Zeman esonerato, amen. Si è conclusa da poche ore l’avventura del boemo alla Roma, per buona pace dei tifosi giallorossi e non. Nella capitale erano in tanti ad aspettarselo. Tutti a chiedersi quando l’avrebbero cacciato, quanto sarebbe durato (manco fosse Siffredi), quando avrebbe smesso di ridere. Saranno dunque contenti tutti quelli che provavano un orgasmo quando spulciavano la classifica sotto la voce “gs”, che universalmente corrisponde ai gol subiti, vedendo Zeman -e solo qui- in testa. Magari gli stessi che si sbattono con la crisi e menate varie, pensando che il problema debba sempre e solo ridursi ad un numero. Anche il calcio ormai sembra seguire questa tendenza, sopratutto qui da noi in Italia, dove tanti simpatici numeri si trasformano in boia col cappuccio nero, pronti a decapitare chiunque venga trovato in eccesso o in difetto, salvando di fatto i “normali”.
Zeman apparteneva alla prima categoria, dove si ritrovano quelli che eccedono rispetto alla massa: troppe reti subite, troppe chiacchiere, troppe risate fuori luogo, troppe sigarette, e via così all’infinito. Ed alla fine questo è diventato un problema, grosso, davanti al quale il boemo non ha saputo trovare una risposta migliore del “non mi dimetto”.
Saranno contenti i vari Criscitiello e Zuliani (il Claudio), che non hanno mancato occasione da settembre di ironizzare su Zeman, dimenticandosi però partite dove la Roma non aveva soltanto vinto, ma mostrato anche il gioco migliore della Serie A, checché ne dicano i puristi toscani amanti della Viola, battuta per due volte da Totti e compagni.
E qui c’è il trucco. Sì, perché di Zeman ci si ricorda soltanto quando prende quattro pappine. Tutto questo conviene, perché il pubblico non aspetta altro che il processo contro il boemo, forse nel ricordo di ancestrali puntate del buon Biscardi. Le cose belle invece, quelle sì, devono essere nascoste. Guai a ricordare le vittorie di quest’anno, guai a parlare della (quasi) finale di Coppa Italia, guai a ricordare come fino alle porte di Natale la Roma fosse il Barcellona (vedi 4-2 al Milan) ed i rossoneri una squadra da retrocessione.
Cinque partite bastano per cacciare Zeman? Evidentemente sì. Franco Baldini e Walter Sabatini non hanno trovato migliore soluzione che esonerare il boemo, anziché rassegnare loro le dimissioni o fare un bel discorsetto alla squadra, che ieri ha fatto la figura di quei bambini viziati a cui è stata negata la caramella per merenda.
In questi mesi ho sempre letto le solite menate dei giornalisti “esperti”, che incolpavano a Zeman la fase difensiva ed il mancato utilizzo di De Rossi al centro. A quelli che lo accusano per la difesa, consiglio di rivedersi la classifica della Serie B, quando il Pescara ebbe la dodicesima difesa del campionato (55 gol subiti), ma che nel girone di ritorno incassò comunque 21 reti (meno di un gol a partita), a fronte dei 90 segnati. Forse perché a Pescara Zeman aveva ragazzi che lo seguivano, e che sapevano cosa significasse stare alti, concetto del tutto diverso rispetto allo stare a pera come invece è successo ieri nella partita contro il Cagliari.
E’ facile incolpare Zeman quando si assiste a partite orribili come quella dell’Olimpico, ma le critiche andrebbero quantomeno riversate in parte anche ai giocatori, che scendono in campo quasi senza credere a quello che gli viene chiesto. E allora si passa all’invenzione, all’autogestione, che va bene se la fai a scuola, ma per farla sul campo da gioco devi avere i piedi di Maradona o Thiago Silva, altrimenti finisci per fare la figura del pirla.
Ultima cosa e concludo. Il Pescara aveva De Rossi a centrocampo? No. Quanti giocatori ha la Roma di movimento in mezzo? Uno, Florenzi. Quanti registi ci sono a Roma? Uno, Ledesma. Quanti esterni ha la Roma? Uno ce l’avrebbe anche, ma sta giocando il Sudamericano Under 20, e quando è nella capitale pensa di essere il fenomeno del Colosseo e non si allena come Cristo comanda. Anche questa è colpa di Zeman? E daje…
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