Tennis, Agassi: “le mie vittorie, una condanna grazie a Papà”

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È uscita in Italia la tanto attesa biografia del campione americano intitolata “Open”, in cui il grande Andree racconta la sua vita fuori e dentro il suo tanto amato e forse anche odiato tennis.

Questi alcuni passaggi del libro: Il mio odio per il tennis si concentra sul drago, una macchina lanciapalle modificata dal mio vulcanico papà. Nero come la pece, montato su grosse ruote di gomma e con la parola prince dipinta in bianche lettere maiuscole lungo la base, il drago assomiglia a una qualunque macchina lanciapalle di un qualsivoglia circolo sportivo americano. In realtà, però, è una creatura vivente uscita da uno dei miei fumetti. Il drago respira, ha un cervello, una volontà, un cuore nero – e una voce terrificante. Risucchiando un’altra palla nel proprio ventre, il drago emette una serie di rumori disgustosi. (…) Quando il drago punta dritto su di me e spara una palla a 180 chilometri all’ora, emette un ruggito da belva assetata di sangue che mi fa sobbalzare ogni volta. Mio padre lo ha reso spaventoso di proposito. (…)

Sono l’ultima speranza del clan Agassi. A volte apprezzo le sue attenzioni, ma altre volte vorrei essere invisibile, perché papà può fare paura. Fa delle cose… Per esempio, spesso s’infila pollice e indice su per il naso e poi, irrigidendosi per il dolore che gli fa lacrimare gli occhi, si strappa un bel ciuffo di peli neri. È così che si prende cura del proprio aspetto. Con lo stesso spirito si rade senza schiuma da barba né crema. Semplicemente si passa a secco un rasoio usa e getta sulle guance e sulla mascella, poi lascia che il sangue gli scorra sul viso finché non si asciuga. (…) Tiene un manico d’ascia nella sua auto. Non esce mai di casa senza una manciata di sale e pepe in ciascuna tasca, nel caso si trovi ad azzuffarsi per strada e debba accecare qualcuno. (…) Sono in macchina con papà un giorno, diretti al Cambridge, e lui inizia a litigare con un altro automobilista. Ferma l’auto, scende e ordina all’uomo di fare altrettanto. Poiché mio padre sta brandendo il suo manico d’ascia, quello si rifiuta. Papà allora gli colpisce con il manico i fari anteriori e posteriori, mandandoli in frantumi. Un’altra volta mio padre allunga un braccio e punta la pistola contro un altro automobilista, tenendola all’altezza del mio naso. Io fisso dritto davanti a me, immobile. Non so cosa abbia fatto di male quell’altro, so solo che è l’equivalente automobilistico di tirare in rete. Avverto la tensione del dito di mio padre sul grilletto. Poi l’altro sgomma via, seguito da un suono che sento di rado: la risata di mio padre. Sta ridendo a crepapelle. Mi dico che ricorderò questo momento – papà che ride, tenendomi una pistola sotto il naso – campassi cent’anni. (…) L’ultimo posto dove vorrei essere, a parte un campo da tennis, è in auto con mio padre.

Molto sorprendenti ed a tratti anche scioccanti questi passaggi della vita sportiva di un campione che ha regalato emozioni fortissime negli anni novanta grazie alla sua eterna rivalità con l’ amico Pete Sampras e che ha conosciuto, forse un po’ tardi, il suo amore Steffi Graf che gli avrebbe permesso di vincere sicuramente molto di più grazie ad una serenità maggiore che il “Kid” di Las Vegas ha raggiunto solo a fine carriera.

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