. Io ho bisogno del campo, è il mio habitat naturale. E il mestiere di allenatore per me è totalizzante». Quando non fa l’allenatore cosa fa? «Penso a come fare l’allenatore ancora meglio. Mi rendo conto che in questo modo trascuro anche la famiglia… Forse è per questo che mi definiscono rompipalle. Io chiedo il massimo a me stesso e quindi pretendo il massimo anche dagli altri». È vero che è maniacale nell’applicare le sue teorie? «Quando uno ha un’idea di calcio cerco di proporla ed esserle fedele, soprattutto perché nel passato questa idea mi ha portato a conquistare due promozioni in serie B su quattro che ho disputato… Ma il campo rimane l’unica filosofia. È sul campo che cerco di convincere i giocatori a seguirmi. Dico loro: non eseguite quello che vi dico perché lo chiedo io, ma perché ci credete e se non siete convinti chiedetemi. Per me è fondamentale che loro mi chiedano».